30 giugno 2022

N. LAGIOIA, ELOGIO DEI CLASSICI

 



Buena Vista Social Club: Lagioia dei classici

Questa  rubrica è dedicata alle “cose belle” trovate sui Social, a dimostrazione del fatto che fare rete è oggi, più che mai, una risorsa. effeffe

 

Nota sui classici

di

Nicola Lagioia

Ogni tanto, qui su Fb (credo raramente per paura del ridicolo) cercherò di prendermi la libertà di scrivere dei post che presumo saranno poco letti, post di cui io stesso non sono sicuro, vale a dire post in cui più che raccontare qualcosa (il che, per me, significa di solito aver trovato una forma), o dare informazioni utili, o dichiarare qualcosa di cui credo o mi illudo di essermi convinto (le prese di posizione non sono il mio forte, gli “inviti al viaggio” sì), proverò a scrivere su questioni di cui sono davvero incerto – e su questioni molto poco popolari immagino -, condividendo sensazioni che altrimenti andrebbero perse, con la speranza che qualcuno più bravo di me le completi da qualche altra parte, magari anche in un altro tempo.
Oppure (se sono false intuizioni, come è possibile) qui possono andare tranquillamente perse e ignorate (si prova a dare un senso alla caducità dei social). Dunque, chiedo scusa in anticipo.
(Potrei far precedere questi post da tre asterischi *** così chi vuole non perde tempo con le mie divagazioni).
Il fatto è che sono ormai 25 anni che – oltre a leggerne di continuo di nuovi – rileggo gli stessi libri, in continuazione, senza venirne mai del tutto a capo. Fondamentalmente si tratta di alcuni cosiddetti capolavori del modernismo europeo, quei libri che, forse, portano alle estreme conseguenze intellettuali ed estetiche (e all’estrema bellezza) la civiltà europea un attimo prima che crolli su se stessa (e, da questo crollo, mi pare, siamo stati generati noi). Questi libri che leggo in continuazione, senza venirne a capo (per questo, forse, mi ci accanisco così tanto) sono sin troppo noti, sono altresì considerati faticosi (non che non lo siano), tuttavia a me sembra contengano un segreto (uno dei bandoli della matassa attuale? l’ago nel pagliaio di una qualche contemporaneità?) che almeno io – e forse questo “io” è un “io” collettivo – non sono riuscito a violare.
Sono, fondamentalmente, questi libri, “La ricerca del tempo perduto” di Proust, “La montagna incantata” di Mann, “L’uomo senza qualità” di Musil, “Gita al faro” e “Miss Dalloway” di Woolf, “Ulisse” di Joyce, “Sotto il vulcano” di Lowry.
Negli ultimi mesi ho ripreso (per l’ennesima volta) “L’uomo senza qualità”. Ho il serio sospetto (ma potrei essere stolto, potrei sbagliarmi) che questi libri avvicinino come scrivevo a un segreto, un’intuizione afferrata la quale sarebbe stato possibile salvare la civiltà europea (e il pensiero occidentale) non solo “prima” delle due guerre mondiali, ma “dopo” (per questo mi interessano ora), quando questa civiltà è tornata a noi – dopo Auschwitz e Hiroshima – in una sorta di forma “fantasmatica” (che è poi, questa forma fantasmatica, quella con cui a me sembra che abbiamo a che fare noi oggi). Aggiungo che in questi libri c’è sempre l’ombra di uno “spirito” che (pur essendo anche molto europeo) trascende il ceppo giudaico-cristiano, non è il romanticismo andato a male dei nazisti né la religione del materialismo comunista, ma qualcos’altro che fatico tantissimo ad attraversare, ma vedo (lo vedo!) come il riflesso dell’acqua su una parete bianca in un giorno d’estate.
Leggendo e rileggendo “L’uomo senza qualità”, per esempio, trovo un incredibile preveggente ragionamento-visione-racconto sul capitalismo attraverso il personaggio del miliardario Paul Arnheim.
Capisco che pochi (anche chi ha letto il libro) ricordino Paul Arnheim. Ma trovo stupefacente come, con decenni di anticipo rispetto alla fine del “gold standard” e poi del “gold exchange standard” (1971) che sancì il vero inizio (o la trasfigurazione decisiva) del capitalismo finanziario, Musil avesse, nel personaggio di Paul Arnheim, riassunto tutto questo in modo strabiliante. C’è una battuta che ho letto su Elon Musk, associata a “Watchmen” di Alan Moore. E cioè che Elon Musk si crederebbe il Dottor Manhattan ma sarebbe solo un Adrian Alexander Veidt (aka Ozymandias). Il problema è che Adrian Alexander Veidt è la versione semplificata del Paul Arnheim di Musil, l’uomo (Arnheim) che tentò di trasfondere la poesia nel capitalismo finanziario (ma anche il contrario) mentre le fondamenta di Cacania tremavano senza che nessuno (nessuno in veglia: ma in sonno e in sogno?) se ne rendesse conto.
Dunque, la prima riflessione mi rendo conto forse fallace forse no è su Arnheim visto dal terzo decennio del XXI secolo.
Seconda notazione. Questo è più un consiglio. Ho riletto l’altra notte con sempre maggiore stupore il capitolo 97 de “L’uomo senza qualità”, cioè il capitolo intitolato “Forze e incombenze segrete in Clarisse”. Ricordavo a stento il personaggio di Clarisse (mentre Agathe ce l’avevo sempre presente). Ebbene… mi è sembrato un capitolo in cui forza poetica, incubo, rivelazione, erotismo, esaltazione ma al tempo stesso sottostima di un personaggio letterario (Clarisse), erano talmente intrecciati, e in un modo così sapiente (il pagliaio dentro il quale c’è l’ago ce ci salverebbe, ma della quale serratura, la serratura della porta del pagliaio, non abbiamo la chiave), che io ho “sentito” leggendo, qualcosa che non era scritta da Musil (non con l’inchiostro, voglio dire) e che (fuori dall’intuizione folgorante del momento) mi è molto difficile riprodurre qua.
E quindi (sia per Clarisse sia per Arnheim) lascio che a farlo – a capirci davvero di più – sia qualcuno più bravo e in gamba di me, al quale magari (sarebbe bellissimo, ma potrebbe non essere) potrei aver dato l’idea che non sono in grado di completare.
Perdonate questi post con tre asterischi *** Prometto che saranno molto pochi.

