Emigrazione e utopia del ritorno in Sicilia tra Otto e Novecento
di Santo Lombino
Non è purtroppo pratica diffusa la ricerca storica
effettuata sui documenti d’archivio, che lo studioso poi provvede a interrogare
opportunamente e ad interpretare tenendo conto del contesto e dei precedenti, a
mettere insieme per costruire una narrazione insieme fondata e gradevole alla
lettura. In rari casi ci troviamo di fronte a un progetto di lavoro che vada
oltre una singola ricerca e contempli un’idea complessiva che si articoli poi
in singole ricerche. È il caso del lavoro che svolge da alcuni anni Giuseppe
Oddo, che ha progettato la monumentale quadrilogia intitolata Il miraggio
della terra in Sicilia, edita dall’Istituto Poligrafico Europeo di
Palermo, che ha lo scopo di indagare gli svolgimenti storici dell’Isola,
opportunamente inseriti in un quadro più ampio dal punto di vista delle classi
subalterne, il cui impegno negli ultimi tre secoli ha mirato a realizzare il
sogno del possesso della terra come strumento per acquisire libertà e dignità.
Dopo aver indagato con il primo tomo il periodo che va dalla
Rivoluzione francese all’Unità d’Italia, con il secondo da quest’ultima ai
Fasci dei lavoratori, si passa all’odierna pubblicazione, edita nel 2017, che
ha per sottotitolo “Dalla belle époque al fascismo” (1894-1943). In essa si
affronta con ampia documentazione e disamina delle fonti primarie e secondarie
l’età crispina, quella giolittiana e il ventennio fascista. Caratteristica
precipua dell’opera è la capacità dell’autore di mettere in relazione gli
eventi e i fenomeni politico-sociali di portata nazionale e internazionale con
quanto avviene in Sicilia, sia nelle grandi città sia nei medi e piccoli comuni
e persino nelle frazioni di essi. Le condizioni di vita di braccianti,
contadini, mezzadri, artigiani messe a confronto con i mutamenti sociali di più
ampia portata e con gli atteggiamenti delle classi dominanti e delle forze
politiche spontanee o organizzate. Vengono così seguiti con meticolosa
partecipazione i conflitti che emergono sul piano dei rapporti di produzione,
dei rapporti di proprietà e negli equilibri amministrativi e politici a diversa
scala.
Il capitolo più ampio dell’opera (80 pagine sulle 450
complessive) è dedicato a un fenomeno cui, nel passato, i libri di storia della
Sicilia dedicavano sì e no dieci righe o qualche pagina: quello della grande
emigrazione dall’Isola verso il resto del mondo, dal 1876 al 1925. A proposito
dei conflitti di cui sopra, l’autore riporta il grido di battaglia dei
contadini di Villalba (Caltanissetta), cui si deve, nel pieno di uno scontro
con i proprietari terrieri locali all’inizio del ventesimo secolo,
l’espressione: «O le terre a patti onesti o tutti all’America!». In essa è
contenuta la natura della posta in gioco nell’ambito del conflitto sociale di
quel periodo. I lavoratori della terra avevano tentato, infatti, a partire dai
Fasci dei lavoratori (1892-94), di conquistare radicali cambiamenti nei
rapporti contrattuali con chi deteneva in Sicilia le leve del potere economico
e politico. Una volta sconfitti tali tentativi, non restò ai ceti popolari altro
da fare che, come scrisse Francesco Renda, «votare con i piedi», cioè scegliere
di partire e cercare fuori dell’Isola una esistenza degna di essere vissuta.
Tanto è vero che, mentre dal 1861 al 1890 il fenomeno migratorio siciliano
registrò numeri esigui e interessò solo il 3% della popolazione (portando la
Sicilia oltre il decimo posto nella graduatoria delle regioni italiane per
quantità di espatri), dopo il 1890 l’esodo migratorio dalle province siciliane
divenne massiccio e inarrestabile.
Oddo ci ricorda che si registrarono tra fine Ottocento e
primo ventennio del Novecento ben un milione e 660 mila partenze, con
preponderanza assoluta di viaggi oltreoceano, circa cinquantamila verso i Paesi
europei, e quasi centomila verso i Paesi mediterranei. Tra questi ultimi,
l’isola di Malta fu notoriamente approdo di esilio politico prima per i
patrioti liberali e democratici e poi per i legittimisti borbonici, mentre
l’Algeria vide già a metà Ottocento la presenza di operai comuni siciliani
impegnati nei cantieri ferroviari, spesso con pessime condizioni abitative. La
meta più grossa fu però la Tunisia dove i siciliani lavorarono o costituirono
aziende agricole più o meno ampie e si impegnarono nella coltura della vigna e
dell’olivo e furono protagonisti della pesca costiera e in mare aperto, dando
origine a quartieri come Capaci grande e Capaci piccolo a Susa, Petite
Sicile presso Tunisi. Ma ciò che attrasse di più fu il sogno americano che,
secondo l’autore, corrisponde al tentativo di dare realizzazione al mito della roba
presente nella popolazione dell’Isola.
Little Italy in Usa
L’emigrazione transoceanica era determinata da fattori
espulsivi (pushfactors) e da fattori attrattivi (pullfactors),
tra cui le campagne propagandistiche delle società di mercantili come la
Navigazione Generale Italiana, sorta dall’unione dei Florio con la compagnia
Rubattino di Genova. Correttamente, quindi, Oddo attribuisce l’impennata
dell’esodo «al desiderio di acquisire un inserimento più elevato nella scala
sociale del luogo di partenza». In sostanza, la grande emigrazione verso le
Americhe è da attribuire in parte alle condizioni endemiche di miseria e
sottosviluppo, ma in parte maggiore alla pianificazione delle partenze fatta a
livello familiare in modo ragionato e consapevole, in vista del reperimento di
risorse utili a un passaggio di status del nucleo familiare stesso.
