Oggi
desidero recuperare una bella intervista allo scrittore sloveno Boris Pahor fatta
qualche giorno fa da Dario Cresto-Dina.
IL BENE FISICO
Tra pochi giorni Boris Pahor compirà
novantanove anni. Si potrebbe pensare che questo tempo lungo concessogli dalla
natura o da Dio sia un parziale risarcimento al tanto che gli venne sottratto
quando nuotava nel fiume grosso della vita, ma chissà se a lui è bastato per
perdonare. Cominciò a diventare scrittore quando il fascismo gli tolse la sua
lingua, lo sloveno, e fu come se gliel' avesse strappata anche fisicamente,
rendendolo muto. Dovette tornare bambino e imparare a parlare una seconda volta.
Il suo libro più conosciuto si intitola Necropoli.È un libro sull' amore in
tutte le sue forme umanee in ogni vilipendio perpetrato dall' uomo ai suoi
danni. È in massima parte ambientato nel campo di concentramento nazista di
NetzweilerStruthof, in Alsazia, dove Pahor venne imprigionato. Il tempo gli ha
conservato la lucidità, l' ironia e l' eleganza, gli ha preso appena un po' di
voce. Alla fine mi regala una cartolina storica di Prosecco, la frazione
carsica sopra Trieste dove abita. Con la biro vi aggiunge la sua accezione
slovena, Prosek, per mettere a posto le cose. Dobbiamo parlare d' amore.
Ricorda quando lo ha incontrato la prima volta? «Sì, lo ricordo bene se per
amore intende una felice armonia fisico-psicologica, la scoperta del mondo,
della vita e della bellezza. Da studente cercai di rivelare il mio attaccamento
a una compagna, ma ero timido oltre ogni misura. Mi accorgo adesso che non c' è
niente da raccontare, scoprii che aveva già l' amico del cuore, ma gentilmente
lei rispose lo stesso alle mie lettere dalla Libia». Com' era l' amore ai tempi
della razza, quando il fascismo usò questa parola come terribile confine tra la
vita e la morte? «Guardi, il problema nostro era ed è che abbiamo sempre scelto
l' amore anche quando come sloveni avremmo fatto meglio a controllarci, perché
di solito con un fidanzato o una fidanzata italiani si perdeva la nostra
identità, prevaleva sempre la lingua della maggioranza. Ora va meglio. Nel 1945
dal governo militare alleato abbiamo avuto le scuole in lingua slovena fino al
liceo, diritto confermato con l' Accordo di Londra del 1954. Lo sloveno adessoè
lingua europea. Lo stesso amore è più giusto, magari bilingue». E nel lager
dove trovava rifugio l' amore? «Non poteva avere un altro significato primario
al di fuori del valore dell' esistenza. Esistere, ogni giorno, era tutto ciò
che potevamo augurarci. Ogni nostra energia era votata alla sopravvivenza». L'
onore dei sopravvissuti è sopravvivere. Amavate voi stessi o il più rudimentale
oggetto quotidiano o una coperta o un tozzo di pane più di quan to riuscivate
ad amare i vostri compagni di prigionia? «Chi nel campo aveva un' occupazione
che ne offriva la possibilità, poteva aiutare il prossimo, ma lo faceva in modo
normale, semplice, senza attribuirsi un merito, spesso perché era il lavoro che
gli era stato affidato e dal quale poteva dipendere la sua salvezza. Ma si era
anche abitudinari, qualche volta senza volerlo eravamo terribilmente egoisti.
"Per fortuna non è toccato a me", si pensava di fronte alla scoperta
di un cadavere». Come è possibile abituarsi a portare fuori da una baracca il
corpo ridotto a uno scheletro di un compagno su una carretta fino al forno
crematorio senza che i nostri sentimenti siano così tanto alterati da divenire
irriconoscibili a noi stessi? «Mi creda, ci si abitua a tutto. Quando per mesi
accompagni un medico a visitare per lo più malati gravi, ossia corpi che non ce
la faranno e poi come infermiere vivi con loro, li compatisci, sei d' aiuto ma
ti sopraffà sempre l' esigenza del tuo compito. Data la quantità di corpi che
ho visto annientati penso che bisognerebbe insegnare nelle scuole il rispetto
del corpo, l' unico bene che abbiamo». A lei è stata tolta dal fascismo un'
altra libertà, la sua lingua madre. Come è riuscito a rimarginare questa
ferita? «Credo di aver pagato un prezzo altissimo. Mi è costato un decennio di
trauma psicologico e esistenziale, di vita da sonnambulo alla luce del sole. Mi
sono svegliato quando scoprii che potevo salvarmi restando fedele alla mia
identità, alla mia lingua studiata di nascosto. Mi sono detto: d' ora in avanti
agirò contro quest' essere trattato da schiavo». Mi viene in mente la bambina,
di cui lei ha raccontato, appesa dal maestro ad un attaccapanni per le trecce
solo per aver rivolto tre parole in sloveno a un compagno di classe. «L' atto
di un fanatico, il maestro Sottosanti che sputa in bocca alla bambina per
punirla di aver pronunciato parole slovene. Ma la cosa peggiore era non avere
nemmeno un' associazione che ci tutelasse. Se volevamo parlare nella nostra
lingua dovevamo riunirci in modo clandestino, con il rischio, se nel gruppo c'
era una spia, di finire in prigione. Le ragazze venivano rinchiuse come
prostitute. È toccato alle studentesse mie amiche a Trieste, a mia moglie e a
sua madre a Gorizia. Tra le due guerre oltre cinquecento sloveni sono finiti in
carcere, nove sono stati fucilati». Sbagliava Aristotele nell' affermare che
ogni arte, ogni ricerca e ogni azione e scopo tendono al bene. Non accade quasi
mai. «Sono nata per amare, dice Antigone nella tragedia di Sofocle. Lo dice
anche Gesù, ma non l' hanno preso sul serio neppure i cristiani. Oggi, quanto a
egoismo non si sa chi abbia il primato tra battezzati e pagani. Interpreto
Aristotele a modo mio: tutto ciò che è fatto a fin di bene si salva, anche se
fallisce». In nome dell' amore si può essere sadici o commettere delitti.