Articolo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2022/07/01/buena-vista-social-club-lagioia-dei-classici/

LE LUCCIOLE di T. TRANSTROMER

 


Ohara Koson - “Fireflies”,1927


SFERE DI FUOCO
Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,
– dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l’anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo
e siamo sopravvissuti.

~ TOMAS TRANSTRÖMER ~
(trad. di Maria Cristina Lombardi)
da ‘La piazza selvaggia’ su “Poesia dal Silenzio” - Crocetti, 2001

29 giugno 2022

CONFIDENZA E POESIA SONO EROTICHE

 



Il collo esposto è erotico.
La vena dell'avambraccio è erotica.
I polsi sono erotici.
La nuca è erotica.
Il ventre è erotico.
La voce è erotica.
La fantasia è erotica.
La fiducia è erotica.
La confidenza è erotica.
Il pensiero è erotico.
Il resto sono luoghi comuni.

Chandra Livia Candiani



L. SCIASCIA DOMANI ALL' ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO

 


28 giugno 2022

PIRANDELLO SEMPRE VIVO

 

© Bruce Davidson/ Magnum Photos- in Sicily 1961




Luigi Pirandello, 28 giugno 1867

"Una notte di giugno io caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’un altipiano d’argille azzurre sul mare africano. Si sa le lucciole come sono. La notte, il suo nero, pare lo faccia per esse che, volando non si sa dove, ora qua ora là vi aprono un momento quel loro languido sprazzo verde. Qualcuna ogni tanto cade e si vede allora sì e no quel suo verde sospiro di luce in terra che pare perdutamente lontano. Così io vi caddi quella notte di giugno, che tant’altre lucciole gialle baluginavano su un colle dov’era una città la quale in quell’anno pativa una grande morìa. Per uno spavento che s’era preso a causa di questa grande moria, mia madre mi metteva al mondo prima del tempo previsto, in quella solitaria campagna lontana dove s’era rifugiata. Un mio zio andava con un lanternino in mano per quella campagna in cerca d’una contadina che aiutasse mia madre a mettermi al mondo. Ma già mia madre s’era aiutata da sé ed io ero nato prima che quel mio zio ritornasse con la contadina. Raccattata dalla campagna, la mia nascita fu segnata nei registri della piccola città sul colle… Io penso che sarà cosa certa per altri che dovevo nascere là e non altrove e che non potevo nascere dopo né prima; ma confesso che di tutte queste cose non mi son fatto ancora né certo saprò farmi mai un'idea."

(Da "Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra" )


CANTORI DEI DODICI MESI

 


Guccini, Cenne e Folgore, cantori dei dodici mesi


A metà della sua Canzone dei dodici mesi Francesco Guccini brinda a Cenne e Folgore, due poeti del dolce stil novo. E' un omaggio dovuto a chi lo aveva ispirato con con due bellissimi e poco conosciuti sonetti, dedicati ai dodici mesi dell'anno. Siamo di fronte ad una sorta di sfida poetica, accompagnata sicuramente da musica e vino e belle fanciulle. Il primo augura ai suoi amici e alle sue amiche le cose più belle che possano accadere nel corso dell'anno, tutte legate al ciclo delle stagioni e ai lavori dei campi. Il secondo si diverte a smontare tutto e, usando gli stessi materiali dell'amico Folgore, risponde augurando quanto di peggio possa esserci, donne brutte e vino cattivo.


Folgore da San Gimignano

Sonetto dei dodici mesi


A la brigata nobele e cortese
en tutte quelle parte, dove sono
con allegrezza stando, sempre dono
cani, uccelli e danari per ispese,
ronzin portanti, quaglie a volo prese,
bracchi levar, correr veltri a bandono:
in questo regno Niccolò corono,
per ch'ell'è 'l fior de la città sanese;
Tengoccio e Min di Tengo ed Ancaiano,
Bartolo con Mugàvero e Fainotto,
che paiono figliuoi del re Priàno,
prodi e cortesi più che Lancilotto;
se bisognasse, con le lance in mano
fariano tarneamenti a Camelotto.


I' doto voi del mese di gennaio
corte con fuochi di salette accese,
camere e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol di seta e copertoi di vaio,
treggea, confetti e mescere a razzaio,
vestiti di doagio e di racese;
e 'n questo modo stare alle difese,
muova scirocco, garbino e rovaio;
uscir di fuor alcuna volta il giorno,
gittando della neve bella e bianca
alle donzelle che saran d'attorno;
e, quando la compagna fosse stanca,
a questa corte facciasi ritorno,
e sí riposi la brigata franca.

E di febbraio vi dono bella caccia
di cerbi, cavrïuoli e di cinghiari,
corte gonnelle con grossi calzari,
e compagnia che vi diletti e piaccia;
can da guinzagli e segugi da traccia,
e le borse fornite di danari,
ad onta degli scarsi e degli avari,
o chi di questo vi dà briga e 'mpaccia;
e la sera tornar co' vostri fanti
carcati della molta salvaggina,
avendo gioia ed allegrezza e canti;
far trar del vino e fumar la cucina,
e fin al primo sonno star razzanti;
e poi posar infin' alla mattina.

Di marzo sí vi do una peschiera
di trote, anguille, lamprede e salmoni,
di dentici, dalfini e storïoni,
d'ogn'altro pesce in tutta la riviera;
con pescatori e navicelle a schiera
e barche, saettíe e galeoni,
le qual vi portino a tutte stagioni
a qual porto vi piace alla primiera:
che sia fornito di molti palazzi,
d'ogn'altra cosa che vi sie mestiero,
e gente v'abbia di tutti sollazzi.
Chiesa non v'abbia mai né monistero:
lasciate predicar i preti pazzi,
ché hanno assai bugie e poco vero.

