14 agosto 2024

LA MISSIONE DELLO SCRITTORE SECONDO ELIAS CANETTI

 


LA MISSIONE DELLO SCRITTORE
Elias Canetti

[...] Fino a quando esistono autori, e naturalmente ce n'è più di uno, che si assumono la respon­sabilità delle parole che dicono, nel senso che soffrono profondamente quando si rendono conto del totale fallimento di queste parole, fino a quel momento conserviamo il diritto di aggrapparci al termine che è sempre stato usato per gli autori delle opere fondamentali dell'umanità, opere senza le quali non avrem­mo neppure consapevolezza di che cosa questa umanità sia fatta. In rapporto a tali opere, delle quali sia pure in maniera diversa ma non meno pressante ab­biamo bisogno come del pane quotidiano poiché da esse veniamo alimentati e sostenuti, anche se non ci fosse rimasto nient'altro, e anche se, non sapendo fino a che punto esse in effetti ci sostengono, ci dedicassimo intanto alla vana ricerca di qualche altra cosa che nella nostra epoca potesse uguagliarle, in rapporto a queste opere non possiamo pensare altro che questo: è vero che quando siamo molto severi con il nostro tempo e, soprattutto, con noi stessi, possiamo giungere alla con­clusione che oggi di veri scrittori non ce ne sono, ep­pure dovremmo augurarci appassionatamente che ce ne fossero.
Tutto ciò suona certo assai sommario e non ha un gran valore se non proviamo a chiarire ciò che uno scrittore di oggi dovrebbe avere in sé per soddisfare questa pretesa. Il primo e più importante requisito direi che sia questo: lo scrittore è il custode delle metamorfosi, e lo è in due sensi. Innanzitutto egli farà propria l'ere­dità letteraria dell'umanità, nella quale le metamor­fosi abbondano. Solo oggi ci rendiamo conto di questa ricchezza, dal momento che sono state decifrate le scritture di quasi tutte le antiche civiltà. Ancora fino al secolo scorso, chiunque avesse voluto occuparsi di questo aspetto altamente peculiare ed enigmatico dell'umanità, e cioè della sua capacità di metamorfosi, si sarebbe attenuto a due libri fondamentali: uno più tardo, le Metamorfosi di Ovidio, che si presenta come una raccolta pressoché sistematica di tutte le "più ele­vate" metamorfosi fino allora conosciute nella mitologia, e uno più antico, l'Odissea, dove si narrano es­senzialmente le avventurose metamorfosi di un uomo chiamato appunto Odisseo. Esse raggiungono il loro apice quando egli torna a casa nelle vesti di un mendi­cante, l'uomo più misero che si possa immaginare, e qui la simulazione è talmente perfetta che mai scrit­tore posteriore l'ha eguagliata e men che meno supe­rata. Sarebbe ridicolo soffermarsi sull'influsso che que­sti due libri hanno avuto già prima del Rinascimento, ma soprattutto poi, sulle vicende culturali dei paesi europei più recenti. In Ariosto come in Shakespeare, nonché in moltissimi altri autori, compaiono le Metamorfosi di Ovidio, e sarebbe un grave errore pensare che il loro influsso sui moderni si sia esaurito. Quan­to a Odisseo, o Ulisse, lo si incontra sempre, fino ai nostri giorni: è la prima figura entrata a far parte del patrimonio più profondo della letteratura universale, sarebbe difficilissimo trovare più di cinque o sei figure che abbiano una simile forza irradiante. [...]
Leonard Mazzone
INTRODUZIONE A ELIAS CANETTI
[...] La miglior testimonianza dell’abilità narrativa attribuita a Canetti dalla sua prima moglie si trova nelle sue opere, che comprendono un romanzo, tre drammi teatrali, sette quaderni di appunti, un racconto di viaggio, una raccolta di saggi e un’autobiografia in tre volumi. I libri pubblicati da Elias Canetti nel corso di oltre settant’anni danno un’idea, per quanto vaga e approssimativa, della versatilità stilistica del loro autore. Un simile elenco è però condannato a palesare una certa sterilità, non appena si pretenda di esaurire con esso la ricchezza e la complessità della biografia intellettuale di Canetti. All’appello manca peraltro – e non potrebbe essere altrimenti – un’opera a cui Canetti dedicò larga parte della sua vita, che per l’eterogeneità dei materiali raccolti, lo stile poetico e l’approccio multidisciplinare è stata unanimemente riconosciuta come inclassificabile per definizione da critici e apologeti: 'Massa e potere' riflette fedelmente
l’ostilità del suo autore nei confronti di ogni tentativo di disciplinare il sapere. Questa embrionale e parziale ricognizione sulla produzione complessiva di Canetti è sufficiente a vanificare sul nascere qualsiasi tentativo di incasellare un autore tanto poliedrico entro i ristretti confini di una o più discipline accademiche. La sola definizione che potrebbe essere scomodata per rendere giustizia all’unicità di questa figura intellettuale è anche la più vaga messa a disposizione dal nostro vocabolario: prima ancora che un romanziere, un drammaturgo, un grafomane o un saggista, il premio Nobel per la letteratura del 1981 fu anzitutto uno scrittore.
A colmare l’insufficienza di un’etichetta tanto generica quanto – oggi più che mai – inflazionata fu lo stesso Canetti nel volume 'La coscienza delle parole', che – eccezion fatta per il discorso intitolato 'Hermann Broch (1936)' – raccoglie i saggi scritti tra il 1962 e il 1976. Oltre a descrivere l’opera e a esprimere il proprio debito nei confronti dei principali modelli letterari che lo avevano ispirato – da Kafka a Kraus, passando attraverso Confucio, Büchner e Tolstoj – i saggi contenuti in questa raccolta specificano il senso della missione critica associata da Canetti alla sua attività di scrittore. Ad aprire e chiudere il volume sono due discorsi pronunciati a distanza di quarant’anni l’uno dall’altro, in cui l’autore chiarì il senso della sua professione, al punto da intenderla nei termini di una vera e propria vocazione. [...]

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