L’eredità della pandemia
Silvia RibeiroSappiamo tutti che con la pandemia le grandi piattaforme digitali e le società tecnologiche hanno accresciuto enormemente il loro potere e il loro controllo a scala planetaria. Sono già presenti in tutti i settori industriali, compresi cibo e agricoltura, e poi nel lavoro, l’istruzione, la sanità, la comunicazione, i sistemi di governo, i social network, i sistemi finanziari. Tutte e tutti siamo loro prede e il commercio dei nostri dati personali è la loro principale fonte di profitto. Non hanno, di fatto, regole da rispettare e il loro peso e il potere economico e di lobbying nei confronti dei governi nazionali e internazionali è senza precedenti. Sappiamo anche che hanno approfittato del virus per realizzare profitti impensabili. Le cifre lasciano sempre il tempo che trovano e si dimenticano in pochi minuti, ma, in certi casi, non è saggio ignorarle, benché parliamo certo di stime approssimate, probabilmente per difetto: dall’inizio della pandemia, i 10 uomini più ricchi del pianeta (7 sono proprietari di piattaforme e imprese digitali) hanno aggiunto più di 500 miliardi di dollari alle loro casse stracolme. Nel suo rapporto intitolato Il virus della disuguaglianza, Oxfam faceva l’esempio di Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Con la fortuna personale che ha accumulato tra marzo e agosto del 2020 avrebbe potuto pagare a ciascuno dei suoi 876.000 dipendenti un bonus di 105.000 dollari e continuerebbe ad essere ricco come all’inizio della pandemia. Sarà bene tenerlo a mente, quando si valuteranno, per esempio, le risorse per i sistemi sanitari, soprattutto nei paesi impoveriti. Secondo la stessa Oxfam, 9 persone su 10 di quei paesi quest’anno non avranno accesso ai vaccini, anche se molti dei paesi più ricchi hanno acquistato dosi per inoculare l’intera popolazione tre volte
Nessuno dimenticherà il 2020. Mai prima d’ora tanti auguri per il nuovo anno hanno riguardato la fine, il lasciarsi alle spalle, l’uscire da questo anno come dalla peste, letteralmente. Fanno eccezione molte delle più grandi aziende farmaceutiche, i titani della tecnologia e alcune altre multinazionali che hanno approfittato del disastro per raccogliere profitti in volumi che la maggior parte delle persone non può nemmeno immaginare. Profitti che sono basati anche su enormi sovvenzioni pubbliche e sul non pagare le tasse, in particolare da parte delle piattaforme digitali.
Secondo il rapporto Il virus della disuguaglianza (Oxfam, 2021), i miliardari le cui fortune sono state colpite hanno riconquistato il livello pre-pandemia in soli nove mesi, mentre la povertà nel mondo è notevolmente aumentata e continua ad aggravarsi. Per i miliardi di persone della popolazione del mondo in condizioni di povertà, riconquistare lo scarso potere d’acquisto che avevano prima della pandemia richiederà più di un decennio. E non è detto che ci riusciranno.
Dall’inizio della pandemia, i 10 uomini più ricchi del pianeta (sette dei quali proprietari di piattaforme e imprese digitali) hanno aggiunto più di 500 miliardi di dollari alle loro casse stracolme. Oxfam fa l’esempio di Jeff Bezos, attualmente il secondo individuo più ricco del mondo, fondatore della piattaforma digitale Amazon. Con la fortuna personale che ha accumulato tra marzo e agosto 2020, avrebbe potuto pagare a ciascuno dei suoi 876.000 dipendenti un bonus di 105.000 dollari e continuerebbe ad essere ricco come all’inizio della pandemia.
È venuta palesemente alla luce la distruzione o la mancanza di sistemi sanitari accessibili alla maggioranza in molti paesi. L’istruzione formale è stata gestita con grandi limitazioni e in modalità virtuale a tutti i livelli, facendo crescere il divario tra poveri e ricchi anche in questi settori. Il carico di lavoro per le donne è aumentato molto più che per gli uomini, come pure la violenza di genere.