D'april vi dono la gentil campagna
tutta fiorita di bell'erba fresca;
fontane d'acqua, che non vi rincresca,
donne e donzelle per vostra compagna;
ambianti palafren, destrier di Spagna,
e gente costumata alla francesca
cantar, danzar alla provenzalesca
con istormenti nuovi d'Alemagna.
E d'intorno vi sian molti giardini,
e giacchito vi sia ogni persona;
ciascun con reverenza adori e 'nchini
a quel gentil, c'ho dato la corona
de pietre prezïose, le piú fini
c'ha 'l Presto Gianni o 'l re di Babilona.

Di maggio sí vi do molti cavagli,
e tutti quanti sieno affrenatori,
portanti tutti, dritti corritori;
pettorali e testiere di sonagli,
bandiere e coverte a molti intagli
e di zendadi di tutti colori;
le targe a modo delli armeggiatori;
vïuole e rose e fior, ch'ogn'uom v'abbagli;
e rompere e fiaccar bigordi e lance,
e piover da finestre e da balconi
in giú ghirlande ed in su melerance;
e pulzellette e giovani garzoni
baciarsi nella bocca e nelle guance;
d'amor e di goder vi si ragioni.

Di giugno dovvi una montagnetta
coverta di bellissimi arbuscelli,
con trenta ville e dodici castelli
che sieno intorno ad una cittadetta,
ch'abbia nel mezzo una fontanetta;
e faccia mille rami e fiumicelli,
ferendo per giardini e praticelli
e rinfrescando la minuta erbetta.
Aranci e cedri, dattili e lumìe
e tutte l'altre frutte savorose
impergolate sien su per le vie;
e le genti vi sien tutte amorose,
e faccianvisi tante cortesie,
ch'a tutto 'l mondo sieno grazïose.

Di luglio in Siena, in su la Saliciata,
con le piene inguistare de' trebbiani;
nelle cantine li ghiacci vaiani,
e man e sera mangiare in brigata
di quella gelatina ismisurata,
istarne arrosto e giovani fagiani,
lessi capponi e capretti sovrani,
e, cui piacesse, la manza e l'agliata.
Ed ivi trar buon tempo e buona vita,
e non uscir di fuor per questo caldo;
vestir zendadi di bella partita;
e, quando godi, star pur fermo e saldo,
e sempre aver la tavola fornita,
e non voler la moglie per castaldo.

D’agosto sí vi do trenta castella
in una valle d’alpe montanina,
che non vi possa vento di marina,
per istar sani e chiari come stella;
e palafreni da montare in sella,
e cavalcar la sera e la mattina;
e l’una terra all’altra sia vicina,
ch’un miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavïa verso casa;
e per la valle corra una fiumana,
che vada notte e dí traente e rasa;
e star nel fresco tutta meriggiana;
la vostra borsa sempre a bocca pasa,
per la miglior vivanda di Toscana.

Di settembre vi do deletti tanti:
falconi, astori, smerletti, sparvieri;
lunghe, gherbegli, geti con carnieri,
bracchetti con sonagli, pasto e guanti;
bolze, balestre dritt'e ben portanti,
archi, strali, ballotte e ballottieri,
sianvi mudati guilfanghi ed astieri
nidaci e di tutt'altri uccel volanti,
che fosser boni da snidar e prendere:
e l'un e l'altro tuttavia donando,
e possasi rubar e non contendere;
quando con altra gente rencontrando,
la vostra borsa si' acconcia a spendere
e 'n tutto abbiate l'avarizia en bando.

Di ottobre nel contà c'ha buono stallo,
e' pregovi, figliuoi, che voi n'andate;
traetevi bon tempo ed uccellate
come vi piace, a piè ed a cavallo.
La sera per la sala andate a ballo,
e bevete del mosto ed inebriate,
ché non ci ha miglior vita, en veritate:
e questo è vero come 'l fiorin giallo.
E poscia vi levate la mattina,
e lavativ'el viso con le mani;
lo rosto e 'l vino è bona medicina.
A le guagnele, starete più sani,
ca pesce in lag' o fiume o in marina,
avendo meglior vita di cristiani!

E di novembre a Petriuolo al bagno,
con trenta muli carchi de moneta:
la ruga sia tutta coverta a seta;
coppe d'argento, bottacci di stagno:
e dar a tutti stazzonier guadagno;
torchi, doppier che vegnan di Chiareta;
confetti con cedrata de Gaeta;
e béa ciascun e conforti 'l compagno.
E 'l freddo vi sia grande e 'l foco spesso;
fagiani, starne, colombi, mortiti,
levori, cavrioli rosto e lesso:
e sempre aver acconci gli appetiti;
la notte 'l vento, 'l piover a ciel messo:
e siate ne le letta ben forniti.

E di decembre una città in piano:
sale terrene, grandissimi fochi,
tappeti tesi, tavolier e giochi,
torticci accesi, star co' dadi en mano,
e l'oste inebriato e catellano,
e porci morti e finissimi cochi,
ghiotti morselli, ciascun béa e mandochi:
le botte sian maggior che San Galgano.
E siate ben vestiti e foderati
di guarnacche, tabarri e di mantegli
e di cappucci fini e smesurati;
e beffe far de' tristi cattivegli,
de' miseri dolenti sciagurati
avari: non vogliate usar con egli.

Sonetto mio, a Niccolò di Nisi,
colui ch'è pien di tutta gentilezza,
di' da mia parte con molt'allegrezza
che eo so acconcio a tutti soi servisi;
e più m'è caro che non val Parisi,
d'avere sua amistade e contezza:
se ello avesse emperial ricchezza,
stare' lì me' che San Francesco en Sisi.
Raccomendame e lui tutta fiata
ed a la so' compagna ed Ancaiano,
ché senza lui non è lieta brigata.
Folgore vostro da San Giminiano
vi manda, dice e fa questa ambasciata:
che voi n'andaste con su' cor en mano.


