Con questo articolo – tratto dal Manifesto Sardo www.manifestosardo.org – inauguriamo una rubrica che vuole mettere a fuoco il complesso tema dei rapporti tra salute e ambiente. In particolare l’autore del pezzo seguente, Piero Careddu, sommelier magistrale e chef di eccellenza, spiega come mai quasi tutto ciò che arriva sulla nostra tavola è costituito da veleni e inganni. F. V.
L’idea centrale di questa rubrica è quella di ragionare su alimentazione e tradizioni con lo sguardo rivolto al disastro ambientale. Tenteremo di spiegare che praticamente tutto ciò che arriva sulla nostra tavola è costituito da veleni e inganni e che la principale colpevole della distruzione del pianeta e della nostra salute è l’agricoltura intensiva, insieme a un’idea di sfruttamento della terra e degli animali che ha come unico obbiettivo il profitto sopra ogni altro valore. Il rischio di essere accusati di fare terrorismo è forte ma, incurante di questa insidia, aggiungerò al concetto che qualsiasi articolo, qualsiasi manifestazione, iniziativa e dibattito su ecologia e distruzione del pianeta, è sempre troppo poco rispetto al dramma di un’apocalisse non troppo lontana.
Bottiglie senza radici. Un buon punto di partenza per questo percorso di analisi è il vino: elemento cardine della cultura alimentare quotidiana di gran parte degli esseri umani, impregnato di una grande quantità di valori simbolici e spirituali, negli ultimi settant’anni ha subito importanti mutamenti organolettici e concettuali che lo stanno privando di quella grande capacità di essere messaggero delle tradizioni e del linguaggio di un territorio. Utilizzerò il pretesto della vite e del vino per iniziare questo viaggio della speranza verso un’agricoltura che ponga al centro la salute e non gli utili netti delle multinazionali produttrici di fitofarmaci e pesticidi, ma vorrei precisare che i concetti che esprimerò più avanti valgono per qualsiasi prodotto della terra e , di conseguenza, per gli animali da allevamento.
Proviamo a vedere da vicino il modo naturale di nutrirsi della vite.
La parte “sotterranea” della pianta è costituita da un impianto di radici primarie grosse e legnose, che si sviluppano per pochi metri e hanno la funzione principale di ancoraggio al terreno, e un più complesso sistema di radichette secondarie, o peli radicali, che in condizioni di normalità può arrivare a molte centinaia di metri esplorando il terreno e individuando il nutrimento migliore per la pianta. I fertilizzanti chimici sono costituiti soprattutto da sali minerali che, somministrati disciolti in acqua, hanno sulla pianta un devastante effetto di mutazione di abitudini e personalità:
a) alla vite che beve quantità prestabilite di sali viene tolta la capacità di decidere, in sinergia con la luce solare, come e quando nutrirsi.
b) grazie al nutrimento artificiale le radici secondarie non hanno più voglia e bisogno di scavare nel terreno alla ricerca di “cibo”. Questo porta alla morte di quell’universo sotterraneo costituito, oltre che dai peli radicali, da tutta una serie di microorganismi che convivevano armonicamente e che conosciamo comunemente come humus. Aldilà della caduta di personalità di vini prodotti da piante incapaci di leggere ed esplorare il proprio terreno, la scomparsa progressiva dell’humus ha privato la terra di un importante filtro: di conseguenza tutto ciò che è farmaco, diserbante, pesticida riesce ad arrivare alle falde acquifere inquinandole.
c) nutrendosi di sale la pianta ha sempre maggiore bisogno d’acqua e irrigazione e questo stride non poco con la fase di emergenza idrica che attraversiamo. Inoltre l’eccesso d’acqua si insinua nei tessuti appesantendoli a discapito di qualità organolettiche e nutritive e li rende maggiormente attaccabili da parassiti fungini rendendo inevitabile l’uso di ulteriori prodotti chimici che rimangono nella pianta e in un terreno sempre più avvelenato!
d) dicevo che il metabolismo della pianta è regolato dalla luce e che la nutrizione artificiale ignora completamente le esigenze metaboliche della vite che accumula sali minerali in quantità eccessiva senza riuscire, appunto, a metabolizzarli. Questo eccesso di salinità fa letteralmente impazzire la povera pianta che cerca di difendersi dallo stress da ipernutrizione chiudendo gli stomi e limitando quella fotosintesi che è la base naturale del nutrimento biologico di tutto il regno vegetale.
Il fatto che in circa otto/nove mesi un vigneto si trasformi, da distesa spoglia e scheletrica, in un trionfo di materia sotto forma di foglie, raspi e acini e frutto della fotosintesi: carbonio gassoso trasformato in solido grazie all’aiuto del sole. La foglia, la maggiore utilizzatrice di energia solare dell’universo, già stordita dai trattamenti e dallo stress salino interrompe la fotosintesi con la conseguenza, tra le altre, di perdere aromi e polifenoli fondamentali nella costruzione della VERA personalità di un vino. (continua)
Piero Careddu
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