Al brutale aumento della disuguaglianza già esistente, si è aggiunto il fatto che le misure restrittive per contenere il contagio hanno lasciato un importante segno negativo sulle relazioni sociali e un’ondata di riduzione delle lotte sociali, poiché le persone non potevano partecipare direttamente a proteste, riunioni, ecc. In modo analogo, le discussioni in seno alle Nazioni Unite sull’alimentazione, il cambiamento climatico e la biodiversità sono rallentate e divenute più ingiuste (a causa della lingua, dei fusi orari, dell’accesso a Internet), e le possibilità di partecipazione della società civile in questi settori sono state seriamente limitate. La tendenza dei governi del G7 nei confronti degli altri paesi è quella di rendere permanenti queste discriminazioni.
Per le grandi piattaforme digitali e le società tecnologiche, i profitti sono stati indescrivibili, non solo in denaro, ma anche a livello di potere e controllo. Sono già presenti in tutti i settori industriali (compresi quelli dell’agricoltura e dell’alimentazione), nel lavoro, l’istruzione, la sanità, la comunicazione, i sistemi di governo, i social network, i sistemi finanziari.
Tutti e tutte siamo loro prede, e il commercio dei nostri dati personali è la loro principale fonte di profitto. In pratica non sono regolamentate in alcun luogo, e si è appena iniziato timidamente a cercare di monitorarle in alcuni paesi, solo per aspetti parziali. Il peso e il potere economico e di lobbying di queste imprese nei confronti dei governi nazionali e internazionali sono senza precedenti, oltre al fatto che hanno il controllo dei loro dati e dei loro strumenti.
Alle misure di Twitter di chiudere gli account di chiunque, decidendo secondo i propri criteri e convenienze, si aggiunge il recente annuncio di Facebook e Instagram sulla chiusura degli account che commentano che i vaccini potrebbero non essere efficaci o che il virus potrebbe essere stato il risultato di manipolazioni di laboratorio. Oltre al fatto che c’è molta spazzatura su Internet (che le piattaforme incoraggiano), che siamo contenti che vengano cancellati i messaggi di Trump, o che siamo d’accordo o meno con posizioni critiche sui vaccini, il fenomeno della censura esercitato dai giganti della tecnologia apre una serie di preoccupazioni.
Mentre Facebook – il cui fondatore Mark Zuckerberg è uno di quei 10 uomini più ricchi del mondo – sostiene che i vaccini sono la soluzione alla pandemia e si arroga il diritto di decidere che cosa si può dire e chi può parlarne, Oxfam spiega nel suo rapporto che nove persone su 10 nei paesi poveri quest’anno non avranno accesso ai vaccini, anche se molti dei paesi più ricchi hanno acquistato dosi per inoculare l’intera popolazione tre volte. Il dibattito sui molti e diversi impatti di questo settore è urgente e non rinviabile.
Nonostante il disastro globale causato dalla pandemia, praticamente nulla è stato fatto sulle sue cause, il che significa creare le basi perché continuino a prepararsi le prossime pandemie. Ad esempio, non si è fatto nulla per fermare la distruzione della biodiversità, che aumenta con i megaprogetti minerari, i trasporti, l’energia, l’espansione della frontiera agricola (si veda il mio articolo dello scorso aprile: «Gestando la próxima pandemia»).
Il quadro è certamente desolante. Il fatto che molti aspetti del capitalismo siano venuti allo scoperto aiuta tuttavia a combatterlo. C’è una crescente rete di dibattiti e azioni tra comunità, organizzazioni e movimenti popolari che continuano ad operare con solidarietà, pensando, contestando e costruendo.
Fonte: «El legado de la pandemia», in La Jornada, 13/02/2021
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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