Cenne da la Chitarra

Risposta per contrarî ai sonetti de’ mesi di Folgore da San Geminiano


Ala brigata avara senza arnesi:
in tutte quelle parti dove sono,
davanti a’ dadi e tavolier’ li pono
perché al sole stien tutti distesi;
e in camicia stieno tutti i mesi
per poter più leggèr’ ire al perdono;
entro la malta e ’l fango gl’imprigiono,
e sien domati con diversi pesi.
E Paglierino sia lor capitano;
e abbia parte di tutto lo scotto,
con Benci e Lippo savio da Chianzano,
Senso da Panical ch’ha leggier trotto.
Chi lo vedesse schermir giuso al piano,
ciascun direbbe: «E’ pare un anitrotto».

Io vi doto, del mese di gennaio,
corti con fumo al modo montanese,
letta qual’ ha nel mare il genovese,
acqua e vento che non cali maio,
povertà di fanciulle a colmo staio,
da ber aceto forte galavrese
e stare come ribaldo in arnese,
con panni rotti senza alcun denaio.
Ancor vi do così fatto soggiorno:
con una vecchia nera, vizza e ranca,
catun gittando de la neve a torno;
apresso voi seder in una banca,
e resmirando quel so viso adorno;
così riposi la brigata manca.

Di febbraio vi metto in valle ghiaccia
con orsi grandi vecchi montanari,
e voi cacciando con rotti calzari;
la nieve metta sempre e si disfaccia;
quel che piace a l’uno a l’altro spiaccia:
con fanti ben ritrosi e bacalari;
tornando poi la sera ad osti cari,
lor moglie tesser tele ed ordir accia.
E ’n questo vo’ che siate senza manti,
con vin di pome, che stomaco affina;
in tal’ alberghi gran sospiri e pianti,
tremuoti, venti; e no sia con ruina,
ma sian sì forti, che ciascun si smanti
da prima sera enfino la mattina.

Di marzo vi riposo in tal manera:
in Puglia piana, tra molti lagoni,
e ’n essi gran mignatte e ranaglioni;
poi da mangiar abbiate sorbe e péra,
olio di noci vecchio, mane e sera,
per far caldegli, arance e gran cidroni;
barchette assai con remi e con timoni,
ma non possiate uscir de tal rivera;
Case de paglia con diversi razzi;
da bere vin gergon, che sia ben nero;
letta di schianze e di gionchi piumazzi.
Tra voi signore sia un priete fero,
che da nessun peccato vi dislazzi;
per ciascun loco v’abbia un munistero.

Di aprile vi do vita senza lagna:
tafani a schiera con asini a tresca,
ragghiando forte, perché non v’incresca,
quanti ne sono in Perosa o Bevagna;
con birri romaneschi di Campagna
e ciaschedun di pugna sì vi mesca:
e, quando questo a gioco non rïesca,
restori i marri de’ pian de Romagna.
Per danzatori vi do vegli armini,
una campana, la qual peggio sona,
stormento sia a voi, e non refini.
E quel che ’n millantar sì largo dona,
en ira vegna de li soi vicini,
perché di cotal gente sì ragiona.

Il maggio voglio che facciate en Cagli
con una gente di lavoratori,
con muli e gran destrier’ zoppicatori:
per pettorali forti reste d’agli.
Intorno questo sìanovi gran bagli
di villan scapigliati e gridatori,
de’ qual’ resolvan sì fatti sudori,
8che turben l’aire sì che mai non cagli;
altri villan poi facendovi mance
di cipolle porrate e di marroni,
1usando in questo gran gavazze e ciance:
in giù letame ed in alto forconi;
vecchie e massai baciarsi per le guance;
di pecore e di porci si ragioni.

Di giugno siate in tale campagnetta,
che ve sieno corbi ed argironcelli;
le chiane intorno senza caravelli:
entro nel mezzo v’abbia una isoletta,
de la qual esca sì forte venetta,
che mille parte faccia e ramicelli
d’aqua di solfo, e cotai gorgoncelli,
8sì ch’ella adacqui ben tal contradetta.
Sorbi e pruni acerbi siano lìe,
nespole crude e cornie savorose;
le rughe sian fangose e strette vie;
le genti vi sian nere e gavinose,
e faccianvisi tante villanie,
che a Dio ed al mondo sïano noiose.

Di luglio vo’ che sia cotal brigata
en Arestano, con vin di pantani,
con acque salse ed aceti soprani,
carne di porco grasso apeverata;
e poi, diretro a questo, una insalata
di salvi’ e ramerin, per star più sani,
carne de volpe guascotta a due mani
e, a cui piacesse, drieto cavolata;
con panni grossi lunghi d’eremita:
e sia sì forte e sì terribil caldo
1com’ha il solleone a la finita;
ed un brutto converso per castaldo,
avaro, che si apaghi di tal vita:
la moglie a ciaschedun sia’n manovaldo.

D’agosto vi reposo en aire bella,
en Sinegallia, che me par ben fina;
il giorno sì vi do, per medicina,
che cavalcate trenta migliatella,
e tutti en trottier’ magri senza sella,
sempre lung’ a un’acqua de sentina;
da l’altra parte si faccia tonnina,
8poi ritornando a poso di macella.
E, se ben cotal poso non vi anasa,
mettovi en Chiusi la città sovrana,
1sì stanchi tutti da non disfar l’asa;
la borsa di ciascuno stretta e vana,
e stare come lupi a boc[c]a pasa,
tornando in Siena un dïe la semana.

Di settembre vi do gioielli alquanti:
àgor’ e fusa, cumino et asolieri;
nottol’ e chieppe con nibbi lanieri;
archi da lana bistorti e pesanti;
barbagianni, assïuoli allocchi tanti
quanti ne son de qui a Monpeslieri;
guanti di lana, borsa da braghieri,
stando così a vostre donne davanti.
E sempre questo comparar e vendere
con tal mercadantìa il più usando;
e di settembre tal diletto prendere;
e per Siena entro gir alto gridando:
«Muoia chi cortesïa vuol defendere,
ch’i Salimbeni antichi li diêr bando».

