Revivre, ressentir…, by Véronique Paquereau
E' da tanto che voglio scrivere qualcosa sulla durata,
non un saggio, non un testo teatrale, non una storia –
la durata induce alla poesia.
Voglio interrogarmi con un canto,
dire e affidare a un canto
cos’è la durata.
Quante volte ho avvertito la durata
nei primi segni di primavera alla Fontaine Sainte-Marie,
nel vento notturno della Porte d’Auteuil,
nel sole estivo del Carso,
nell’incamminarmi all’alba verso casa dopo un’intesa.
Quel senso di durata, cos'era?
Era un periodo di tempo?
Qualcosa di misurabile? Una certezza?
No, la durata era una sensazione,
la più fugace di tutte le sensazioni,
spesso più veloce di un attimo,
non prevedibile, non controllabile,
inafferrabile, non misurabile.
Eppure con il suo aiuto
avrei potuto affrontare sorridendo ogni avversario
e disarmarlo
e se mi considerava un uomo malvagio
l'avrei convinto a pensare:
"Egli è buono!"
e se esistesse un Dio
sarei stato la sua creatura
finché provavo quella sensazione della durata...
...e mi venne così di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto,
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi,
in cui ci si sente avvolgere,
il momento in cui ci si sente raggiungere
da cosa? Da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono
assieme.
Peter Handke, Canto alla durata
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