Byung-Chul Han, nato a Seul, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino, è considerato uno dei più interessanti filosofi contemporanei. La sua riflessione verte principalmente sulla perdita del senso di comunità che ha come principale conseguenza l'isolamento narcisistico del singolo. Il qui e ora diventa l'unica dimensione possibile del vivere, così come la ricerca incessante di nuovi stimoli. Il tutto finalizzato alla produzione di sempre nuovi bisogni e dunque di nuove merci consumabili. Il consumo compulsivo diventa fonte di un benessere illusorio perché destinato a produrre sempre nuovi desideri. L'insoddisfazione, la solitudine interiore, la perdita di significato del vivere, un narcisismo estremo diventano gli elementi fondanti dell'esistenza. L'uscita da questa condizione estrema di alienazione consiste per il filosofo nella riscoperta del simbolo e del rito come elementi costitutivi centrali di ogni comunità. Byung-Chul Han ci addita questo percorso in un libro, non facile, ma affascinante ed estremamente ricco di stimoli. Ne proponiamo una sintesi delle prime pagine.
G.A.
Byung-Chul Han
La scomparsa dei riti
I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti (tessera hospitalis). L’ospite spezza a metà una tavoletta d’argilla e ne dà un pezzo all’altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. (...)
Il riconoscere vede il permanente nel fuggevole. La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità, stabilizzando la vita. L’esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente. I riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell’accasamento: essi trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa. Riordinano il tempo, lo aggiustano. (...)
Oggi al tempo manca una struttura stabile. Non è una casa, bensí un flusso incostante: si riduce a una mera sequenza di presente episodico, precipita in avanti. Nulla gli offre un sostegno, e il tempo che precipita in avanti non è abitabile. I riti stabilizzano la vita.(...) L’odierna coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di piú, di costringere a un maggior consumo. L’indugiare, d’altro canto, presuppone cose che durano; se le cose vengono solo usate e consumate, ecco che indugiare diventa impossibile. E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita smontando ciò che dura nella vita, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest’ultima si allunghi. (...)
Le pratiche rituali fanno sí che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con le cose: (...)
Oggi non consumiamo solo le cose, bensí anche le emozioni di cui si fanno portatrici. Le cose non si possono consumare senza fine, le emozioni sí. Cosí esse aprono un nuovo, infinito campo di consumo. L’emotivizzazione della merce e l’estetizzazione che l’accompagna sono sottoposte alla coazione a produrre; devono aumentare il consumo e la produzione. Cosí facendo, l’estetico si fa colonizzare dall’economico. Le emozioni sono piú fuggevoli delle cose, per cui non stabilizzano la vita. Inoltre, nel consumare un’emozione non ci si rapporta alle cose, ma solo a se stessi. Si cerca un’autenticità emotiva. In tal modo il consumo dell’emozione rafforza l’autoreferenzialità narcisistica. Il rapporto con il mondo, che le cose dovrebbero garantire, si perde sempre piú. Anche i valori fungono oggi da oggetto del consumo individuale, diventano a loro volta merce. Valori come la giustizia, l’umanità o la sostenibilità vengono sfruttati economicamente. “Cambiare il mondo bevendo tè”: ecco lo slogan di un’impresa di commercio equosolidale. Cambiare il mondo mediante il consumo – ovvero: la fine della rivoluzione. Di vegan esistono anche scarpe e vestiti, e chissà, forse arriveranno persino gli smartphone. Il neoliberismo sfrutta la morale da vari aspetti. I valori morali vengono consumati quali tratto distintivo. Vengono registrati sull’ego-account, il che accresce l’autostima. Essi fanno aumentare un narcisistico rispetto di sé. Tramite i valori non si fa riferimento alla comunità, bensí al proprio ego. Con il simbolo, con la tessera hospitalis, gli ospiti sigillano il loro legame. La parola symbolon è inserita nel medesimo orizzonte di significato della relazione, della totalità e della salvezza. Secondo il mito che Aristofane racconta nel Simposio di Platone, originariamente l’uomo era una creatura sferica con due volti e quattro gambe. Visto che era troppo esuberante, Zeus lo tagliò in due per indebolirlo. Da allora l’uomo è un symbolon che si strugge per l’altra metà, per una totalità salvifica. Cosí, in greco “mettere insieme” si dice symballein. I riti sono, in questa accezione, anche una pratica simbolica, una pratica del symballein, in quanto riuniscono le persone e creano un legame, una totalità, una comunità. Oggi il simbolico inteso come medium della comunità scompare a vista d’occhio. La desimbolizzazione e la deritualizzazione si presuppongono a vicenda. (…)
La scomparsa dei simboli rimanda alla crescente atomizzazione della società. Al contempo, la società diventa sempre piú narcisistica.(...)