Un ruolo importante lo ebbero le reti o catene migratorie,
per cui, quando qualcuno partiva, sapeva già i nomi e gli indirizzi delle
persone da andare a trovare all’estero: non per forza parenti, ma anche
semplici conoscenti o perfino compaesani mai visti. Questo ha fatto sì che si
formassero nei paesi di arrivo di ogni latitudine dei quartieri o delle strade
in cui abitavano singoli e gruppi familiari dello stesso paese di origine. A
Manhattan, ad esempio, c’erano nella Little Italy interi palazzi e
intere strade occupati da immigrati provenienti tutti da Napoli, da Cinisi o da
Sambuca di Sicilia. Nelle zone agricole dell’interno degli Stati Uniti,
nacquero vere e proprie colonie, formate da famiglie impegnate nella
coltivazione dei campi.
Così centocinquanta famiglie di Palazzo Adriano (Palermo)
costituirono la colonia agricola Independence, mentre trecento abitanti
provenienti in maggioranza dalla provincia di Messina fondarono nel New Jersey
la colonia Hammonton, e ottocento coltivatori originari di Valledolmo
(Palermo) diedero vita a Fredonia presso Buffalo, nello Stato di New
York. Particolare attenzione viene dedicata nel saggio alla colonia agricola fondata
nei pressi di Houston nel Texas per impulso di tale Salvatore Buongiorno nativo
di Marineo (Palermo) che mise a disposizione diecimila dollari per fondare nel
1896 una colonia socialista ispirata alle teorie del dirigente socialista
milanese Ercole Ciceri, composta da 15 famiglie siciliane. Coltivavano 567 acri
di terreno di proprietà collettiva, con molti animali e strumenti di lavoro.
L’iniziativa voleva dimostrare che i lavoratori, se organizzati in modo
solidale, possono autogestirsi senza bisogno di una classe borghese che li
diriga. Era previsto un sussidio in caso di infortunio dei lavoratori,
l’istruzione obbligatoria fino a 14 anni, l’uguaglianza dei diritti e il
pensionamento dei soci a 55 anni di età. «I protagonisti di quella avventura – annota
Oddo – divennero oggetto di critiche ingenerose della comunità italiana di
Houston che li considerava rinnegati della patria, distruggitori della
religione, cospiratori alle altrui proprietà ecc., ecc.». Anche in
conseguenza della scarsa preparazione professionale in campo agricolo dei soci,
la colonia dovette presto chiudere i battenti.
Italiani a bordo emigrati in USA,
1890
Giuseppe Oddo segue anche, con grande attenzione, l’impegno
sindacale e politico degli emigranti italiani nelle due Americhe. Molti di loro
infatti parteciparono alle manifestazioni organizzate dai sindacati operai
nelle fabbriche del nord-est degli Stati Uniti, in particolare dall’IWW, Industrial
Workers of the World, che metteva insieme immigrati da ogni parte del
mondo. Tra le iniziative che lasciarono il segno viene ricordato il celebre
conflitto tra i lavoratori tessili e i proprietari di Lawrence (Massachusetts).
«Le operaie e gli operai – racconta Oddo – fermarono i telai e si misero a
sfilare per le vie della città protestando contro i salari di fame al grido di short
pay, short pay! Il giorno dopo scesero in lotta i lavoratori di altre
fabbriche e, per l’impegno dell’IWW, nel volger di una settimana scioperavano
25 mila persone». Nacque un comitato che produsse una piattaforma
rivendicatrice tradotta in 25 lingue. «Sull’onda dell’entusiasmo per l’unità
realizzata tra le diverse etnie, gli scioperanti organizzarono balli sociali,
dibattiti, spettacoli e sfilate di ragazze che portavano cartelli e gridavano a
squarciagola: vogliamo il pane ma anche le rose». Tra i dirigenti
sindacali più noti, Arturo Giovannitti e Joseph Ettor, entrambi di origine
italiana.
Oltre a loro, il libro ci fa
conoscere altri personaggi emblematici della nostra vicenda migratoria. Per
esempio, il caffettiere Gioacchino Riolo che diffuse a fine Ottocento, a Piana
degli Albanesi, manifesti che promettevano «passaggi gratuiti, patti
lusinghieri, promesse» per il viaggio oltre oceano a chi gli versasse la somma
di 50 centesimi. Altro personaggio, Josè Ingenieros nato a Palermo nel 1877,
medico, farmacista, criminologo, sociologo, docente universitario, che in
Argentina fondò il Partito Socialista operaio. Infine, Giuseppe Gentile, nato a
Termini Imerese nel 1850, impegnato già a cinque anni nella raccolta delle
olive, divenuto come il padre pescatore di sarde, acciughe e coralli. In
seguito al naufragio della sua piccola flotta marinara decise di emigrare negli
States passando prima per l’Algeria e Marsiglia. In quella New Orleans
dove vivevano migliaia di siciliani (tra cui Nick La Rocca, uno dei primi
concertisti Jazz), Gentile divenne operatore commerciale di prodotti
ortofrutticoli, costituì una grande compagnia di import-export, e nel 1924,
essendo analfabeta, dettò le sue memorie che ancora oggi vengono conservate
gelosamente dai pronipoti che vivono in Florida.
Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019
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