Devo all' indimenticabile Prof. Pagliaro, grande medico internista che aveva trasformato l'Ospedale Cervello di Palermo in un modello per l'intero Servizio Sanitario Nazionale, la prima scoperta di JOSEPH ROTH. Oggi rilancio l' invito a leggerlo e rileggerlo con la nota seguente (fv)
Joseph Roth nacque (1894) a Brody, un villaggio della Galizia orientale nel territorio dell’impero austro-ungarico che oggi è parte della regione di Leopoli, in Ucraina.
A Brody viveva una delle più grandi comunità ebraiche della regione. Quasi tutti vennero assassinati dai nazisti nella Shoah.
In una nuova biografia di Roth, uscita ora in lingua inglese e scritta da Keiron Pim (Endless Flight: The Life of Joseph Roth, London: Granta) l’autore ci ricorda come Roth avesse sentimenti contraddittori e controversi su quasi tutto: la sua terra, la sua ebraicità, la religione, il matrimonio, gli amori, le amicizie, la reputazione, il suo posto nel mondo.
Roth dimostrava certezze e inflessibilità su poche cose: l’odio per il nazionalismo, il suo disprezzo coraggioso e profetico per il nazismo, la sua dipendenza dall’alcol.
L’opera, composta di romanzi memorabili e narrazioni giornalistiche di grande profondità, è popolata da migranti, da gente che attraversa le frontiere, da anime perse, nostalgici, solitari, imbroglioni che forgiano nuove identità, reduci di guerra che tornano ma non trovano nessun luogo che sia rimasto ad accoglierli, figli che hanno perso i padri, e padri, come scrive Hermione Lee in una recensione al libro di Pim, che hanno perso i figli (Poet of the Dispossessed, “The New York Review of Books”).
Roth si sentiva diviso, frammentato, al punto che Pim lo definisce come “uomo del trattino”: il trattino che separa ma abbina identità diverse che si trovano combinate, tutte contemporaneamente: austro-ungherese, austro-tedesco, ebreo-austriaco, ebreo-cattolico. Non sopportava le monoculture dei nazionalisti, delle religioni e dei regimi. Ma era anche pieno di altri tratti in conflitto fra loro: nostalgia e fatalismo, ironia e malinconia, scetticismo radicale e un desiderio di miracoli, fascino e aggressione, dandismo metropolitano e attaccamento a un mondo contadino, semplice, rurale.
E poi c’era la sua ostilità al Sionismo che in una lettera del 1935, quattro anni prima della morte, definì in modo così radicale da disturbare molti dei suoi lettori e correligionari. Disse infatti che, come i nazisti, i sionisti volevano cacciare gli ebrei dall’Europa. Nelle sue lettere gli ebrei sono a volte insultati e accusati di complotti ai suoi danni: per esempio l’editore ebreo della “Frankfurter Zeitung” che lo pagava troppo poco per i suoi articoli. D’altra parte, i suoi reportage che compongono Ebrei erranti, sono tra i ritratti più belli, emozionanti e ricchi dell’Ostjuden che sarebbe stata annientata pochi anni dopo dal Terzo Reich.
Lo sguardo attento del giornalista di strada, che ritrasse il popolo delle città degli anni ’20 – soprattutto di Berlino, la Berlino raccontata anche dalle pièce di Brecht, i disegni di Dix e Grosz, i film di Murnau e la musica di Kurt Weill – gli permise di riempire anche i suoi romanzi di figure indimenticabili.La sua scrittura, ci ricorda Hermione Lee, coincise per molti aspetti con la corrente artistica del primo dopoguerra della Nuova Oggettività, i cui tratti caratteristici erano il realismo duro, i fatti raccontati con sobrietà, l’osservazione minuta. Ma Roth combinava questi precetti con il culto della scrittura bella, del racconto con voce lirica di fenomeni che gli altri consideravano brutti. Anche nelle realtà più disagiate la scrittura di Roth deposita un sentire melanconico per l’umanità e le sue tristezze. La stessa emozione che pulsa nei suoi reportage giornalistici e, ovviamente, nei suoi romanzi, come la Marcia di Radetzky, Giobbe, Fuga senza fine e tutti gli altri. Roth ci ha lasciato ritratti di umanità pieni di pietà, di cupa sofferenza ma allo stesso tempo luminosi ed emozionanti.
Pezzo ripreso da https://gruppodilettura.com/2022/09/19/perche-leggere-o-rileggere-joseph-roth-oggi/
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