D’ottobre vi conseglio senza fallo
che ne la Falterona dimorate,
e de le frutta, che vi so’, mangiate
a riglie grand’, e non vi canti gallo.
Chiare vi son l’acque come cristallo;
or bevete, figliuoli, e restorate;
uccellar bono v’è a’ varchi, en veritate,
ché farete nel collo nervo e callo,
in quell’aire, ched è sottile e fina:
ben stanno en Pisa più chiari i pisani,
e ’l genovese lungo la marina.
Prendere ’l mi’ consegl’ non siate vani:
arosto vi darò mésto con strina,
che ’l sentiranno i piedi con le mani.

Di novembre vi metto in un gran stagno,
in qual parte più pò fredda pianeta,
con quella povertà che non si acqueta
di moneta acquistar, che fa gran danno.
Ogni buona vivanda vi sia in banno;
per lume, facelline da verdeta;
castagne con mele aspre di Faeta:
istando tutti ensieme en briga e lagno.
E fuoco non vi sia, ma fango e gesso,
se no ’n alquanti luochi di romiti
che sia di venti miglia lo più presso;
di vin e carne del tutto sforniti:
schernendo voi qual è più laido biesso,
veggendovi star tutti sì sguarniti.

Di dicembre vi pongo in un pantano
con fango, ghiaccia ed ancor panni pochi;
per vostro cibo fermo fave e mochi;
per oste abbiate un troio maremmano;
un cuoco brutto, secco, tristo e vano,
che vi dia colli guascotti e, que’, pochi:
e qual tra voi ha lumi, dadi o rochi
tenuto sia come tra savi un vano.
Panni rotti vi do e debrilati;
apresso questo, onn’omo en capegli;
bottacci di vin montanar fallati.
E chi ve mira sì se meravegli,
vedendovi sì brutti e rabuffati,
tornando in Siena così bei fancegli.


PUBBLICATO DA VENTO LARGO A 19:05 

ETICHETTE: POESIA



27 giugno 2022

ALLARGARE LO SGUARDO

 

Allargare lo sguardo


Sara Gandini
26 Giugno 2022

È giusto far dipendere dallo Stato decisioni che riguardano il corpo, la salute, la maternità, la sessualità? Esistono nessi tra l’intromissione dello Stato nella vita intima delle persone durante la pandemia e la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti? Quanto accade negli Usa e in altri paesi in tante forme diverse sono prima di tutto i colpi di coda del patriarcato agitati da uomini incapaci di tollerare la libertà delle donne? Domande e punti di vista per riconoscere e smantellare la profonda misoginia di tanti. “Di fronte alle notizie degli Usa sull’aborto penso che non si tratti solo di scendere in piazza per protestare… – scrive Sara Gandini – Bisogna allargare lo sguardo a tutto quello che sta accadendo e dire basta a uno stato autoritario e paternalista che si pone come colui che sa cosa è giusto per noi, ma non ha fatto nulla per prepararci a pandemie, guerre e crisi economiche catastrofiche. Anzi le usa come strategie di distrazione di massa, sfruttando e creando emergenze su emergenze…

Forse proprio con la legge sull’aborto si è inaugurata l’epoca in cui lo stato, la legge, entrava nella vita delle persone in forme mai applicate alle altre pratiche dì medicina chirurgica. Su questo discutevano le femministe che parlavano di depenalizzazione dell’aborto e non di diritto all’aborto, già negli anni Settanta. Si ragionava sulla intromissione dello stato nel processo decisionale su sessualità e riproduzione. Il femminismo della differenza italiano, in particolare, aveva invitato a riflettere sul fatto che difendere un potere esterno, che pretende di regolamentare il rapporto della donna con il suo corpo, non è detto sia così ovvio. Allora sostenevano che l’esistenza di una legge dello Stato sul corpo delle donne – più o meno repressiva – era in contraddizione con la lotta per la libertà femminile.

Indubbiamente il cosiddetto diritto di abortire viene attaccato non nell’interesse delle donne, tuttavia penso che sia fondamentale continuare a discutere con radicalità sull’aborto, anche alla luce di quello che è capitato in Usa e con la pandemia.

Non si tratta solo di difendere la possibilità di poter abortire o di migliorare in Italia l’applicazione della legge sull’aborto, o di poter usare la pillola, di poter garantire la fecondazione eterologa, di… Il punto è che facciamo dipendere dallo stato decisioni per nulla scontate che riguardano il corpo, la salute, la maternità, la sessualità. Lo stato entra quindi in questioni estremamente complesse e intime indirizzandole, condizionandole.

Ho sempre trovato interessante il taglio critico del pensiero della differenza perché non banalizzava il discorso battendosi semplicemente per “il diritto di”. Mi rifaccio prima di tutto a La politica del desiderio (Orthotes) di Lia Cigarini. Per questo ad esempio abbiamo giudicato buona la legge Merlin sulla prostituzione. Con la Legge Merlin si vietò il controllo diretto sulla prostituzione da parte dello Stato rendendo perseguibile lo sfruttamento della prostituzione.

Con la pandemia è invece continuata l’intromissione della stato nella vita intima delle persone. Una nuova versione di stato patriarcale ha imposto regole su regole, perché i cittadini non sarebbero in grado di capire i rischi e decidere cosa è bene per la propria salute. I cittadini sono stati trattati come bambini incoscienti da indirizzare, controllare, punire…

Io penso che si tratti dei colpi di coda di un patriarcato che mostra in realtà uno stato fragile, che ha avuto la necessità di appoggiarsi agli scienziati per recuperare ascolto e credibilità. Ma se la scienza non può mai fornire verità assolute, come si vorrebbe invece far credere, in piena pandemia in particolare i dati scientifici erano in evoluzione continua, con studi approvati in via emergenziale, informazioni che evolvevano continuamente e tutti da verificare con i tempi della comunità scientifica e del metodo scientifico. Bisognava andare quindi molto cauti con le misure di salute pubblica, raccontando con più onestà cosa si sapeva e cosa no. Non si sono cercati strumenti appropriati che mostrassero le incertezze e che fossero proporzionali ai rischi.

Come chi mette in discussione l’aborto, anche con la pandemia si sono trincerati nell’irresponsabilità e nel moralismo.

