04 ottobre 2017

L' INGANNO DI SOFIA COPPOLA AL CINEMA






L' INGANNO DI SOFIA COPPOLA

Stupefacente Sofia Coppola. Un cinema magnificamente senza più luogo e tempo, che galleggia nella sua apparente immobilità che è in realtà un classicismo pop, con le tracce-western sentimentali della canzone Lorena, l’hit romantica più popolare della guerra civile. Era davvero rischioso fare un remake di uno dei Siegel più feroci, La notte brava del soldato Jonathan (1971) e basarsi ancora sul romanzo A Painted Devil (1966) di Thomas P. Cullinan. Ma il cinema della Coppola è andato ben oltre l’operazone remake, come aveva fatto in maniera ugualmente azzardata con Lost in Translation nei confronti di Breve incontro (1945) di David Lean. Sono due letture/rifacimenti completamente diversi. Nello stile, nel metodo. E L’inganno possiede delle manipolazioni meno evidenti ma sensibili, come in Marie Antoinette. Anzi, i due film sono come le due facce opposte e insieme convergenti dello stesso cinema. Soprattutto sull’effetto manipolatorio della luce. In Marie Antoinette la fotografia era di Lance Acord mentre qui è di Philippe Le Sourd, lo stesso di Un’ottima annata di Ridley Scott e The Grandmaster di Wong Kar-wai. In ogni inquadratura c’è un movimento interno. Dai fasci cromatici indefiniti della nebbia sul viale, all’uso sistematico di una luce naturale. Quella che penetra dalle finestre e ridefinisce ogni volta i contrasti nei chiaroscuri (l’immagine delle protagoniste affacciate appare già un elemento di unicità, subito quell’immagin si ricollega quell’immagine al cinema della Coppola). L’illuminazione delle candele a cena o la luce nascosta durante le preghiere.
1864. In piena guerra di Secessione nel profondo Sud degli Stati Uniti, c’è un collegio femminile tenuto da Miss Martha (Nicole Kidman) che è completamente isolato dal mondo esterno. Un giorno viene trovato nei paraggi un soldato ferito, il caporale John McBurney (Colin Farrell). Viene soccorso e condotto al riparo. La sua presenza altera però ben presto tutti i rapporti tra le protagoniste e scatena rivalità che non ci metteranno molto ad emergere.
La tensione sessuale del capolavoro di Siegel si trasforma nella Coppola in un film malato sul desiderio. Con delle accensioni erotiche fatte di sguardi, di mani che si sfiorano, accensioni che diventano abbaglianti come nella scena in cui Martha lava McGrady o anche nei semplici primi piani su Edwina (Kirsten Dunst). Gli occhi hanno un centro gravitazionale che è McGrady, che appare ancora il doppio di Maria Antoinette proprio per il modo in cui le protagoniste convergono, a turno o insieme, su di lui. Ci sono timidi e poi sempre più convinti avvicinamenti. La sua figura viene guardata da fuori. Ma anche nei campi lunghi, dove c’è quella breve ma sensibile distanza tra il Caporale e le ragazze, c’è proprio la continua spinta, l’insopprimibile tentazione ad annullarla.
In L’inganno c’è ancora una casa nel cinema della Coppola. Che richiama istintivamente quella impermeabile, fuori dal mondo di Il giardino delle vergini suicide (1999). Ma è ancora il centro della scena, il mondo incantato di Marie Antoinette, quello illusorio di The Bling Ring che qui assume anche dei contorni horror. Una chiusura verso l’esterno (il cancello esterno è l’oggetto netto della separazione). C’è il bosco che apre un mondo sotterraneo come The Village di Shyamalan. E poi ci sono i rumori dell’esterno. Quello degli spari, degli uccelli, delle cicale. È un film di guerra senza vedere mai la guerra. Rimando diretto ancora a Siegel che richiama a sua volta La regola del gioco (1939) di Jean Renoir. Ma è anche l’illusorietà di un mondo incontaminato. Che subisce un’improvvisa frattura. Quello femminile del film della Coppola va anche nelle direzione di un altro magnifico film galleggiante, Picnic ad Hanging Rock (1975) di Peter Weir. Altro film di amore e orrore dove ogni personaggio è a fuoco. Con Colin Farrell nel ruolo che è stato di Clint Eastwood e una gelida Nicole Kidman (il suo ‘bon appetit’ già vale tutto il film) in quello di Geraldine Page. Con in più Kirsten Dunst (al suo terzo film con la regista dopo Il giardino delle vergini suicide e Marie Antoinette) che appare come la figura che subisce la maggiore mutazione, che crea labirinti a vuoto dentro la casa come la Ferrari di Somewhere (2010). E la sensualità di Elle Fanning che ha qualcosa di fortemente inquietante.
Tutte le variazioni di un film che nella sua falsa immobilità, continua ad essere una continua rivelazione. Con un’idea di cinema ben precisa. Che molto spesso divide anche in fazioni molto nette. La cineasta non ha mai tradito dopo Lost in Translation. Ha inventato ogni volta un film diverso, come se fosse il primo. Come Quentin Tarantino. Ma, come si è visto, si rialimenta delle sue visioni precedenti. E far suo un film come quello di Don Siegel è una vittoria senza precedenti. Non ci sono compromessi. Noi siamo dalla sua parte. E amiamo tutto il suo cinema. E L’inganno alla follia.

Simone Emiliani  da  http://www.sentieriselvaggi.it/
Titolo originale: The Beguiled
Regia: Sofia Coppola
Interpreti: Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence, Angourie Rice, Addison Riecke, Emma Howard
Distribuzione: Universal
Durata: 91′
Origine: Usa 2017



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