22 maggio 2021

QUANDO GIORGIO RUFFOLO ERA TROTSKISTA

 

Ma quanto erano simpatici questi trotskisti. Ricordi di un rivoluzionario diventato ministro

 



Pochi, al di fuori ovviamente degli addetti ai lavori, probabilmente sanno che Giorgio Ruffolo, prestigioso economista e infine per cinque anni ministro, fu in gioventù fra i fondatori e i dirigenti dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari, sezione italiana della Quarta Internazionale trotskista. Da un suo garbatissimo e ironico libro di memorie, uscito qualche anno fa e di cui consigliamo la lettura, riprendiamo alcuni passi che ricostruiscono alla perfezione il clima in cui in Italia (e non solo) fra il 1948 e il 1956, nacque e operò la minoranza rivoluzionaria trotskista. (I titoletti sono nostri)

Ma il compagno Togliatti può sbagliare?

Correvamo anche qualche rischio. Non tanto da parte della polizia, che si limitava a schedarci (la cosa preoccupò solo gli americani, che molto più tardi mi negarono il visto),quanto dei nostri comunisti, che qualche volta ci aggredirono, anche fisicamente. Erano (stati) convinti che fossimo provocatori fascisti. Non sempre, però. Talvolta non capivano bene chi fossimo e ci lasciavano parlare.

Nella sezione di San Lorenzo qualcuno interruppe Maitan, chiedendogli: «Ma allora, secondo te, Togliatti si sbaglia?».

«Sì», rispose lui dopo qualche esitazione. Silenzio tombale.

«Ma se il compagno Togliatti sbaglia, allora sbaglia anche il compagno Stalin?».

Livio raccolse tutte le sue forze.

«Sì, anche Stalin sbaglia».

A quel punto, quando già stava per coprirsi la testa, scoppiò una gran risata. I compagni, evidentemente, l’avevano preso per matto.

Questo era il clima, nel grande partito. Non soltanto nella base, ma anche tra i suoi prestigiosi intellettuali. Uno dei più assurdi, Felice Platone, il manipolatore della prima edizione degli scritti di Gramsci, scrisse: «Solo dei mentecatti possono mettere in dubbio che l’Unione Sovietica sia la patria del socialismo»

I trotskisti e il calcio

Praticavano un’opposizione inflessibile, non una lotta di religione. Lo stalinismo non era da loro considerato una perversione infernale, ma una deviazione temporanea; il Partito comunista, una forza tuttora disponibile per la rivoluzione; l’Unione Sovietica,un grande paese tuttora socialista, da difendere contro le aggressioni del capitalismo internazionale.

Personalmente, erano molto più simpatici dei burocrati del Cremlino, certo, ma anche dei comunisti nostrani,quando questi erano in servizio. Erano umani, come tutti i perseguitati. Ciascuno di essi si portava dietro un romanzo di battaglie combattute su due o tre fronti, di tormenti patiti, di ingiustizie e calunnie subite, di familiari incarcerati e massacrati, di terrore e di solitudine.

C’erano di quelli che avevano sperimentato tutti e due i «campi», il lager e il gulag: come due tedeschi che incontrai a Parigi, si chiamavano Hippe e Haas, erano stati per anni nei campi di Hitler e poi, consegnati ai russi dopo il patto tedesco-sovietico, in quelli di Stalin: tutta una vita. Erano bianchi come sedani.

Di alcuni personaggi conservo un ricordo particolarmente vivo. Ernest Mandel, che ho già evocato, per esempio. Logico inflessibile,con tendenza spiccata, come lui stesso diceva, al talmudismo, teorico rigoroso, erudito enciclopedico. E anche incredibilmente ingenuo. Era stato a Milano e ci disse entusiasticamente di avere letto sui muri scritte inneggianti all’Inter. Non aveva pensato che si trattasse di una squadra di calcio, ma dell’Internazionale [trotskista].

La segretezza prima di tutto

Cornelius Castoriadis, economista, filosofo, psicanalista, che girava a Parigi con una vecchia Pontiac priva dello sportello posteriore, sicché da dietro spiccava il suo crapone calvo e lucido. Era funzionario dell’Oecd (ci rimase per vent’anni) con l’ufficio a due passi dal mio.Nessuno, io per primo, sapeva che si chiamava anche Pierre Boulez (e anche Jean-Marie Coudray , e anche Paul Cardan) e che dirigeva la rivista «Socialisme et barbarie». Quando un giorno mi incontrò per le scale mentre l’avevo tra le mani, impallidì: forse pensò a un messaggio cifrato, o a una provocazione. Ci scherzammo insieme, più tardi.


(Da: Giorgio Ruffolo, Il libro dei sogni. Una vita a sinistra raccontata a Vanessa Roghi, Donzelli, 2007)

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