Le femministe dicevano che “il dramma, lo scacco, la liberazione che una donna vive in rapporto” all’aborto non devono essere zone di interesse del servizio sanitario nazionale. Per cui la legge sull’aborto veniva nominata come una prevaricazione dello Stato di far valere il suo controllo e la sua ideologia su una scelta che doveva essere personale.

La pandemia ci ha messo di fronte alla stessa complessità. Abbiamo visto uno stato autoritario che è entrato a regolare la vita intima delle persone, vietando loro di allontanarsi di casa, decidendo chi dovevano frequentare (i famosi congiunti), se uscire alla sera in certi orari, obbligandoli al vaccino pena la perdita del lavoro, vietando ai bambini e alle bambine di fare sport, di andare a scuola in presenza… il tutto per motivi sanitari alimentati da una narrazione catastrofista continua.

E ora emergenza su emergenza vediamo come lo Stato entra sempre più nella vita intima delle persone… in una insensatezza e irrazionalità continua. Via via entra nelle vite delle persone addossando loro la responsabilità delle emergenze, usando strumentalmente le parole degli scienziati per alimentare scontro sociale.

Per cui di fronte alle notizie degli Usa sull’aborto penso che non si tratti solo di scendere in piazza per protestare per il “diritto di abortire”. Ribadisco che bisogna allargare lo sguardo a tutto quello che sta accadendo e dire basta a uno stato autoritario e paternalista che si pone come colui che sa cosa è giusto per noi, ma non ha fatto nulla per prepararci a pandemie, guerre e crisi economiche catastrofiche. Anzi le usa come strategie di distrazione di massa, sfruttando e creando emergenze su emergenze.



Comments

  1. Nicoletta Crocella says

    Sono daccordo su tutto, ma credo che bisogna ricordare che anche prima, era normato l’uso del proprio corpo, persino parlare di contraccettivi era proibito, e l’avvento della pillola portò con sè fiumi di distinguo e di contraddizioni, per parecchio tempo veniva prescritta “per regolare il flusso mestruale” ma non poteva ufficialmente essere prescritta come anticoncezionale. In questo senso l’aborto libero e gratuito è stato un passo avanti nella liberazione della donna, anche se ha le sue belle contraddizioni, che si evidenziano soprattutto con le più indifese, che hanno difficoltà ad esempio trovare un ginecologo non obiettore.

    È molto difficile riuscire a tenere insieme i vari piani, rispetto per le libertà individuali, non intromissione nelle scelte e nella vita delle persone, e insieme accesso ai servizi di cui si ha bisogno. La cosa si è evidenziata in tutto il suo squallore con la pandemia, periodo durante il quale sono stati perseguiti, a volte addirittura radiati, i medici che curavano i pazienti, ignorando le direttive sanitarie del governo, che ovviamente sono una contraddizione con la ricerca della salute (sul mio blog ragionandoci.wordpress.com, pubblico un ricordo riflessione di quando lavoravo in consultorio, e la legge 194 era agli inizi…).

  2. Pezzo ripreso da https://comune-info.net/allargare-lo-sguardo/


26 giugno 2022

NON CI SIAMO ANCORA LIBERATI DALLA SESSUOFOBIA

 


La sessualità che produce fantasmi

Nuria Alabao
25 Giugno 2022

La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti riporta l’affermazione dei diritti delle donne indietro di cinquant’anni, ma non è certo un fulmine orrendo a ciel sereno. Né in quel paese, né altrove. Nuria Alabao ne deduce che dobbiamo tornare a parlare di sesso, un tema che ha ancora qualcosa di sfuggente, di sacro, qualcosa che ha la capacità di farci ruggire. E di far attivare nefaste e artificiose “guerre di genere” per le quali è necessario fabbricare vittime. Sono armi potenti, forse oggi come mai prima, perché profondamente emotive e perché è più facile alimentarle con la polarizzazione stimolata dagli algoritmi della rete. È il pane quotidiano delle culture politiche di destra, ma quelle guerre non sono più usate solo dalla destra. Anzi, sono arrivate a permeare perfino delle pratiche che si dicono nate per liberare le donne. Ma come? – si chiede e ci chiede Nuria – il mondo va in pezzi (nel titolo originale dell’articolo lo si dice in modo più colorito) e noi dobbiamo star qui a parlare di sesso? Parlare di sesso significa guardare dentro una struttura che detiene un ordine di dominio, un ordine che conduce al disastro. La sessualità serve perché permette di costruire fantasmi, di creare guerre culturali che distolgono l’attenzione dal mondo che sta crollando, indirizzandola verso passioni che ci agitano e ci turbano da sempre, che condensano le paure e costruiscono, sulle insicurezze della vita, una qualche direzione per vite senza significato, soprattutto collettivo. Mettere in discussione i ruoli di genere, come fa il femminismo, può avere conseguenze più destabilizzanti di quanto potrebbe sembrare, ma perfino il femminismo può essere strumentalizzato per fabbricare nuove guerre di valori o per provare a riconquistare perdute legittimità politiche. Per questo è così importante continuare a provare a sconfiggerlo. Il premio, nel caso di esito positivo, si pagherebbe come sempre in potere

La protesta di fronte a un’ambasciata degli Stati Uniti in Gran Bretagna dopo la decisione sull’aborto della Corte Suprema. Foto tratta da Abortion Rights

Sì, a volte ho quella sensazione. Vorrei parlare di sesso, godimento, piacere, vorrei parlare di Pride, di amore senza regole, ma poi penso: il mondo sta andando in pezzi, che importanza possono avere queste cose? Quale verità vale la pena dire quando l’orizzonte sembra essere il collasso ecologico, la crisi permanente, una violenza sempre più sfacciata? 

