24 marzo 2021

ANCHE NOI VOGLIAMO RICORDARE DANTE

 


La mia primogenita, Irene, oggi insegna Lettere nelle scuole medie superiori. Ricordo ancora che, fin dal Liceo, amava a tal punto il nostro "sommo poeta"  che, quando la invitavo a scoprire anche i poeti contemporanei, affermava che nessuno era in grado di reggere al suo confronto. 

Oggi mi piace ricordare Dante con tre pezzi diversi scritti da autori che stimo. (fv)


Il Dantedì
Bernardo Puleio

Da un paio di anni, su iniziativa del giornalista della pagina culturale del Corriere della Sera, il siciliano Paolo Di Stefano, nativo della splendida provincia di Siracusa, si celebra questa giorno che, secondo molti, segnerebbe l'inizio del percorso oltremondano di Dante, lo smarrimento nella selva oscura.
In realtà, Il 25 marzo è una data fondamentale nella liturgia cattolica: è la giornata dell'Annunciazione.
Quest'anno il Dantedi, in occasione del VII Centenario della morte del poeta, assume un rilievo particolare.
E quindi il rischio di cadere in espressioni retoriche fuorvianti è altissimo.
A cominciare dal binomio Italia e Dante che è uno dei più usurati, a partire dall'epoca della occupazione nazi sabauda, per non parlare poi del Fascismo, fino ai giorni nostri.
Dante è patrimonio di tutti, e ognuno ha una sua idea del poeta.
Il "mio" Dante ha fornito alcuni contributi non retorici e non usuali: in primo luogo ha creato una coscienza antiretorica basata sul concetto di liberazione dal principio di autorità. Ha criticato, da intellettuale libero, che ha pagato un prezzo per la sua libertà, le autorità dell'epoca: Il papa e la chiesa tutta, l'impero degli Imperatori degenerati, e le divisive autorità municipali, autentici clan faziosi, generatori di sanguinose faide, per impadronirsi delle ricchezze dei cittadini. Ha cioè criticato il potere in ogni sua forma: questa coscienza critica, che non scende a patti, frutto di una personalità spigolosa, di un'anima di un autentico bastian contrario, non omologato e non omologabile, si basa sul secondo fondamentale aspetto di Dante uomo e letterato: il principio della conoscenza.
La conoscenza che in primo luogo deriva dalla ragione filosofica ( la riscoperta di Aristotele) declinata anche questa verso forme eretiche, la scuola parigina di Sigieri di Brabante, al di là di Tommaso e della Scolastica, la conoscenza basata sul lungo studio che è amore verso Virgilio e verso la tradizione pagana, quel che conosceva Dante della tradizione pagana, cristianizzata. Un intellettuale eretico politicamente scorretto e quindi libero che ci ha lasciato non solo un'opera monumento, frutto di un genio poetico unico e che tutto il mondo ammira, ma, soprattutto, ci ha lasciato la cosa più importante e più preziosa: l'Italiano. Dante ha fondato e creato la lingua italiana: il 90% delle parole da lui utilizzate è ancora oggi lingua viva.
il miracolo della sua poesia è frutto di un lungo incessante studio, di una ricerca di laboratorio per creare la lingua che è alla base della coscienza, che per Dante è in primo luogo coscienza critica, di una nazione. E la lingua di Dante è uno straordinario, trasversale, diacronico, esempio di ricchezza nazionale - popolare: la lingua, il plurilinguismo dantesco, la ricchezza di tante espressioni colte e popolari dantesche recitate a braccio da tante generazioni di italiani, tanto da parte dei colti, quanto dei semianalfabeti, al Nord come al Sud che hanno trovato nella Commedia, non nello Stato italiano ( né ovviamente quando l'Italia non aveva uno stato, ma neanche dopo: concetto di Stato italiano in Italia non è mai veramente decollato), lo stesso identico motore e centro di irradiazione.

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Dante: Incipit Vita nova

di Antonio Sparzani

Beatrice e Dante

Domani, 25 marzo, viene definito Dantedì, perché i valenti dantisti ritengono che il viaggio di Dante all’Inferno sia cominciato, nella smisurata e straordinaria fantasia del poeta, o magari nella realtà, non si può mai sapere, il 25 marzo. Mi propongo di mettere qui su Nazione Indiana, una volta al mese, dei piccoli frammenti di tutta la produzione di Alighieri Durante, detto Dante, senza commenti, che tanto dentro e fuori la rete se ne trovano innumeri, ma solo per il puro piacere di riassaporare, magari con qualche fatica, la dantesca lingua; invito chi vuole a leggerli adagio, a bassa o ad alta voce, come meglio crede, e a farseli scorrere nella testa. Comincio, in ordine temporale, con l’inizio della Vita Nuova, scritta tra il 1292 e il 1293, poco tempo dopo la morte di Beatrice (o Bice) Portinari, cui l’opera è dedicata. Ecco qua:

I
In quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’asemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.

II
[I] Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne li mènimi polsi orribilmente; e tremando, disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi». In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra». In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo, disse queste parole: «Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!». D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedèala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di Deo. E avegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire. E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e trapassando molte cose, le quali si potrebbero trarre de l’esemplo onde nascono queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.

Articolo ripreso da  https://www.nazioneindiana.com/2021/03/24/incipit-vita-nova/

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Dante poeta figurativo

La “Divina Commedia” illustrata: 156 tavole (97 dell’ “Inferno”), per una “guida visuale al poema dantesco”. Un regalo. Introdotto da Théophile Gautier, che nel 1861 presentava “il giovane artista”. Spiegando che Dante  non è “così astruso” come si dice: “L’oscurità di Dante è un pregiudizio”. Il poema richiede “una certa applicazione”, ma è di “plastica nitidezza”: “Quasi tutti i suoi versi sono quadri o composizioni”: ogni atteggiamento, ogni gesto, ogni cambiamento di colore o di forma della folla dei dannati è descritto con cura minuziosa”. E Doré è il più indicato a figurarlo: oltre al talento compositivo e grafico, egli possiede quell’occhio visionario di cui parla il poeta”.
E la “Commedia” si anima. Tra Ann Radcliffe e Piranesi, come dice Gautier, in “chimeriche architetture”,  ma “con un vivissimo senso della realtà e una potenza caticaturale straordinaria e selvaggia”, tipo Goya. I richiami più evidenti sono però, a sfogliare le incisioni, michelangioleschi, nelle nudità, in una con la contemporanea sensibilità preraffaellita delle figure femminili.
A partire dall’inverno 1860-1861 Gustave Doré invase la scena parigina con Dante”, secondo un recente agiografo dell’illustratore, Philippe Kaenel. Il Dante di Dorè è nato con le 75 tavole dell’“Inferno”, pubblicate nel 1861, un investimento importante, dell’incisore e  dell’editore Hachette, che fu promosso con una serie di manifestazioni. Tra esse il parigino salon annuale di pittura e scultura, dove Doré presentò anche una tela a grandezza naturale (mm. 3,15 x 4,5 – ora a Bourg-en-Bresse, “Musée de Brou”), “Dante e Virgilio nel nono cerchio dell’Inferno”, incentrata sul “fiero pasto” di Ugolino, con altri personaggi, compresi Paolo e Francesca.
Gabriele Baldassari presenta brevemente Doré.


Gustavo Doré, La Divina Commedia di Dante Alighieri, Oscar, pp. 167, ill. ril. € 22

 

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