Il corpo disarticolato del sesso vincitore
Lea MelandriCome si è potuto credere che le donne siano sessualità, maternità (che facciano o non facciano figli), particolarmente e naturalmente propense al dono, al sacrificio di sé, a un insoddisfatto eterno bisogno d’amore e di protezione, alla disperata ricerca di un uomo che le confermi della loro esperienza e del loro valore?
Come si è potuto credere che le donne siano sessualità, maternità (che facciano o non facciano figli), particolarmente e naturalmente propense al dono, al sacrificio di sé, a un insoddisfatto eterno bisogno d’amore e di protezione, alla disperata ricerca di un uomo che le confermi della loro esperienza e del loro valore? Che si accontentassero di completare la natura mancante del “triste fratello” (Aleramo)? Che diventassero, da orfano della famiglia umana tutt’al più quell’uomo-femmina che completa la personalità del soggetto unico della storia? Cioè l’androgino.
Non la costruzione dei generi, il loro confinamento in caratteri “naturali” immodificabii a uso dell’uomo, ha strutturato quel perverso legame di amore e odio tra uomini e donne, che conosciamo. Al fondo c’è il dualismo sessuale – la problematica Lgbtqui non parla di identità di genere ma di dualismo sessuale -, la scissione dell’umano in parti tra loro inscindibili: il corpo e il pensiero, la biologia e la storia, la cura dei figli e l’impegno civile del maschio. L’uomo si è identificato con quel corpo potente e prezioso, che l’ha generato, e dividendolo, come succede spesso, vi ha imposto il suo dominio, legando amore e odio ha impedito di vedere l’interezza di due individui di sesso diverso.
Complementari, l’uomo e la donna continueranno a farsi la guerra per quella parte mutilata di sé che pensano di poter ottenere solo attraverso l’altro. Con la violenza e con l’amore.
Siamo ben lontani da una questione di generi o di stereotipi. Aver incarnato un parte dell’umano è ciò che tiene incatenati vincoli tra i sessi di per sé non necessari. E fonti di violenza.
È sulla onnipresente figura della madre che l’uomo ha costruito il suo ambiguo duraturo dominio, destinato a estendersi finché la donna non riconoscerà, senza mediatori, la sua singolarità incarnata, anima e corpo.
La Ragione Weiningeriana all’inizio del Novecento è chiaro che non avrebbe retto alle potenti pulsioni sessuali, erotiche, guerresche, che non hanno mai smesso di muovere la storia.
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