Da questo piccolo paese liberale (la Spagna, ndt) in un angolo d’Europa – sì, liberale nei valori, non fraintendetemi – le battute d’arresto possono sembrare qualcosa di lontano. Ma l’esempio statunitense sull’aborto segnala un’altra direzione. In molti altri luoghi, poi, sempre più persone  esibiscono la propria identità e si organizzano per attaccare i gay. o i migranti. Vengono proibiti i Pride – come a Mosca – oppure la vita del nascituro viene considerata superiore a quella che la crea, come in Polonia, Honduras, Nicaragua, Vaticano… In ogni caso, in vari paesi del mondo, le questioni di genere – cioè delle donne, delle persone LGBTIQ –, trasformate in guerre, sono strumenti utili per conquistare e mantenere il potere, per generare coalizioni, tra religione e politica o tra religioni diverse. Sono temi adatti alla mobilitazione e all’agitazione sociale in tempi di disaffezione politica. La sessualità serve perché permette di costruire fantasmi, di creare guerre culturali che distolgono l’attenzione dal mondo che sta crollando indirizzandola verso altre passioni che ci agitano e ci turbano, che condensano le paure e costruiscono sulle insicurezze vitali una direzione per vite senza molto significato – soprattutto collettivo –; sono guerre culturali che creano comunità affettive. Uno scopo, un ordine, anche una guida morale. (Oggi abbiamo tutte le opzioni – ci dicono – possiamo vivere in qualsiasi modo, ma in realtà non possiamo scegliere quasi nulla perché non abbiamo soldi. La sensazione, per molte, è piuttosto che la vita ci sfugga di mano). 

Però non possiamo sfuggire. Sebbene non possa farlo come vorrei, parlare di sesso è inevitabile oggi, quando la reazione è in agguato in mezzo mondo, quando l’estrema destra gemellata con fondamentalismi religiosi di ogni segno torna ad assediare la nostra sessualità e ciò che è ad essa associato, sia esso il sesso in sé – chi può scopare con chi – ; o chi ha il diritto di riprodursi – o addirittura l’obbligo – e chi no, perché straniero, nero, non occidentale, musulmano. C’è inoltre, implicito, in buona parte di questi progetti un modello di come dovrebbe essere organizzata la genitorialità perché il futuro umano diventi un valore per il capitale, un lavoratore – nazionale, ovviamente. Le istruzioni sono nella tradizione, ci dicono, in quella fantasia che chiamano la “famiglia naturale”. In realtà, parlare di sesso oggi è anche parlare di una struttura che detiene un ordine di dominio, un ordine che ci conduce al disastro.

Immagine di J.R.Mora tratta da Cxtx

Passioni esplosive, potenza politica

Le guerre del genere non sono esattamente nuove, anche se oggi hanno un nuovo significato. Gayle Rubin le descriveva come “momenti politici” del sesso, in cui le passioni scatenate dalle questioni morali vengono convogliate nell’azione politica e da lì nel cambiamento sociale, siano esse leggi o linciaggi. Come esempi storici di queste situazioni di “panico morale” citava l’isteria sulla schiavitù sessuale dei bianchi – la “tratta delle bianche”– degli anni Ottanta dell’Ottocento o il terrore sulla pornografia infantile della fine degli anni Settanta, che si cercava di collegare agli omosessuali. Il meccanismo è questo: i mezzi di comunicazione si indignano, la gente si comporta come una folla inferocita, la polizia viene attivata e lo Stato emana nuove leggi, dice Rubin. E ogni panico morale ha conseguenze su due livelli: la popolazione che ne viene fatta oggetto soffre di più, ma i cambiamenti sociali e di legge ci toccano tutti.

Per attivare le guerre di genere è necessario fabbricare vittime, il che permette di giustificare le reazioni, siano esse nuove leggi punitive, restrizione dei diritti o proteste che additano e svergognano i responsabili. (Non è necessario entrare nei dettagli su come questa si intersechi con una caratteristica della politica odierna – anche quella delle sinistre – molto incentrata sulla costruzione della figura della vittima.) Così, temi come l’espressione di dissidenze sessuali, la prostituzione, il porno o l’educazione sessuale-affettiva nelle scuole vengono collegati ad altri significanti per mostrarli come minacce alla salute, alla famiglia, alle donne o ai bambini, alla sicurezza nazionale o alla stessa civiltà, dice Rubin. Le attuali estreme destre sono esperte in questo tipo di meccanismi, nell’utilizzare lo scandalo e nel gestire i suoi retroscena, nel costruire vittime, spesso molto lontane dalle persone che si trovano realmente in posizioni di maggiore vulnerabilità sociale. Sono efficaci nell’innescare e fabbricare crisi, alimentandosi delle loro conseguenze.

Le guerre di genere sono armi potenti perché sono profondamente emotive. Negli Stati Uniti, hanno attaccato il diritto all’aborto fin dagli anni Settanta con questa strategia: identificare gli aborti come “omicidi nell’utero” e le leggi favorevoli come “leggi di mattanza infantile”. Queste campagne aggressive che abusavano dello scandalo morale si sono rivelate in grado di mobilitare le passioni di molti militanti pro-vita e di segnare il dibattito su questo diritto fino ad oggi. Gli attivisti anti-aborto pubblicano foto di feti non nati, dicono che si tratta di “infanticidio” e lo paragonano alle pratiche eugenetiche della Germania fascista. Un carico emozionale e delle iperboli espressive che sono state, da allora, caratteristiche del trattamento che i fondamentalisti riservano a questi temi. Sembra che abbia funzionato come perno per costituirsi in blocco di potere.

Mettere in discussione i ruoli di genere, come fa il femminismo, può avere inoltre conseguenze più destabilizzanti di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Per molti questo comporta un attacco alla propria identità, alle coordinate che organizzano il nostro mondo e alle stesse relazioni sociali. Le argomentazioni non sono cambiate molto: siccome gli omosessuali non possono riprodursi, cercano di convertire i nostri figli nelle scuole – sembra assurdo, ma è uno degli argomenti classici della destra radicale fin dagli anni Settanta. Da questo tipo di narrazioni nascono le guerre virulente contro l’educazione sessuale-affettiva e contro l’educazione egualitaria in tutto il pianeta, quella che “sessualizza” i nostri piccoli mentre la famiglia si dissolve insieme all’autorità paterna e tutto è crimine e caos intorno a noi. Intanto, per altri versanti, si cerca anche di moralizzare, di purificare la società in una sorta di fuoco redentore e ci viene detto che gli adolescenti stuprano in branco perché guardano i porno, che la prostituzione è la principale causa delle aggressioni sessuali e chi paga per il sesso – il “puttaniere” – diventa un mostro sociale, l’epitome di tutto ciò che è sbagliato nell’ordine di genere. “Il panico morale cristallizza paure e ansie molto diffuse e spesso le affronta, non cercando le vere cause dei problemi e le caratteristiche che mostrano, ma le rivolge verso i ‘tipi diabolici’ di qualche gruppo sociale concreto”, spiega Jeffrey Weeks.