Eppure Adorno dice nei Minima Moralia: «Sei amato solo dove puoi mostrarti
debole senza provocare in risposta la forza». È d' accordo? «Cerchiamo l' amore
perchéè qualcosa che ci manca dal nostro primo giorno. Tutti abbiamo bisogno di
essere amati perché siamo nati dall' unione amorosa di due esseri di sesso
differente, siamo una magnifica combinazione però anche una duplice
imperfezione. Cerchiamo chi possa ovviare ad essa». Quindi possiamo dire di
avere veramente vissuto solo se abbiamo amato? «È vero. Ma si può amare da
fedeli Dio, la scienza, la sociologia, l' arte, la musica... Camus, il mio
scrittore preferito, ha una massima: colui che si è interessato alle verità più
alte ha già valorizzato la sua esistenza in questo mondo». La vita è buffa come
dicono gli ebrei o tragica? «Tendiamo a renderla assurda. Siamo esseri super
intelligenti che trovano la maniera di scannarsi a vicenda e di rovinare la
terra sulla quale vivono. Viviamo l' assurdo e forse è la ragione del nostro
comportamento. Per esistere al mondo una sola volta è necessario non esistere
mai più. A volte mi capita di contare i miei desideri e mi dico che ho preso
come guida il titolo del libro di Dostoevskij, Umiliati e offesi. Ho parlato
solo di loro. L' ho fatto nel modo migliore di cui ero capace». Nei suoi libri
ci sono due donne. «Nel sanatorio francese in cui fui ricoverato dopo la
liberazione, una giovane infermiera si interessò a me e mi fece sperare che la
vita umana potesse trovare una strada diversa da quella che ci aveva imposto il
ventesimo secolo. Confidavo mi seguisse, l' ho attesa due anni ma non ebbe il
coraggio di venire nella Trieste che assieme a Berlino era su tutti i giornali
come un luogo di scontro tra l' Est e l' Ovest. Il suo nome era Arlette». Poi
arrivò sua moglie, Radoslava Premlr. «Come Arlette, anche Radoslava era
innamorata della natura, però mentre Arlette sembrava appena uscita da un
campeggio di boy-scout, Rada, bella come una sorella di Ingrid Bergman, era di
una famiglia benestante ma molto provata della valle di Vipava o Vipacco: il
fratello antifascista morto in combattimento, la casa bruciata, tutti i membri
della famiglia in prigione, poi al confino in Piemonte, la sorella accoltellata
da un cetnico. Abbiamo vissuto assieme 58 anni e ci siamo amati fino a quando
la valvola mitrale del suo cuore ce l' ha permesso. Prese come sua la massima
di un libro di Colette, Gigi: ho riflettuto che preferisco essere infelice con
te piuttosto che senza di te. Senza di lei non avrei potuto compiere ciò che mi
ero proposto. Le sono immensamente grato, non ne ero degno». Come vive senza di
lei? «Cammino dentro un vuoto enorme e mi sento diminuito, menomato. Nonostante
i suoi 87 anni, età che non dimostrava, Rada era attaccata alla vita e riteneva
ingiusto ogni congedo. Assieme non abbiamo mai parlato di morte, abbiamo sempre
vissuto come se una separazione fosse esclusa». Il tempo è un lavacro. Un
centenario come lei può ancora permettersi di avere rimpianti o rimorsi?
«Gliene dico uno per ogni categoria. Siccome il fascismo mi ha rovinato gli
anni giovanili e da adulto ho vissuto la distruzione dei corpi e l' umiliazione
delle coscienze, quando sono tornato ad essere un uomo libero mi sono
comportato come colto da un' atmosfera di pubertà. Anche in amore. Mi spiace e
me ne pento. Anche se Spinoza non sarebbe d' accordo. Per ciò che riguarda la
politica vorrei fosse pubblicata la relazione della commissione sui rapporti
italo-sloveni dal 1880 al 1956, in modo da completare la Legge del Ricordo che,
dedicata alle vittime delle foibe e agli esuli, tralascia i crimini fascisti
nella Venezia Giulia. I morti nei campi di concentramento e come ostaggi
ammontano a 13mila persone. Lo accoglierei come un atto d' amore nei confronti
della verità».
DARIO CRESTO-DINA in La Repubblica 8 agosto 2012
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