Una parola del passato vista dal futuro
Alessandro GhebreigziabiherSiamo nel futuro, amiche. Siamo qui, davvero, amici. Mi rivolgo a voi, ora, su questo pianeta e tutti gli altri, universalmente connessi. Perché questo è il bello del futuro, vero? Non esistono più le reti, c’è n’è solo una a connettere tutte le creature viventi. Perché c’è n’è sempre stata solo una.
Come alcuni di voi sapranno, da molto tempo ho la passione di sfogliare le pagine della Storia con l’iniziale maiuscola alla ricerca di fatti che in qualche modo possano ispirare racconti con cui comprenderne meglio il senso. Tra essi trovo anche parole strane, davvero strane, e oggi vorrei parlarvi di una di esse. La parola è razzismo.
Sì, lo so, è davvero bizzarra, nessuno l’ha mai sentita tra voi, e proprio per questo mi sono impegnato a dovere alla ricerca di informazioni a riguardo e ho scovato scenari sugli umani del passato che non so come chiamare: sconvolgenti? Grotteschi? Ridicoli? Lascio a voi la scelta della definizione migliore.
A ogni modo, dovete sapere che la parola razzismo viene da razza o razze, altro termine del passato sconosciuto a noi gente del futuro. Si dà il caso, reggetevi forte, che gli abitanti della terra avessero diviso l’umanità… eh, sì, lo so, già questo vi risuonerà insensato, visto che uno dei principali fondamenti del progresso di cui ci gioviamo si basa sull’unire, giammai il dividere. Comunque, costoro avevano diviso gli esseri umani in inutili quanto incomprensibili ulteriori insiemi chiamati giustappunto razze.
Perché? A che scopo? Direte voi. Eh, già, bella domanda. Ma senza risposta, ecco, perlomeno ragionevole, insomma. Quello che è interessante è che tali razze venivano identificate tramite… sì, lo so, vi sembrerà incredibile. Già immagino quelli che mi daranno del raccontatore di balle. Ma non è una fake news, questa, è storia, cioè Storia, è accaduto per davvero, ho le prove: queste razze erano determinate dall’aspetto esteriore.
Ecco, l’ho detto, adesso ridete pure se volete, ma è così. Tra l’altro lo dimostrano i testi dell’epoca, i giornali, anche le immagini e i video. Ma non è tutto. Quando intendo aspetto esteriore, tra tutti i dettagli che lo compongono, quale elemento distintivo veniva considerato il colore della pelle.
So che sembra pazzesco, me ne rendo conto, ma è il passato, che volete farci? Ciò nonostante, presumo che – come il sottoscritto quando ho letto la prima volta di questa astrusa vicenda – adesso vi starete domandando cosa sia questo colore della pelle. In che senso, vero?
Ebbene, i nostri antenati si erano inventati letteralmente dei colori, con i quali a loro volta classificare le razze. Per capirci, quelli con la carnagione chiara – il che vuol dir poco, dipende sempre in relazione a cosa, come ben sapete… – erano i bianchi. Quelli della razza bianca, in altre parole. Gli altri, coloro i quali possedevano una tonalità di epidermide maggiormente scura rispetto ai precedenti, a seconda delle varie gradazioni venivano chiamati neri, gialli e anche rossi.
Immagino che a questo punto avrò già perso metà dei lettori. Mi rivolgo adesso a chi è rimasto. La vera assurdità non è questa, bensì in un’ulteriore invenzione, che sa più di delirio che semplice immaginazione. Riguarda l’idea… no, idea non è la parola giusta. Diciamo credenza, ecco, secondo cui una delle razze… – ho difficoltà a pensarlo, figuriamoci a scriverlo – una delle razze fosse superiore alle altre. E questo è il razzismo.
Cosa intendo per superiore? Già, altra bella domanda. Che so, più intelligente, migliore in generale, e addirittura maggiormente meritevole dei frutti di madre natura. Ora, è evidente che a quei tempi alcuni contrastassero tale pazzia in tutti i modi possibili, di questo gliene va dato atto. Pensate che costoro furono costretti addirittura a istituire una ricorrenza annuale per sottolineare l’assurdità di questo razzismo: la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale.
Capite quanto tutto ciò sia folle? Aver bisogno di celebrare ogni anno il 21 marzo una roba del genere. Sarebbe come ricordare la giornata contro quelli che sostengono che non abbiamo necessità di respirare, amare, abbracciarci, comunicare, perfino di camminare e alla fine del viaggio incontrarci l’un l’altro.
Sapete la verità? È per questo che ringrazio il cielo ogni secondo della mia vita di esser nato nel futuro…
Fonte: Storie e Notizie N. 1911
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