Foto Gaiathri Malhotra/Unsplash

Le guerre di genere, però, non sono usate solo dalla destra. Le loro forme, le argomentazioni, le cacce alle streghe le abbiamo trovate negli ultimi anni, schierate con tutta la loro brutalità, in un settore di femminismo contro le persone trans e la promozione dei loro diritti. Ricordiamolo: le donne trans che si mettono in agguato nei bagni o negli spogliatoi per violentarci, oppure associate, ancora una volta, alla pederastia, quelle che vengono a “cancellarci”, quelle colpevoli di avere o di aver avuto un pene. Se l’obiettivo era il miglioramento di una legge, o la sua messa in discussione e il dibattito, le modalità con cui ha avuro luogo questa discussione hanno avuto la conseguenza di rendere impossibile qualsiasi confronto. In una guerra ci sono solo due parti. Come discutere?

Le guerre di genere sono state usate anche contro le lavoratrici del sesso e il loro diritto minimo, in questo caso, semplicemente di esistere, di non essere criminalizzate e perseguitate, di non essere ancora più sottomesse al potere di giudici e poliziotti. Tutto il compenso per il sesso è stupro, il consenso non esiste, “vengono penetrate in tutti i buchi”… il linguaggio millenarista non molla, intanto si offre un’immagine semplificata di una realtà che è invece plurale: quella delle donne drogate, quasi legate a un letto, disponibili 24 ore su 24 per il “consumo”. La figura della puttana come vittima da salvare e, insieme, come vita sacrificabile in favore dell’uguaglianza per le donne. La guerra è contro i magnaccia e contro i protettori, dicono, non contro le donne che lavorano. Però abbiamo visto, nel frattempo, le lavoratrici del sesso molestate durante manifestazioni e incontri pubblici, espulse dai dibattiti universitari o private della possibilità di parlare nelle assemblee dell’8 marzo. È sorprendente che lo sfruttamento lavorativo non generi quasi nessun tipo di reazione, che se ne parli così poco, mentre invece lo si fa solo quando esso è legato al sesso. Sorprende l’indignazione ruggente contro magnaccia e protettori ma non contro i padroni che sfruttano le lavoratrici stagionali nei campi di Huelva, non contro i padroni che fanno lavorare le domestiche sette giorni su sette senza poter uscire, non contro i poliziotti che respingono i ragazzini alle frontiere, li inseguono per le strade di Ceuta, oppure gli sparano pallottole di gomma in mare finché non muoiono. Il sesso ha qualcosa di sfuggente, di sacro, che ha la capacità di farci ruggire. 

Queste forme di panico morale non vengono solo incanalate contro gli altri ambiti sociali, contro le persone emarginate – prostitute o trans –, ma si infiltrano anche nella narrazione sulla violenza sessuale che si trasforma in terrore sessuale, generando paura e rivoltandosi contro la nostra stessa autonomia. Sì, amiche mie, le guerre di genere non sono un’esclusiva dell’estrema destra, vengono dichiarate anche da femministe, da “socialisti”, dai nostri? Il panico morale è qui usato anche per agitare, per creare le proprie basi sociali, sebbene non siano maggioritarie, ma molto attive sì, pronte a diventare, come i fondamentalisti religiosi, “guerriere di valori”, in questo caso, in nome del femminismo. Come abbiamo già detto, una proposta al servizio del re-incanto della politica in tempi di disincanto generalizzato, di crisi di rappresentanza. Il femminismo è utile anche perché viene caricato di legittimità politica – soprattutto a sinistra –; sconfiggerlo aprendo nuove guerre può avere un premio. Il premio è il potere.

Stiamo vivendo un tempo in cui la polarizzazione è stimolata dagli algoritmi della rete e dall’ascesa delle teorie del complotto. Tutta la politica si sta impregnando di queste guerre culturali in tempi di futuri collassati. La domanda fondamentale è se queste forme politiche, se l’appello a emozioni forti, la creazione di vittime da salvare, l’indignazione sfrenata, la costruzione di scandali, paure e capri espiatori possano essere una strategia praticabile in un progetto di emancipazione. Le guerre di genere – come aspetto radicalizzato di quelle culturali – sono destinate anche a distogliere l’attenzione dai malesseri sociali, molti dei quali sono legati alle condizioni di vita, a deviare lo sguardo, come dicevamo, da un mondo che sta crollando, a reindirizzare l’energia politica verso questioni morali affinchè non si parli di sfruttamento – del lavoro o attraverso le rendite immobiliari –, del progressivo impoverimento che stiamo vivendo, della crisi eco-sociale. L’utilizzo di forme della politica che in fondo servono a suturare la lotta di classe – e a creare falsi colpevoli – può sfociare solo in una politica di conservazione. Non importa cosa ci si proponga di ottenere, ma se quelle proposte volte a risolvere i problemi che si sono tradotti in panico morale, finiscono sempre il loro percorso nel Codice Penale – come risorse per il sistema carcerario e le forze di sicurezza – non potranno dar vita ad altro che a una politica reazionaria. Chissà, forse dobbiamo semplicemente renderci conto che esiste un femminismo profondamente reazionario.  

Parlare di sesso, dunque, pare proprio inevitabile oggi.

L’articolo è uscito in versione originale su Cxtx con il titolo: El mundo se va a la mierda y nosotras hablando de sexo.

Traduzione per Comune-info: marco calabria

Nuria Alabao, giornalista e antropologa, fa parte della Fundación de los Comunes