Il 23 agosto 1927 Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco (nella foto), due italiani emigrati negli USA, venivano ingiustamente condannati a morte. Un libro raccoglie ora le loro ultime lettere.
Giorgio
Boatti, Le ultime
lettere di Nicola e Bart
Sono
trascorsi pochi minuti dalla mezzanotte, quando, il 23 agosto 1927, nel braccio
della morte di Cherry Hill, le luci che illuminano gli ambienti claustrofobici
del penitenziario di Stato del Massachusetts tremolano. Per alcuni
interminabili secondi sembrano prossime a spegnersi. Poi si riprendono. Una,
due, tre volte. È il segno che la sedia elettrica è all’opera: viene eseguita
la sentenza contro gli anarchici Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, accusati
di aver ucciso due persone nel corso di una rapina avvenuta, nella primavera
del 1920, a South Braintree, nei dintorni di Boston.
Sin
dall’arresto, il 5 maggio 1920, i due italiani si sono dichiarati innocenti.
Contro la sentenza capitale che li colpisce sono state raccolte, in tutto il
mondo, 50 milioni di firme. E figure di spicco di ogni schieramento, dentro e
fuori gli Stati Uniti - da John Dewey a Romain Rolland, da Stefan Zweig a
Maksim Gorkij, da Benedetto Croce a Bertrand Russell - hanno chiesto
ripetutamente che il processo a loro carico venisse rifatto, acquisendo le
rilevanti prove in grado di scagionarli. Non ultima la confessione del giovane
pregiudicato portoghese Celestino Madeiros - il terzo condannato a salire sulla
sedia elettrica in quel 23 agosto - che arrestato nel novembre del 1925 ammette
la partecipazione alla rapina di South Braintree escludendo però ogni
coinvolgimento dei due italiani.
Pur
battendosi sino all’ultimo per far prevalere la verità, Sacco e Vanzetti -
bersaglio di fallaci riconoscimenti orchestrati dagli investigatori, ignorate
le testimonianze a difesa raccolte tra i propri connazionali («state attenti ai
dagoes che stanno compatti» dice l’accusatore Katzmann ai giurati, allertandoli
alla diffidenza verso gli italiani, i «dagoes» appunto), irrisi i loro validi
alibi - intuiscono di essere caduti in ostaggio di una durissima
contrapposizione politica, etnica e di classe. Vittime sacrificali di un
conflitto sociale che in quegli anni, negli Usa, sfocia spesso in episodi di
raggelante violenza: dove all’impiego di squadre armate da parte delle aziende
si risponde con altrettanta durezza da parte dei lavoratori, innestando un
ciclo di repressioni che irridono ogni legalità e di provocazioni che
calpestano ogni umanità.
È il caso, a
pochi giorni dall’incriminazione ufficiale di Sacco e Vanzetti, della bomba
anarchica che esplode nel cuore di Wall Street provocando 33 morti e duecento
feriti. Qualche mese prima un anarchico, Andrea Salsedo, amico dei due
italiani, mentre era trattenuto illegalmente da agenti federali, è volato giù
da una finestra del 14° piano di una sede dell’Fbi. Di tutto questo, e
soprattutto delle loro vite e della vicenda giudiziaria che li riguarda, parla,
con grande forza documentaria e fulminante immediatezza, il bel libro che,
curato da Lorenzo Tibaldo e con la prefazione di Furio Colombo, raccoglie di
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti Lettere e scritti dal carcere (Claudiana,
pp. 324, € 28).
Pagina dopo
pagina si fanno strada i due caratteri così diversi, pur nella vicenda che li
accomuna. Calzolaio, sposato e padre di due figli, «Nick» Sacco, sensibile e
innamorato della natura, originario di Torremaggiore nel Foggiano, dove è nato
nel 1891. Pescivendolo - ma mille altri lavori precedenti, in una sorta di
instancabile esperienza di lavoratore interinale ante litteram – «Bart»
Vanzetti, di tre anni più anziano, autodidatta intelligente e di grande
capacità comunicativa, catapultato dalla natia Villafalletto, nel Cuneese,
prima a New York e poi a Boston. La ricostruzione che emerge da queste pagine
va ben al di là del pur illuminante e commovente epistolario nel quale si
trovano gli spunti intensi ai quali ha poeticamente attinto Joan Baez, quando
con Ennio Morricone ha creato la colonna sonora del film dedicato a Sacco e
Vanzetti, nel 1971, da Giuliano Montaldo.
Oltre alle
lettere scritte nei sette anni di carcere vi si aggiungono autoritratti
biografici, articoli rilevanti stesi per il vasto fronte di pubblicazioni e
organizzazioni che si battono per la loro libertà, nonché testimonianze di
coloro - molte donne, diversi personaggi della Boston illuminata - che saranno
al loro fianco. Sino a quella sera d’agosto in cui, a Cherry Hill, le luci
parvero spegnersi.
(Da: La
Stampa del 21 agosto 2012)
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