30 marzo 2021

LA STORIA AL CONTRARIO DI FRANCESCA DE SANCTIS

 



LA STORIA AL CONTRARIO DI FRANCESCA DE SANCTIS

Il 24 settembre 2020 è uscito il romanzo “Una storia al contrario” (Perrone) di Francesca De Sanctis, tre anni dopo la chiusura dell’Unità, dove ha lavorato per quindici anni. È soprattutto di questo che si parla nel libro, del suo lavoro di giornalista in un quotidiano importante, storico, amato forse più di sé stessa. Ma anche della sua vita, fatta di continue cadute e ripartenze. “Ricominciando dall’inizio”, come scrive Gramsci, nella citazione in esergo, avrebbe potuto essere il sottotitolo. Perché è proprio questo che capita a Francesca, ricominciare ogni volta daccapo, dover giocare ai quattro cantoni, e lei è quella al centro, senza un posto.

Si parte dalla fine, dall’ultimo pezzo lasciato incompleto, relativo al Teatro Valle, il teatro più antico di Roma, che in tre anni di occupazione ha dato vita a spettacoli di ogni genere nella più completa libertà di espressione. Per la prima volta Francesca è costretta a lasciare un pezzo a metà, perché il suo giornale, l’Unità, ha cessato di esistere. Quindi il suo pezzo diventa inutile.

Dalla profonda amarezza di non poter più lavorare, nasce il resoconto dettagliato di una giornalista finita in cassa integrazione, che vede materializzarsi la fine dei suoi sogni. È una storia interrotta, o meglio, un sogno interrotto. Per Francesca scrivere articoli non è soltanto un mestiere, è anche e soprattutto un sogno. Qualcosa che cova nella sua testa fin da bambina, quando dopo la lettura del Diario di Anna Frank ha capito che la sua missione nella vita è “aiutare gli altri raccontando le loro storie”.

Ma prima di lavorare per un giornale deve combattere contro chi tenta di scoraggiarla, con frasi come “stanno aspettando proprio te”, mentre lei alimenta quel sogno comprando tutte le settimane i fascicoli di “Giornalista oggi”, e poi gli anni di studio: il liceo a Cassino, l’università a Bologna, la città “rossa e fetale” come cantava Guccini, dove è possibile iscriversi al DAMS, ma anche frequentare teatri, scoprire il cinema francese e fare una vita tutta diversa dalla piccola realtà di provincia.

La prima grande occasione arriva con l’esperienza da stagista a il Resto del Carlino, e poi il grande salto, l’assunzione a l’Unità, una testata storica, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Inizialmente con un contratto a tempo determinato. Francesca è felice, ma solo a metà, le manca troppo non poter vedere la faccia che avrebbe fatto suo padre a quella splendida notizia.

Vive con passione e determinazione tutto ciò che riguarda il suo lavoro, la redazione, il pezzo da scrivere rapidamente, prima dell’orario di chiusura, e nota fin da subito la poca propensione dei colleghi ad aiutarla, perché “il mondo del giornalismo è pieno di colleghi invidiosi attaccati alla propria poltrona che vivono con la paura che qualche trentenne possa rubargli il loro spazio”.

Nel suo racconto di giornalista all’Unità, non mancano i problemi, i sacrifici, i momenti drammatici, la difficoltà ad essere nello stesso tempo una lavoratrice, una moglie, una madre a tempo pieno. Al giornale può succedere di tutto, le notizie arrivano in qualsiasi momento. Poco prima della chiusura, o quando sei in ferie. E se ami questa professione fai tardi la notte, o abbandoni le tue figlie per scrivere il pezzo che non puoi mancare.

Poi, un giorno, quella frenetica felice quotidianità s’interrompe di colpo, il giornale cessa le pubblicazioni, e la vita di Francesca si blocca. Adesso non deve più “uscire di casa per prendere la metro, arrivare in redazione, andare in riunione, discutere con i colleghi sui temi a cui affidare le aperture di pagina, difendere gli spazi da dedicare alla cultura, agli spettacoli”, e il telefono smette di squillare. Tutto attorno a lei scompare: la redazione, i colleghi, il giornale da fare. Nella sua vita rimangono soltanto la casa e la famiglia.

“Quando perdi il lavoro non perdi solo le chiamate. Se ne va un pezzo importante di te, quello che avevi costruito col tempo e che d’un tratto è stato bombardato, sventrato.”

Francesca si ritrova sola, davanti al PC di casa. Non ci sono più colleghi con cui discutere, ora quello che può fare è proporre un articolo a un quotidiano o rivista, da freelance. Aspettare con fiducia la risposta. E quando tutto va per il verso giusto e il pezzo viene pubblicato, deve sopportare anche l’invidia o le bacchettate di qualche collega che non gradisce vedere il “suo” spazio occupato da un altro. Perché prima ci sono loro, bisogna “dare la precedenza agli interni, i collaboratori vengono dopo”.

E non è finita qui, ci sono delle “collaborazioni che vanno avanti, seppure con fatica, trascinandosi dietro anche l’umiliazione di dover accettare cifre ridicole per i pagamenti dei pezzi pubblicati e la sensazione di essere uno stalker se mandi una e-mail in più”. Senza contare le proposte che vengono rifiutate o non ricevono risposta, e nei casi peggiori il pezzo proposto viene assegnato ad un altro.

Francesca De Sanctis con una scrittura chiara, precisa, senza reticenze, ci restituisce la sua storia, ma anche quella di chissà quanti altri giornalisti che hanno vissuto più o meno le sue stesse gioie, paure, amarezze e delusioni.

E adesso, dopo una carriera invidiabile, si ritrova a quaranta anni senza più il suo posto, ad essere una freelance, destinata a una continua precarietà, che prova a vendere i suoi pezzi per due soldi, facendo il lavoro da casa. Lei che a venticinque anni lavorava già all’Unità con un contratto a tempo indeterminato e viveva dentro un sogno finito troppo presto. Ma, nonostante tutto, è ancora una farfalla in grado di volare.

Articolo ripreso da  https://www.minimaetmoralia.it/wp/recensioni/la-storia-al-contrario-di-francesca-de-sanctis/



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