24 agosto 2012

In memoria di Sacco e Vanzetti




Il 23 agosto 1927 Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco (nella foto), due  italiani  emigrati negli USA, venivano ingiustamente condannati a morte. Un libro raccoglie ora le loro ultime lettere.


Giorgio Boatti, Le ultime lettere di Nicola e Bart

Sono trascorsi pochi minuti dalla mezzanotte, quando, il 23 agosto 1927, nel braccio della morte di Cherry Hill, le luci che illuminano gli ambienti claustrofobici del penitenziario di Stato del Massachusetts tremolano. Per alcuni interminabili secondi sembrano prossime a spegnersi. Poi si riprendono. Una, due, tre volte. È il segno che la sedia elettrica è all’opera: viene eseguita la sentenza contro gli anarchici Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, accusati di aver ucciso due persone nel corso di una rapina avvenuta, nella primavera del 1920, a South Braintree, nei dintorni di Boston.

Sin dall’arresto, il 5 maggio 1920, i due italiani si sono dichiarati innocenti. Contro la sentenza capitale che li colpisce sono state raccolte, in tutto il mondo, 50 milioni di firme. E figure di spicco di ogni schieramento, dentro e fuori gli Stati Uniti - da John Dewey a Romain Rolland, da Stefan Zweig a Maksim Gorkij, da Benedetto Croce a Bertrand Russell - hanno chiesto ripetutamente che il processo a loro carico venisse rifatto, acquisendo le rilevanti prove in grado di scagionarli. Non ultima la confessione del giovane pregiudicato portoghese Celestino Madeiros - il terzo condannato a salire sulla sedia elettrica in quel 23 agosto - che arrestato nel novembre del 1925 ammette la partecipazione alla rapina di South Braintree escludendo però ogni coinvolgimento dei due italiani.

Pur battendosi sino all’ultimo per far prevalere la verità, Sacco e Vanzetti - bersaglio di fallaci riconoscimenti orchestrati dagli investigatori, ignorate le testimonianze a difesa raccolte tra i propri connazionali («state attenti ai dagoes che stanno compatti» dice l’accusatore Katzmann ai giurati, allertandoli alla diffidenza verso gli italiani, i «dagoes» appunto), irrisi i loro validi alibi - intuiscono di essere caduti in ostaggio di una durissima contrapposizione politica, etnica e di classe. Vittime sacrificali di un conflitto sociale che in quegli anni, negli Usa, sfocia spesso in episodi di raggelante violenza: dove all’impiego di squadre armate da parte delle aziende si risponde con altrettanta durezza da parte dei lavoratori, innestando un ciclo di repressioni che irridono ogni legalità e di provocazioni che calpestano ogni umanità.

È il caso, a pochi giorni dall’incriminazione ufficiale di Sacco e Vanzetti, della bomba anarchica che esplode nel cuore di Wall Street provocando 33 morti e duecento feriti. Qualche mese prima un anarchico, Andrea Salsedo, amico dei due italiani, mentre era trattenuto illegalmente da agenti federali, è volato giù da una finestra del 14° piano di una sede dell’Fbi. Di tutto questo, e soprattutto delle loro vite e della vicenda giudiziaria che li riguarda, parla, con grande forza documentaria e fulminante immediatezza, il bel libro che, curato da Lorenzo Tibaldo e con la prefazione di Furio Colombo, raccoglie di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti Lettere e scritti dal carcere (Claudiana, pp. 324, € 28).

Pagina dopo pagina si fanno strada i due caratteri così diversi, pur nella vicenda che li accomuna. Calzolaio, sposato e padre di due figli, «Nick» Sacco, sensibile e innamorato della natura, originario di Torremaggiore nel Foggiano, dove è nato nel 1891. Pescivendolo - ma mille altri lavori precedenti, in una sorta di instancabile esperienza di lavoratore interinale ante litteram – «Bart» Vanzetti, di tre anni più anziano, autodidatta intelligente e di grande capacità comunicativa, catapultato dalla natia Villafalletto, nel Cuneese, prima a New York e poi a Boston. La ricostruzione che emerge da queste pagine va ben al di là del pur illuminante e commovente epistolario nel quale si trovano gli spunti intensi ai quali ha poeticamente attinto Joan Baez, quando con Ennio Morricone ha creato la colonna sonora del film dedicato a Sacco e Vanzetti, nel 1971, da Giuliano Montaldo.

Oltre alle lettere scritte nei sette anni di carcere vi si aggiungono autoritratti biografici, articoli rilevanti stesi per il vasto fronte di pubblicazioni e organizzazioni che si battono per la loro libertà, nonché testimonianze di coloro - molte donne, diversi personaggi della Boston illuminata - che saranno al loro fianco. Sino a quella sera d’agosto in cui, a Cherry Hill, le luci parvero spegnersi.

(Da: La Stampa del 21 agosto 2012)

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