14 aprile 2021

UN NUOVO LIBRO SU GIANNI RODARI

 

Pubblichiamo, ringraziando editore e autrice, l’ultimo capitolo dal libro di Vanessa Roghi Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, uscito per Laterza.

Non è possibile riassumere in breve
tutto quello che Rodari è stato per noi.
Mario Lodi

So bene che il futuro non sarà quasi mai bello
come una fiaba. Ma non è questo che conta.
Intanto, bisogna che il bambino faccia provvista
di ottimismo e di fiducia, per sfidare la vita.
E poi, non trascuriamo il valore educativo
dell’utopia. Se non sperassimo, a dispetto di
tutto, in un mondo migliore, chi ce lo farebbe
fare di andare dal dentista?
Gianni Rodari

Il 14 novembre 1979 Gianni Rodari scrive a Carlo Carena. Einaudi sta per pubblicare per la dodicesima volta le Favole al telefono e si domanda se l’autore non voglia rivederne, almeno, l’introduzione. Rodari risponde che no, non vuole rivederla, magari potrebbe aggiornare la biografia, poi si accorge dell’errore, cancella, scrive sopra: la bibliografia, e commenta: «Ha visto l’errore qui sopra? La ‘biografia’, essendo ormai in discesa, ha cercato di riprendere il primo posto».

Carena insiste, ci sono piccole correzioni da fare, ma Rodari rispondel’8 gennaio 1980: «Caro Carena, oggi ho accompagnato mia moglie in clinica per un’operazione, quando uscirà lei dovrò entrarci io, per colpa di un’arteria occlusa, vede che non ho lo spirito adatto per rifare la prefazione alle Favole al telefono. La programmerò per l’edizione tredicesima, anche se doveste interrogarmi con i tavolini».

Tornato dall’Urss non è più stato bene, i dolori alla gamba sono sempre più forti: sono causati da problemi circolatori risolvibili con un’operazione piuttosto semplice. Almeno così sembra. Sta accarezzando l’idea di tornare a Omegna e passare lì del tempo, scrive in una lettera: «è l’ultimo giorno del1979: una bufera di neve, assolutamente insolita nel territorio della Tuscia, mi ha appena abbattuto un pino, mia moglie sta per entrare in clinica per un’operazione alla cistifellea, dopo di lei ci entrerò io per un complicato affare alla circolazione arteriosa della gamba sinistra… Così comincia allegramente l’anno bisestile. Ma il pezzo mi ha aiutato a finire alla macchina l’anno vecchio, mi ha perfino fatto nascere progetti inversi, in prosa, in treno e in automobile: mi pare proprio che non convenga affatto morire».

Concede un’ultima intervista a una giovane studiosa, Matilde Germani, che sta scrivendo una tesi su di lui: lei gli chiede che spazio abbia il mistero nella sua vita, il senso religioso. Rodari, che da ragazzo è stato cattolico, risponde: Ho scelto di vivere senza una religione e di impegnarmi in una direzione che mi sembra assorbire abbastanza sia la capacità di impegno morale sia la capacità di autocritica, per me essenziale come l’esame di coscienza per i cattolici. In realtà credo che questo problema durerà molto di più dei disagi sociali, perché, anche quando avremo risolto tutti i problemi sociali e non esisteranno ingiustizie, prepotenze, errori nei rapporti umani, esisterebbe poi sempre il problema dell’individuo di fronte alla morte. La religione sarà sempre un terreno su cui è possibile che nascano domande.

Anzi, sono convinto che in una società migliore queste domande prenderebbero più rilievo di quanto non ne abbiano ora. Tuttavia mi sembra che adesso queste domande e questo tipo di impegno siano usati molto spesso per distogliere l’attenzione dai problemi reali che si possono risolvere, dalle ingiustizie reali che si possono combattere, dalle prepotenze reali a cui si può mettere fine. Cominciamo a fare questo, poi se è il caso penseremo a Dio. Può darsi che in futuro Dio esista, non lo so. Oggi ritengo che sia più importante risolvere i nostri rapporti fra uomini, fra classi e fra Paesi, anche se sono convinto che questo non metterà fine ai problemi individuali. Non è facile essere completamente laici.

L’intervista di Matilde Germani uscirà sul «Giornale dei genitori» qualche mese dopo. Rodari non ci sarà già più. Fa in tempo, però, ad assistere, e anche a prendere la parola, sull’ultima polemica del decennio, quella contro i cartoni animati giapponesi accusati da un gruppo di genitori di essere la causa di violenza e maleducazione dilagante: «I ragazzi non salutano più, quando ti incontrano ti sferrano un pugno atomico nello stomaco»; «Impersonano gli eroi dei telefilm e si esprimono solo a base di bing, bang, smash e crash»; «I ragazzi sono plagiati: i supereroi riempiono temi e disegni»; i bambini anche per la latitanza degli adulti non hanno gli strumenti della decodifica e il risultato sarà «un ragazzo chiuso in se stesso, egocentrico e aggressivo, che parla soltanto con il televisore e non con i coetanei, che imposta i suoi rapporti con i genitori sulla prepotenza e il capriccio, perché ha imparato la lezione di Goldrake».

