Esce oggi La poesia che cambia. Come si legge Dante di Marco Grimaldi, Castelvecchi Editore. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo il primo capitolo del volume. (da http://www.leparoleelecose.it/?p=41716)
Marco Grimaldi
1. Le parole e il mondo
Perché leggiamo ancora la Commedia? Prima di tutto perché è un’opera d’arte perfetta, nella quale Dante ha creato un mondo fantastico pienamente verosimile e coerente nel suo funzionamento. La leggiamo inoltre per il realismo. Nella letteratura medievale prima di Dante le descrizioni della natura, degli uomini e delle emozioni erano quasi sempre fondate su schemi fissi ereditati dalla tradizione, ed erano descrizioni spesso molto efficaci. Per questa ragione, oggi abbiamo l’impressione che i poeti prima di Dante guardassero raramente dal vivo la realtà – proprio come gli artisti prima di Giotto. Dante, che conosce a fondo e rielabora la letteratura latina e volgare, è invece un poeta della realtà, un poeta del mondo, di cui oggi ammiriamo soprattutto la straordinaria capacità di osservare le emozioni, le idee, i fenomeni naturali e di tradurli in immagini e parole. Tutto questo Dante lo fa nel momento stesso in cui fonda la tradizione letteraria italiana. Che è poi il motivo per il quale possiamo leggerlo ancora. Perché la sua lingua – quella di un poema che per sette secoli è stato copiato, stampato, commentato, letto migliaia di volte – è ancora la nostra lingua. E queste sono le ragioni principali – e importantissime – che si spiegano di solito a scuola e all’università.
2. Il commento inesauribile
La Commedia ha avuto una diffusione straordinaria, fin da quando il poeta era ancora in vita (il poema circolava, in parte, prima del 1321). Ed è diventata rapidamente un classico anche perché fin dalle primissime fasi della divulgazione è stata accompagnata da commenti e apparati didattici, come era accaduto fino ad allora solo con le grandi opere dell’antichità presenti nel canone delle scuole e delle università medievali. Nessun altro classico della letteratura italiana ha una tradizione di commenti così ampia e precoce. Di fatto, la tradizione dei commenti alla Commedia è continua e ininterrotta. Come ha scritto il poeta russo Osip Mandel’štam: «Il commento (esplicativo) è parte integrante, strutturale, della Commedia». Il poema, in altre parole, non è mai stato e forse non può essere letto senza commento.
La Commedia viene letta dagli intellettuali, dai mercanti, dai religiosi; viene citata e riutilizzata nei trattati, nelle prediche, nei documenti pratici; i suoi versi sono imitati ripetutamente in forme poetiche molto diverse. E il poema arriva molto presto, già nel Trecento, fuori d’Italia: soprattutto in Francia, in Spagna, in Inghilterra. Ciò vuol dire che molte generazioni di italiani, e poi di europei, hanno appreso che cos’è la poesia leggendo Dante; leggendo Dante hanno imparato a guardare la realtà, a giudicare i vivi e i morti; leggendo Dante hanno scoperto che cosa vuol dire amare, peccare, esercitare la virtù; leggendo Dante hanno formato le loro idee sulla Chiesa, sull’Impero, sulla nobiltà, sulle grandi dinastie europee, sulla poesia, sulla teologia, sulla dottrina cristiana. Insomma, in tutta Europa e poi nel mondo, per molte generazioni, la Commedia, assieme soprattutto alle poesie liriche, è stata anche un’enciclopedia del sapere, un manuale di istruzioni per il presente. Anche oggi siamo liberi di usare Dante in questo modo. Ma dobbiamo saperlo leggere, attraverso la tradizione dei commenti. E dobbiamo fare molta attenzione a non superare i limiti dell’attualizzazione. Dante può ancora insegnarci molte cose, ma non è un nostro contemporaneo.