Nell’epoca attuale la percezione simbolica scompare sempre piú a favore di una percezione seriale incapace di esperire la durata. La percezione seriale, quale presa di coscienza avanzata del nuovo, non indugia. Anzi, si affretta da un’informazione all’altra, da un evento all’altro, da una sensazione all’altra senza mai giungere a una conclusione. Oggi le serie sono cosí amate probabilmente perché corrispondono all’abitudine della percezione seriale che, sul piano del consumo mediale, conduce al binge watching, al guardare fino a cadere in coma. Mentre la percezione simbolica è intensiva, la percezione seriale è estensiva, e per via della sua estensità porta con sé un’attenzione piatta. L’intensità, al giorno d’oggi, cede ovunque il passo all’estensità. La comunicazione digitale è una comunicazione estensiva: non produce relazioni, solo connessioni. Il regime neoliberale forza la percezione seriale e rafforza l’attitudine al seriale. Cancella consapevolmente la durata per costringere a un maggior consumo. Il costante update, che è arrivato a riguardare tutti gli ambiti della vita, non consente alcuna durata, alcuna conclusione. La coazione permanente a produrre conduce a un disaccasamento (Enthausung), che rende la vita piú contingente, effimera e incostante, mentre l’abitare necessita della durata. Il disturbo da deficit di attenzione scaturisce da un incremento patologico della percezione seriale. La percezione non conosce quiete, disimpara a indugiare. La profonda attenzione, in quanto tecnica culturale, si costruisce proprio a partire dalle pratiche rituali e religiose. Non è un caso che la parola religione derivi da relegere, prendere nota. Ogni pratica religiosa è un esercizio d’attenzione, e il tempio è un luogo di profonda attenzione. (…)
Nei dispositivi neoliberali come l’autenticità, l’innovazione o la creatività è insita una coercizione permanente verso il nuovo. Ma, in fin dei conti, essi producono solo variazioni dell’Eguale. Il vecchio, ciò che è stato, che permette una ripetizione appagante, viene rimosso in quanto si contrappone alla logica proliferante della produzione. Le ripetizioni tuttavia stabilizzano la vita, il loro tratto essenziale è l’accasamento. Il nuovo si appiattisce rapidamente diventando routine, è una merce che si consuma e riaccende il bisogno di nuovo. La coazione a dover respingere tutto ciò che è routine produce altra routine. Nel nuovo è quindi insita una struttura temporale che sbiadisce presto in routine, senza consentire alcuna ripetizione appagante. La coazione a produrre in quanto coazione verso il nuovo non fa perciò che incrementare il pantano della routine. Per sfuggirle, per sfuggire al vuoto, ecco che consumiamo ancora piú cose nuove, nuovi stimoli ed esperienze. È proprio il senso del vuoto a trainare la comunicazione e il consumo. Il “vivere intenso” come da pubblicità del regime neoliberista altro non è che un consumo intenso. Dinanzi all’illusione del “vivere intenso” bisogna riflettere su un’altra modalità di vita, piú intensa dell’incessante consumare e comunicare. I riti creano una comunità della risonanza capace di armonia, di un ritmo comune: I riti creano assi di risonanza consolidati in chiave socioculturale, lungo i quali sono esperibili relazioni di risonanza verticale (verso gli dei, il cosmo, il tempo, l’eternità), orizzontale (nella società civile) e diagonale (in rapporto alle cose). Senza risonanza si viene ributtati in se stessi, si viene isolati. Il crescente narcisismo si oppone all’esperienza risonante. La risonanza non è un’eco del sé, le è anzi insita la dimensione dell’Altro, essa significa armonia. La depressione nasce al punto zero della risonanza. L’odierna crisi della comunità è una crisi della risonanza: la comunicazione digitale è costituita da camere di riverbero nelle quali si sente soprattutto la propria voce mentre si parla. I like, i friend e i follower non preparano alcun terreno risonante, rafforzano solo l’eco del sé. (...)
La digitalizzazione, da questo punto di vista, indebolisce il legame comunitario poiché da essa emana un effetto decorporeizzante: la comunicazione digitale è una comunicazione decorporeizzata. Nelle azioni rituali rientrano anche i sentimenti, ma il loro soggetto non è l’individuo per sé, isolato. Nel rito funebre, il lutto rappresenta un sentimento oggettivo, collettivo, è impersonale. I sentimenti collettivi non hanno nulla a che vedere con la psicologia individuale. Nel rito funebre, è la comunità il vero soggetto del lutto: dinanzi all’esperienza della perdita, è essa stessa che se lo impone, e questi sentimenti collettivi la consolidano. La crescente atomizzazione della società riguarda anche il suo equilibrio emotivo. I sentimenti comunitari si formano sempre piú di rado. In compenso, impulsi e ardori passeggeri, caratteristici di un individuo isolato, imperversano. Al contrario degli ardori e degli istinti, i sentimenti possono essere comunitari. La comunicazione digitale è in gran parte guidata dagli impulsi, ne favorisce l’immediato sgombero. Twitter si rivela un medium degli impulsi, e la politica che si basa su di esso è una politica impulsiva: la politica è ragione e mediazione, ma la ragione, che possiede una grande intensità temporale, oggi cede sempre piú il passo a impulsi momentanei.
La scomparsa dei riti
Una topologia del presente
Edizioni Nottetempo, 2021
15 euro
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