È l’8 aprile 1980. Dice Rodari: «solitamente di queste trasformazioni si mettono in luce solo le conseguenze negative; non so perché ma non siamo mai oggettivi nei confronti del televisore, forse perché lo subiamo talmente e la nostra lotta quotidiana col televisore è così impegnativa che siamo portati a vederne solo l’aspetto negativo»6. Rodari, da tempo, ha fatto suo il punto di vista di Tullio De Mauro che non si stancava di ripetere: «Io non credo che sia giusto parlare di un impoverimento del linguaggio dei giovani, credo che sia una via pericolosa, qualunquista ma soprattutto sbagliata anche se qualche volta viene da posizioni ideologicamente di sinistra che non capiscono bene la sostanza della questione. In verità i mezzi di comunicazione di massa (e non significa assolverli da qualunque peccato, tutt’altro) hanno aperto l’accesso a una quantità enorme di informazioni alle giovanissime generazioni».

Rodari viene ricoverato il 10 aprile. Racconta Julia Dobrovolskaja che lo va a trovare in ospedale: «Gianni mi disse: ‘quel giorno a Mosca il vento ghiacciato mi ha tagliato le gambe. È cominciato tutto da lì’. Il giorno dopo, un lunedì, giorno nefasto per i russi, avrebbe subìto un’operazione. ‘Hai paura?’ ‘Molta. Temo che non tornerò… Fatemi fumare l’ultima sigaretta!’».

L’operazione si rivela più difficile del previsto, Rodari presenta un grosso aneurisma di cui i dottori non si sono accorti prima: un intervento di routine si trasforma in un’operazione di sette ore. Muore tre giorni dopo, il 14 aprile, per un collasso cardiaco. Non ha ancora compiuto sessant’anni. «Della morte avevo saputo nella serata del 14, quando Lilli Bonucci dell’‘Unità’ mi aveva telefonato a casa chiedendomi di scrivere un necrologio. Era morto nel pomeriggio. Sapevo che doveva operarsi ma niente faceva presagire un esito simile. Non è stato facile scrivere quell’articolo, ma mi è venuto di getto lamentare che la sua opera, fino ad allora, non avesse avuto un’adeguata considerazione»: Marcello Argilli dà la notizia della morte ma è Tullio De Mauro a scrivere l’articolo a lui dedicato sulla terza pagina dell’«Unità». «Ha ragione Marcello Argilli: Gianni Rodari è stato sottovalutato dalla nostra critica. Tuttavia, la sottovalutazione ha tali dimensioni che, a misurarla, per quanto la si dia in anticipo per scontata si resta sorpresi lo stesso. Tra Rod Edouard e Rodighieri, tra Rodomonte e Rodenbach, si cerca inutilmente il nome di Gianni Rodari».

Ma forse, scrive De Mauro, Rodari non dobbiamo cercarlo solo fra i letterati, perché la sua scrittura è plurilingue, vicina agli inglesi, ai tedeschi, cosa assai difficile da collocare per una critica tutta italocentrica. Dobbiamo cercarlo fra gli intellettuali: «ricordiamo quanta parte ha avuto Rodari, il suo esempio, le sue idee, nel rinnovamento sia pratico e programmatico sia culturale e propriamente teorico dell’educazione linguistica nella scuola di base italiana. Un libro pilota di questo rinnovamento, il Libro d’italiano di Raffaele Simone non per caso si inaugurò, nel 1973 con una splendida poesia-riflessione di Gianni Rodari: ‘C’è una scuola grande come il mondo./ Ci insegnano maestri, professori, avvocati, muratori,/ televisori, giornali’».

Su «la Repubblica» Paolo Mauri scrive in un breve trafiletto: «viene subito alla memoria quella sua favola recente, C’era due volte il barone Lamberto, che in chiave bonariamente comica rilanciava, nel mistero della morte, le divisioni di classe, il dissidio tra il ricco che può voler tutto, anche il diritto di non morire, e i poveri, i proletari, che lavorano appunto per non farlo morire». Come? Ripetendo all’infinito il suo nome: l’uomo il cui nome è pronunciato resta in vita, come è scritto in un papiro egizio. Ripetere all’infinito il suo nome per non dimenticarlo: Gianni Rodari, Gianni Rodari, Gianni Rodari…Lucio Lombardo Radice decide di lanciare un appello affinché il nome di Rodari risuoni in tutte le scuole d’Italia, e sulle pagine di «Riforma della scuola» chiede di inviare copia della corrispondenza che lo scrittore ha avuto, negli anni, coni bambini. Arriva una valanga di lettere, come quella ricevuta dal professor Francesco Ciprini della classe I C scuola media di Piccione: Cari ragazzi (o bisogna chiamarvi piccioncini o piccionisti) un po’ in ritardo vi ringrazio molto della vostra antica lettera, nella quale mi mandavate i finali da voi immaginati per la storia del gambero che voleva camminare in avanti. Come la concluderei io? Onestamente, mi piacerebbe che tutte le persone che vivono come i gamberi imparassero a guardare in avanti e a far qualcosa per migliorare il mondo: ma questo non è ancora successo, si può soltanto sperare che succeda. Il gambero della storia non perde il coraggio: questo mi pare importante. Fine della gamberologia. Noto che il vostro paese è buono da mangiare come Pastina (Toscana), Gallina (Bari) e tanti altri paesi commestibili. C’è anche la frutta: Mele (Genova), Pesche (Abruzzo), Mango (Cuneo). E in provincia di Firenze c’è Tavola. Scusate lo scherzo, che non è spiritoso. Ma come ha preso il suo nome il vostro paese? A parte questo ho sentito parlare di un signore di Piccione che mentre faceva la doccia suonava il trombone. Lo conoscete? E arrivano memorie di insegnanti: «Chiarissimo professore, ho letto gli articoli dedicati a Gianni Rodari su ‘Riforma della scuola’. La lettura di essi mi ha spinto a ricordare quanto gli devo della mia formazione di maestro. Tutta la sua opera (e in particolare quel libretto tutto d’oro e d’argento che è la Grammatica della fantasia), oltre ad essere una preziosa ed inesauribile fonte di stimoli per la mia attività didattica ha contribuito in modo notevolissimo alla mia maturazione di educatore e di uomo».

