08 aprile 2021

PAGLIACCI O ALTRO?

 


VIDEANT CONSULES
Mario Pintacuda


La tormentatissima campagna vaccinale sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili, per non dire drammatici. Ieri i ministri della Salute dell’Unione Europea si erano riuniti per trovare una posizione comune a proposito del vaccino AstraZeneca (la nuova denominazione di Vaxzevria nel frattempo è annegata fra i fischi e i pomodori di tutti). La riunione ha segnato l’ennesimo fallimento della politica sanitaria europea: gli scandinavi chiedevano il bando totale del vaccino incriminato, mentre i Paesi che hanno puntato quasi tutto sul vaccino di Oxford (fra cui la previdentissima Italia) erano contrari. Risultato: ognuno è restato della propria opinione e amici (?) come prima.
[Fra parentesi: forse i membri della comunità europea non si rendono conto dell’immenso favore che stanno facendo, con i loro pettegoli litigi, con la loro inefficienza, con la loro assoluta mancanza di coordinazione, ai movimenti sovranisti; il successo della campagna vaccinale della Gran Bretagna della Brexit ne è impietosa conferma].
Intanto l’EMA (Agenzia europea del Farmaco) ha esaminato 86 casi di trombosi venosa, di cui 18 con esito fatale, associandoli ormai - senza se e senza ma - all’avvenuta somministrazione di AstraZeneca. Il problema, per quanto raro, si è verificato soprattutto in donne al di sotto dei 60 anni, per motivi sconosciuti (rassicurante!); fra l’altro nessuna delle persone decedute per trombosi era risultata positiva al Covid.
Il farmacologo Silvio Garattini, intervistato oggi da “Repubblica”, a proposito di AstraZeneca dichiara: «Questo vaccino è nato male. I primi pasticci li ha fatti l’azienda, con comunicati e altre prese di posizione discutibili. Poi anche noi. Prima in Italia abbiamo detto che andava bene per gli under55, poi prima abbiamo alzato la soglia e dopo l’abbiamo tolta. […] Non si crea fiducia nei cittadini con questa politica. E perdere fiducia in questo momento è pericoloso».
Non contribuiscono certo a creare fiducia le contraddittorie dichiarazioni dell’ermetico prof. Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, che ieri ha rilasciato a breve distanza di tempo due dichiarazioni opposte: 1) «Questo non è né il funerale, né l’eutanasia di Astrazeneca, che è efficace»; 2) «Se i dati nelle prossime settimane dovessero andare verso un’evidenza di incrementi di eventi tromboembolici come seconda dose, da un punto di vista squisitamente concettuale non c’è controindicazione a cambiare vaccino». Traducendo dal solito lessico ermetico locatelliano si ricava: “AstraZeneca va ancora bene, ma se dovesse andare male lo cambiamo”. Come direbbe la Sora Lella: «Annamo bene!».
Questa notte il ministro Speranza (sempre più pateticamente perplesso) ha comunicato la decisione di somministrare l’AstraZeneca alla fascia di età 60-79, dirottando gli altri ai vaccini Pfizer, Moderna + Johnson&Johnson (ancora non arrivato). Questa modifica “in itinere” (l’ennesima e c’è da temere che non sia l’ultima) consentirà secondo il ministro di velocizzare le somministrazioni per gli anziani e quindi di concludere la copertura delle categorie anagraficamente più esposte alle conseguenze del virus.
Belle intenzioni; ma basta fare i conti “alla femminina” per capire che nell’immediato futuro si porrà il problema di come vaccinare gli under60 (cui finora si prevedeva di destinare buona parte dei 34 milioni di dosi - sognate - di AstraZeneca), di come effettuare i richiami (già 2,3 milioni da fare), di come arrivare al tetto di 27,3 milioni di vaccini (che dovrebbero comprendere le seconde dosi a insegnanti, forze dell’ordine + “caregiver” congelati + “altri” finora vaccinati più o meno abusivamente con AstraZeneca). Il dato di fatto è che, senza concrete e puntuali forniture, rischiano di saltare gli appuntamenti di centinaia di migliaia di persone.
Nel frattempo, l’epidemia non mostra alcun segno di rallentamento: ieri i morti in Italia sono stati ben 627 (da gennaio non si arrivava a questo livello), le terapie intensive sono sovraffollate (a Palermo quasi in esaurimento), il numero dei positivi cresce sempre.
Qui a Palermo da ieri siamo di nuovo in “zona rossa, anzi rosé” (come intitola “Repubblica”); infatti la gente in giro non manca (per lavoro, per “necessità” più o meno valide, per irresponsabilità, per stanchezza psicologica). In città aumentano i furti, molta gente è letteralmente sul lastrico, le vaccinazioni procedono a rilento dopo lo scandalo dei morti “spalmati” e le dimissioni dell’assessore Razza; a oggi nell’isola gli ultraottantenni immunizzati sono di poco al di sopra del 30%.
In questo contesto, quello che preoccupa di più è l’umore delle persone, nero come la pece, che esprime stanchezza, rabbia, disillusione, delusione e diffidenza. Già l’altro ieri si sono verificati disordini davanti a Montecitorio e in altre zone del Paese; si è pure materializzato uno “sciamano” emulo dell’americano Jake Angeli (in realtà un ristoratore modenese); e non mancano i sobillatori alla Trump, pronti a scagliare il sasso elettoralisticamente, promettendo a parole riaperture e ristori, per poi nascondere la mano rientrando nei ranghi dell’universale coalizione governativa. Insomma, un contesto di “guerra di tutti contro tutti” che non rassicura per niente e che non aiuta nessuno.
Deve passare la nottata. Ma l’alba è ancora lontana, l’“ultimo miglio” che ci dicono di dover percorrere risulta interminabile, il “gregge” cui apparteniamo è lontano dall’immunità e il nostro belato rischia di trasformarsi in un universale ruggito di protesta.
Gli antichi Romani, nei momenti di grave emergenza, emanavano un provvedimento estremo, il “Senatus consultum de re publica defendenda” (cioè "Decisione del Senato per la difesa della repubblica"): questo stato di emergenza era sancito dalla clausola «videant consules ne quid res publica detrimenti capiat» (“provvedano i consoli a che lo stato non riceva alcun danno”). Qui la nostra “res publica” di “detrimentum” ne ha già subito anche troppo, ma non sarebbe male che i nostri “consules” si impegnassero sul serio per fronteggiare concretamente le tre emergenze (sanitaria, sociale ed economica) che il 29 gennaio il Presidente Mattarella invitava a combattere e che a oggi risultano - tutte - tragicamente irrisolte.

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