05 ottobre 2017

I PUGNALATORI DI LEONARDO SCIASCIA


         Marco Ninci, con il suo consueto acume, rilegge il racconto di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1976, mostrandone la grande attualità:

IL RIMPIANTO PER CIO' CHE NON C'E' MAI STATO

Nel suo stupendo libello "I pugnalatori", pubblicato la prima volta nel 1976, Leonardo Sciascia racconta di una congiura avvenuta a Palermo nell'ottobre del 1862, a soli due anni dalla proclamazione del regno d'Italia. La sera del 1° ottobre vengono pugnalate in città alcune persone, senza alcun collegamento fra loro che faccia pensare a un piano preciso di individuazione. Uno di questi pugnalatori è catturato e denuncia tutti gli altri, in numero di undici, che vengono ugualmente arrestati e imprigionati. Attraverso confidenze e sottili indagini, Il procuratore Guido Giacosa, piemontese e padre del grande drammaturgo Giuseppe Giacosa, arriva a capire che i mandanti sono in alto, molto in alto, tanto in alto da non poter essere toccati, anche se sono sfiorati da sospetti così consistenti da sfiorare la certezza. Ma tant'è; i potenti col loro crollo farebbero crollare cose più importanti di loro; e questo non è possibile. Resta la bassa forza, i pugnalatori. Tre di loro sono giustiziati; gli altri marciranno in galera. Il piano ha colpito a caso, ma le sue intenzioni non sono state casuali. E' opera del partito neoborbonico, che ha in animo di mostrare che l'arrivo dei piemontesi ha portato solo disordine, scompaginando l'ordine che c'era prima. Un ordine che è però un'immaginazione postuma, perché quell'ordine al tempo dei Borboni non c'è mai stato. E nota amaramente lo scrittore: "Perché altro fine non potevano avere, quelle pugnalazioni fatte a caso, che il far rimpiangere l'ordine che la polizia borbonica sapeva mantenere. Intramontabile simulacro, sempre o vagheggiato o rimpianto dagli italiani, e da quelli del sud particolarmente: l'ordine. Mai avuto: ma, per incredibile inganno, ricordato. C'era. Non c'è. Bisogna farlo tornare. Perciò i partiti d'ordine, gli uomini d'ordine: che possono farlo tornare" (Adelphi 2003, p. 30). Sciascia ha adempiuto al dovere di ogni grande intellettuale, di ogni scrittore di genio: far trasparire l'universale nel particolare. Nell'episodio vede un costume eterno degli italiani, soprattutto di quelli del sud: il rimpianto per ciò che non c'è mai stato. E, al di là degli italiani, sorge all'orizzonte un'attitudine universale: l'immaginazione e la nostalgia che ci consentono di sopravvivere, a tutte le latitudini, in ogni tempo.
Marco Ninci

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