«Caro Lucio, abbiamo appreso dai giornali che il nostro Gianni Rodari è morto. Ci aveva chiesto di scrivere una filastrocca, su un giovanotto di Caposele, eccola qua», scrive il maestro Valentino della scuola elementare Pascoli di Marcianise in provincia di Caserta: i suoi allievi hanno pubblicato delle Conversazioni sulla poesia dove la scoperta delle regole capovolte, spezzate, delle parole «mescolate in modo nuovo» nasce dalla lettura comparata di Rodari e García Lorca che scrive «un silenzio fatto a pezzi da risa d’argento nuovo». Mentre guardando la notte di van Gogh, i bambini hanno scritto che «lassù stelle esplodono e incendiano il cielo».

Gianni Rodari, Gianni Rodari, Gianni Rodari…

«Mi sono impegnato con me stesso a seguire l’esempio di Gianni Rodari», scrive Lombardo Radice nel suo taccuino: «entrare nelle classi, discutere di ricerca e di sperimentazione, farlo con i bambini», anche di didattica della matematica. Niente è più rodariano di questo. Il resto, scrive Marcello Argilli, rischia di essere costituito da formulette che consolano: «se certe novità immesse da Rodari nella nostra letteratura infantile sono ora accettate da tutti non può significare che sono diventate luogo comune, relativamente stimolante?». E Carmine De Luca: «diciamolo chiaramente: che Rodari piaccia a tutti, che tutti apprezzino incondizionatamente le sue proposte facendo violenza alla loro essenza più vera, è un fatto un tantino preoccupante».

A Rodari, dice Tullio De Mauro, è accaduto qualcosa di simile a quanto capitò a don Milani e a Pasolini. Subito dopo morte, c’è stata un’esplosione di interesse, di ricerche, di libri. Una autentica riscoperta come se «tutti noi, solo dopo, avessimo finalmente capito che cosa quegli uomini ci avevano voluto dire». Eppure quello che Rodari ci ha voluto dire ce lo ha detto, senza giri di parole, senza misteri, in tutte le cose che ha scritto, per tutta la vita. Se poi ci sono cose tra le righe, «chi avrà voglia di scavare un po’, le troverà senza sudare, perché a scavare sotto le parole si fa molto meno fatica che scavare gallerie sotto le montagne, o a zappare la terra. Chi non ha voglia di significati nascosti è libero di trascurarli e non perde nulla: secondo me la storia sta tutta quanta nelle parole visibili e nei loro nessi».

Un metodo, una postura intellettuale, uno sguardo: domandarsi sempre «chi sono io» come fa Alice nel suo viaggio nel paese delle meraviglie; sforzarsi di vedere il mondo come se lo si vedesse per la prima volta. Una lezione imparata tanti anni prima dall’amatissimo Viktor Šklovskij, uno straniamento sistematico, praticato fino alla fine, guidato da una sempre nuova curiosità verso il presente e una speranza mai sopita per il futuro. Gianni Rodari, come Bertolt Brecht, si pone per tutta la vita una domanda che è la domanda del secolo: quando arriverà il nuovo? Un nuovo più giusto e felice per tutti. Perché arriverà, dipende soltanto da noi, se non possiamo esserne sicuri almeno non dobbiamo smettere di immaginarlo.

«Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani. Ecco cosa dice. Domani una brava, vecchia maestra condusse i suoi scolari, infila per due, a visitare il Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera. In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola ‘Piangere’. Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano. Signora, che vuol dire? È un gioiello antico? Apparteneva forse agli Etruschi? La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male. […]

Sembra acqua, disse uno degli scolari. Ma scottava e bruciava, disse la maestra. Forse la facevano bollire prima di adoperarla? Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi. Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come: l’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più».

Testo ripreso da  https://www.minimaetmoralia.it/


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