Enrico Giosuè Biraghi
Per una politica dell'inatteso
Per gentile concessione degli eredi la casa editrice di Roberto Massari pubblica le memorie del rivoluzionario surrealista Pierre Naville, originariamente apparse per le Èditions Galilée di Parigi nel 1977. La curatela della presente edizione è affidata a José Fernando Padova. Naville fu saggista marxista e prese le difese di Trotsky nel ’27.
Precursore del surrealismo è il movimento dada, il quale «sviscerava con molto spirito tutte le pubblicazioni che per tradizione veicolavano idee consacrate». Anche se «le sue navi incendiarie furono effimere», esse «si moltiplicavano silurando pubblicazioni venerabili a colpi d’innovazioni tipografiche e di un’elaborazione sintattica della pagina stampata». Da questa corrente il nucleo composto dai surrealisti si distacca presto. «Eravamo alla ricerca di luci più terrestri, di un meraviglioso più esplosivo», dirà Naville.
Vede allora la luce La Révolution surréaliste, rivista per la cui pubblicazione viene presa una speciale accortezza: «il tipografo fu scelto il più lontano possibile dalle botteghe in cui si confezionano edizioni d’arte». Lessico del surreale: beffardo, grottesco, ambiguo, macabro, perturbante, spugnoso. Gli aderenti al movimento provano l’impulso ad avventurarsi in dedali sinora inesplorati dalle correnti d’avanguardia, oltre ad analizzare i propri desideri inespressi e quelli che vien fatto per errore di contrariare. Si elevano alla forma sublime dell’arte i sussulti della coscienza, il prosciugamento dello spirito stremato da traumi e i sinistri presentimenti inascoltati - una forma di devozione per le percezioni sensoriali più minute. Non si pensi a un indugio di accento “psicologico”: le «logomachie freudiane» sono ormai lontane dalla nuova sensibilità, al pari di una psicanalisi troppo spesso consultata «come guida dei percorsi turistici dell’inconscio». Viene rigettata risolutamente ogni idea di canone, mentre si rifiutano con sdegno tabù e mode ideologiche in nome della vitale eruzione del vulcano della poesia e della volontà di compiere effrazioni contro ciò che è conforme ad ipocrite norme sociali; si critica poi l’individualismo della speculazione filosofica e quello della “vita privata”, «negata dal surrealismo fin dalla sua comparsa concertata». Prende forma un’inedita riflessione sulle proprietà dell’immagine, vista come «collisione abbagliata di due termini tratti da solitudini lontane» cui si oppone la prigione delle costrizioni sociali che «fin dall’infanzia siamo addestrati a trattenere e fissare sulle nostre retine e nella nostra faringe». Nasce una dialettica dell’«infinitamente sottile», vivente di molecolari e fortuite fusioni; fisica assai singolare, si direbbe “magica”, una paradossale logica della materia, legata alla vita - dice Éluard - «non come un’ombra ma come un astro». È il surrealismo un materialismo che appare terso.
Vengono inviate infuocate missive ai referenti dell’ordine concentrazionario borghese: i lacchè dell’ufficialità giornalistica, i primari corrotti delle istituzioni manicomiali, i ministri demagoghi, i rettori autoritari delle università europee, asiatiche, africane e naturalmente fra i destinatari c’è anche la «Chiesa di Roma».
«Meteora infrangibile» del movimento e uno dei suoi più importanti artefici - «se non il principale» per Naville - è il poeta Benjamin Péret. Nel ’30 aderisce alla Lega comunista e da allora lo si ritroverà sempre a fianco degli operai che insorgeranno in Brasile, Spagna e Messico. È su posizioni lontane da quelle dell’antimilitarismo morale, poiché «il fiore non merita la canna del fucile». Cosa potremmo temere dal futuro se «da qualche parte vi è un marinaio che la poesia di Péret trasforma in sognatore»? Ecco la metamorfosi cui pare invero essere “destinato” il cosmo, quell’infinito processo all’interno del quale l’uomo non è che un «eccesso di materia solare, con un’ombra di libero arbitrio come dardo» (René Char).
Da qui l’origine di una poetica dei suoni-rumori, che trovi gli archetipi e i simboli acustici primordiali e si metta «alla ricerca del valore tonale delle parole». Nello sguardo di Naville «la poesia è di per sé un modo di mantenere all’istante le proprie promesse nel semplice scintillio o nella dolcezza di una pupilla, se succede».
(L'Albatros n. 2 aprile/giugno 2021)
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