ARCHIVIO DELLA MEMORIA : U PIRITU DI LU IURNATERI
Proletari, storicamente ed etimologicamente, sono stati coloro che, come unica proprietà, hanno avuto soltanto prole, ossia figli. Con l’avvento dell’economia capitalistica la forza lavoro dei proletari divenne una merce tra le tante. E, nei primi anni del capitalismo, prima che il movimento operaio prendesse coscienza del proprio valore, la forza lavoro era considerata una delle merci più vili. Anche per questo i proletari erano costretti a prestare la loro forza lavoro per salari miserabili.
Nella Sicilia dell’ultimo dopoguerra le condizioni di vita dei contadini poveri (li iurnateri) erano peggiori di quelle dei proletari del primo capitalismo. L’economia dell’isola girava attorno al latifondo ed era ancora in uso l’aratro a chiodo del periodo neolitico. I latifondi erano amministrati dai gabelloti mafiosi che costringevano i braccianti (iurnateri) a lavorare da li stiddi a li stiddi per salari di fame ( spesso anche solo per avere un po’ di grano da seminare nel proprio fazzoletto di terra) .
Vincenzo D’Aversa, il contadino che abbiamo già conosciuto e mostrato nei precedenti documenti, in quest’altra testimonianza racconta di un compagno intento a faticare con “ermitu e faucia”, a “scuttare” il suo misero salario, mentre viene colto da una urgenza fisiologica. Il contadino non riuscendo a controllarsi, mentre era impegnato nel suo duro lavoro, emise un "piritu" e subito dopo, per dissimulare il proprio disagio, esclamò ad alta voce la frase “A la facci du patruni!”.
La frase, colta a volo dal gabelloto che controllava a vista i lavoratori, viene intesa immediatamente come un intollerabile segno di insolenza nei suoi confronti oltre che come un pericoloso segno di ribellione nei confronti di un consolidato sistema di potere.
Ma l’arguto contadino, con grande abilità dialettica, riesce a capovolgere il senso delle sue parole confondendo il gabelloto.Franco Virga
Ezio Spataro
Ciro Guastella
Vincenzo D'Aversa
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