3. La ragione pratica
Leggiamo ancora la Commedia anche perché ha un messaggio profondo che non smette di interessarci. Dante è un poeta cristiano e non è quindi possibile mettere da parte o sottovalutare la componente propriamente religiosa del poema, nel quale ha cantato «con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore, comprendendoli mirabilmente», come scriveva Benedetto XV nell’enciclica del 30 aprile 1921 per il sesto centenario della morte. Ma non è necessario essere cattolici per apprezzare tutta la profondità del messaggio della Commedia. Ancora oggi, infatti, quando molti non credono più nell’esistenza di Dio e pochi in un sistema di pene e di ricompense nell’aldilà, tutti hanno comunque un’idea di che cosa dovrebbe accadere dopo la morte. Il nostro mondo morale continua a fondarsi principalmente su quelli che Kant definiva i postulati della ragion pratica: l’immortalità dell’anima, l’esistenza di Dio e il libero arbitrio. La Commedia mette in scena questi postulati: ci racconta che cosa accade dopo la morte ed è un altissimo elogio del libero arbitrio, della piena responsabilità dell’uomo nella determinazione del proprio destino. E la leggiamo anche perché è un’opera scritta per cambiare la vita degli uomini, come Dante ci dice in maniera molto chiara: il fine del poema è togliere i viventi dallo stato di infelicità in questa vita e guidarli alla felicità. Non è arte per l’arte, è arte per la vita.
4. Teoria dei generi
Eppure, Dante non è nostro contemporaneo. Non lo è perché crede in tutta una serie di cose che non ci appartengono più: crede che la donna sia intellettualmente inferiore all’uomo per natura, che l’omosessualità sia un peccato, che la sete di conoscenza degli uomini debba avere dei limiti. Per questo, ad esempio, non ha fondamento storico l’idea che Dante abbia voluto rivoluzionare il modo di concepire il comportamento della donna. Certo, Beatrice è il personaggio più importante della Commedia; ma dal punto di vista di Dante è anche una donna chiusa nel suo ruolo di genere. Cercare di separare Beatrice dal modo in cui Dante, come tutti gli uomini del suo tempo, concepiva i rapporti di genere, significa non comprendere che l’esaltazione della donna – già tipica della letteratura cortese – era possibile solo all’interno di quei ruoli. Dante non vuole ribaltare il modo di concepire il rapporto tra sesso e genere: vuole esaltare la virtù, l’umiltà e la bellezza di una donna la cui immagine tende a coincidere con quella della Vergine Maria. E in questo non c’è nulla di contemporaneo. Non ha senso tentare di avvicinare Dante alla nostra concezione dei rapporti tra i generi.
5. Vicino e lontano
In questa operazione di distanziamento, tuttavia, non bisogna andare oltre certi limiti. Una volta mi hanno chiesto: “come si fa a spiegare agli studenti che l’amore di cui parlano Dante e Cavalcanti è una cosa completamente diversa da quello che si intende oggi?”. Ora, questa prospettiva è molto cauta, ma è giusta solo in parte. L’amore di cui parlano Dante e Cavalcanti è infatti lo stesso amore che intendiamo oggi. Lo è perché le nostre emozioni, le nostre sensazioni (il brivido che si prova davanti alla persona che si ama, il desiderio di possesso, la gelosia) sono esattamente le stesse che descrive Dante. Per questo è così facile sentirsi coinvolti dal canto di Paolo e Francesca, che parla del momento in cui ci si innamora e dell’impossibilità di resistere al desiderio. Quello che è completamente diverso è il sistema di idee all’interno del quale Dante inserisce quella cosa che chiamiamo amore. Un sistema che condanna duramente, senza appello, Paolo e Francesca. Il personaggio di Dante prova compassione e sviene perché Dante, in quanto autore, intende condurre il lettore a identificarsi il più possibile con il pellegrino, perché i protagonisti dei romanzi cavallereschi svengono di continuo e perché già nelle visioni medievali chi compie il viaggio nell’aldilà (san Paolo, per esempio) si impietosisce per i dannati e viene esortato dalla guida (un angelo, di solito) a condannarli e a passare oltre. Ed è questo sistema di idee che dobbiamo cercare di ricostruire oggi per capire Dante. Ma per capirlo dobbiamo conoscere l’italiano antico, la storia e la filosofia del Medioevo. È la funzione della scuola: non quella di fare leggere Dante a tutti gli studenti, ma di dare a tutti le conoscenze necessarie per poter leggere Dante.
6. Il nostro tempo
Molti si chiedono, e chiedono spesso agli studiosi, se Dante offre soluzioni per i mali del nostro tempo. Io penso che se a volte sembra offrirle – se qualcuno crede di poter trovare in Dante delle soluzioni – nella maggior parte dei casi non sono soluzioni compatibili con la nostra vita di uomini moderni. Pensiamo alle idee politiche, per esempio alle teorie per risolvere il problema della cupidigia. Siamo liberi di considerare Dante un precursore delle critiche al capitale, all’accumulazione finanziaria, all’Europa delle banche. Ma quando lo facciamo dobbiamo sapere che la soluzione politica ed economica di Dante era concentrare tutto il potere e tutta la proprietà nelle mani di un imperatore assoluto che proprio perché possiede tutto non desidera nulla e mette in questo modo un freno ai desideri smodati di tutti gli altri governanti, portando così pace e felicità nel mondo. Questa è la soluzione di Dante, che oggi – credo – piacerebbe a pochi.
