15 maggio 2019

ETICA ED ESTETICA IN T. W. ADORNO



Un pensiero di T.W. Adorno commentato da Marco Ninci:


"Minima Moralia", di Theodor Wiesengrund Adorno, è uno dei grandi libri del Novecento. Ieri, dopo tanto tempo, mi sono imbattuto in un meraviglioso aforisma posto all'inizio della seconda parte.

"Diffidare dell'obiezione, sollevata spesso e volentieri, secondo la quale un testo, una formulazione, sarebbero "troppo belli". Dietro il rispetto della cosa, o perfino della sofferenza, si nasconde facilmente il rancore contro chi non tollera, nella forma reificata del linguaggio, il segno dell'umiliazione dell'uomo. Il sogno di un'esistenza senza vergogna, che non è più possibile rappresentare come contenuto, è custodito dalla passione linguistica: ed è questo sogno che si vorrebbe perfidamente strangolare. Lo scrittore non deve accondiscendere alla distinzione tra espressione bella ed espressione adeguata. Non deve credere al critico premuroso che la formula né tollerarla presso di sé. Quando gli è riuscito di dire tutto quel che voleva dire, ciò che ha scritto è bello. La bellezza dell'espressione che è fine a se stessa non è "troppo bella", ma ornamentale, artigianale, brutta. Ma chi, col pretesto di sacrificare tutto alla cosa, rinuncia alla purezza dell'espressione, tradisce anche la cosa" (Einaudi 1974, p. 83).

Nel libro, scritto negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1951, parla l'Adorno che sosteneva che dopo Auschwitz la poesia non era più possibile, l'Adorno la cui vita era stata distrutta dalla disumanità nazista. Ma qui capiamo il senso di quell'affermazione: la poesia non era più possibile nella sua forma ingenua e sentimentale, ma in un'altra forma essa era addirittura indispensabile. Questo aforisma ci consegna l'idea di letteratura propria di Adorno. In un mondo disumano (anche il nostro lo è, seppure in un altro modo) l'ideale di una vita senza vergogna, l'ideale di un mondo pacificato, non è più rappresentabile nella sfera estetica come contenuto, è un semplice sogno sentimentale. Si deve dunque rappresentare la sofferenza. Ma per alcuni critici la sofferenza si deve rappresentare in modo nudo, senza che essa sia adornata da un'espressione letteraria "troppo bella"; in questo caso la bellezza letteraria significherebbe mancanza di rispetto proprio per quel dolore così intenso cui si vuole dare voce. E tuttavia questo rifiuto della bellezza non è altro che un passo avanti nel processo di disumanizzazione e umiliazione dell'essere umano. La bellezza linguistica e letteraria, lungi dall'essere un orpello inutile e offensivo, è l'unica in grado di esprimere compiutamente il significato di quella sofferenza; costituisce l'ultimo rifugio in cui un essere umano è ancora un essere umano, che l'umiliazione non è riuscita a distruggere. La bellezza è riuscire a dire tutto quello che si deve dire. La bellezza invece che è fine a se stessa è un ornamento, un modo di essere indifferenti, quasi un crimine. Risuona qui un ricordo di "Ornamento e delitto", il celebre saggio dell'architetto viennese Adolf Loos, che accostava al delitto il gusto ornamentale del Liberty. Chi rinuncia alla purezza dell'espressione invece non rende giustizia al contenuto, che ne soffre. Un ideale letterario e sociale insieme, stupendo come stupendamente inattuale.

Marco Ninci nel suo odierno diario fb
 

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