7. La poesia che aiuta a vivere
Quello che dovrebbe interessarci di più è il fatto in sé che Dante avesse una soluzione per i mali del suo tempo. Leggendo Dante veniamo infatti a contatto con un’idea di poesia e di letteratura molto diversa da quella oggi più comune. Basta pensare a Bob Dylan, premio Nobel per la Letteratura nel 2016, che quando gli si chiede cosa significano le sue canzoni dichiara di non volere essere dipinto come “un uomo con un messaggio”. Dante la vede in maniera completamente diversa: è esattamente il contrario di Dylan, è un uomo con un messaggio. Anzi: è un poeta con un messaggio. Un poeta che vuole cambiare la realtà, che vuole trasformarla, che ama, odia e si vendica dei nemici scrivendo la Commedia. Dante non canta solo per sé. Canta per gli altri, nel bene e nel male.
8. La storia del nostro peregrinare
La grandezza della Commedia sta quindi nella lingua in cui è scritta (che è ancora la nostra lingua perché Dante è davvero, come abbiamo imparato a scuola, il padre della lingua italiana). Sta nel mondo possibile che Dante ha creato, un mondo nel quale tutto è fantastico (il viaggio di un uomo nell’aldilà, i suoi incontri con le anime, i diavoli, i mostri, gli angeli e alla fine la visione diretta di Dio) eppure tutto è incredibilmente reale, perché Dante è un poeta della realtà che ci fa vedere le emozioni e la natura e che ci spiega la storia e le idee. E la grandezza sta anche nella sua idea di poesia, una poesia che cambia la realtà, che cambia gli uomini, che aiuta a vivere virtuosamente sulla terra.
Ma c’è anche un’altra ragione per cui leggiamo ancora la Commedia: perché è forse in assoluto l’opera letteraria nella quale è più esplicito quel meccanismo per il quale tutti noi tendiamo a riconoscere la nostra storia nelle storie che leggiamo, cercando qualcosa che ci riguardi profondamente e che sia ancora vivo, attuale, presente. È un concetto che esprime molto bene Francesco Petrarca quando nel Secretum racconta come nelle Confessioni di Agostino aveva l’impressione di leggere non la storia degli altri, ma quella del suo proprio peregrinare.
In Dante il meccanismo è più esplicito: quella che sta raccontando è la storia di un singolo uomo che vuole ritrovare sé stesso, che vuole superare il peccato e per farlo deve conoscere ciò che accade nell’aldilà. Ma è anche la storia dell’umanità intera. Dante aveva certamente previsto che sarebbe scattato quel meccanismo di riconoscimento e scrive la Commedia sapendo che tutti i lettori futuri avrebbero ritrovato nel suo viaggio la storia del loro peregrinare. E non perché Dante possa offrire risposte ai problemi del presente, ma perché leggendo la Commedia torniamo a interrogarci sulle domande fondamentali – la libertà, la giustizia, la vita oltre la morte, il senso dell’esistere, l’esistenza di Dio.
9. Una poesia di appartenenza
In una delle più belle poesie di Satura, Montale scrive:
Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno.
Montale risponde a una critica e per spiegare che la sua non è una poesia senza destinatario si rivolge a un tu – alla donna che ha amato – e dice che, proprio per aver parlato a lei, la sua poesia appartiene a qualcuno, è una poesia che si spinge all’esterno, che non è ripiegata sull’interiorità del poeta. Dante avrebbe potuto rispondere più o meno allo stesso modo – «Ma s’era tua era di qualcuno» – perché tra gli aspetti più straordinari della Commedia c’è che il poema è pensato per lodare una donna che incarna la perfezione cui possono tendere tutti gli uomini e che questa donna occupa un posto centrale in Paradiso. La Commedia appartiene a qualcuno perché appartiene a Beatrice.
Ma Dante avrebbe potuto rispondere anche in un altro modo. Avrebbe potuto dire: «se era mia era di tutti». Perché la Commedia è la storia di Dante e Beatrice, ma è anche la storia di tutti noi, la storia del nostro peregrinare.
Castelvecchi editore © 2021 Lit Edizioni s.a.s
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