06 settembre 2021

L' AMORE AL TEMPO DELLE CHAT

 


L’AMORE AL TEMPO DELLE CHAT IN VIVIANA VIVIANI

Non sono un ingegnere, ma lavoro in campo informatico da una vita, e quindi vivo continuamente contornato da ingegneri. In tutti questi anni, non ho mai nemmeno provato a condividere con loro la mia passione per la poesia, perché percepivo a pelle la loro indifferenza, anzi l’ostilità per quanto non rientrava nel rigido paradigma della logica binaria.

Quando però, qualche mese fa, uscirono i miei sonetti indie, fui sorpreso di constatare che alcuni di loro comprarono il libro, alcuni lo elogiarono, uno in particolare lo apprezzò enormemente, e mi mandò un messaggio Whatsapp che conservo ancora con molto orgoglio e riconoscenza.

Non era vero che gli ingegneri (come molti altri che vivono al di fuori del campo della letteratura) fossero allergici alla poesia. Erano allergici a quella poesia inintelligibile scritta solo per gli addetti ai lavori, che occupa lo spazio più ingombrante sugli scaffali delle librerie nei nostri centri commerciali.

Fortunatamente, tuttavia, esiste anche una poesia diversa, che sebbene non si arrampichi sulle vette rarefatte delle metafore e dell’astrazione, ha conquistato una porzione di lettori sorprendentemente vasta.

Io stesso, in passato, non ho potuto non notare il grande successo di pubblico – per fare un paio di nomi di quelli che più mi stanno a cuore – di certa poesia di Wisława Szymborska o delle poesie d’amore a Ladyhawke di Michele Mari.Poesie comprensibili, ironiche, divertenti, anche nella loro drammaticità, con un ritmo poetico efficace.

Questa premessa – forse troppo lunga –mi serve per introdurre un singolare libro di poesia di cui vorrei parlare. Un libro diverso da quelli che solitamente siamo abituati a leggere, molto riflessivo ma per nulla astruso, profondo ma leggero, serio ma divertente. Si tratta del libro di Viviana Viviani Se mi ami sopravvalutami (ed. Controluna, 2019).

Viviani – appunto – è un ingegnere. Siamo amici su Facebook, ma non ci conosciamo davvero, e sul social network abbiamo interagito pochissimo. Siamo amici da tanto tempo,e non ricordo come e perché lo siamo diventati. Quando Viviana pubblica delle poesie (che siano tratte dal libro oppure inediti), le leggo sempre con interesse, ma soprattutto con divertimento.

Anche quando sembrano poesie leggere, hanno sempre una profondità che non è difficile riconoscere nella propria esperienza di essere umano che vive nel ventunesimo secolo. La tecnologia è uno dei protagonisti più presenti nella raccolta. I personaggi sono esperti di social network, usano google, frequentano le chat, il loro umore dipende dal comparire delle spunte blu su Whatsapp. Ma i loro sentimenti non sono contraffatti dalla rigida mediazione tecnologica. Restano autentici e dolenti, non perdono nulla della propria umanità: la tecnologia è solamente lo strumento attraverso il quale il sentimento comunica e si confronta con l’altro da sé. Ma il sentimento rimane umano, appartiene alla natura e all’universo che lo ha generato.

Come in “Oggi il mio schermo piange”, in cui il cuore ferito della poetessa viene trasposto dallo schermo piatto e banale di un PC alla profonda remotezza delle stelle morte da molti anni, creando un efficace effetto di straniamento:

Oggi il mio schermo piange
sui tuoi “mi piace” alle altre
con commenti e complimenti
e cuoricini come ciliegie
su foto di puttane in vetrina.
Nella finestra della chat
il tuo saluto di cinque giorni fa.
Rimango appesa alla corda del mouse,
la luce verde brilla
ma dentro me si è spenta
come certe stelle già morte
che vediamo splendere ancora
cento anni dopo
per quanto siamo lontani.

La dicotomia tra la luce dello schermo e quella delle stelle morte allarga repentinamente la prospettiva dal particolare verso la vastità, trascendendo le minuzie della tecnologia e indirizzando lo sguardo del lettore verso i confini incommensurabili dell’universo o verso il groviglio inestricabile e segreto dell’animo umano.

È questo un meccanismo che ricorre spesso nella raccolta, soprattutto nella prima parte, “Amore”, quella a mio giudizio meglio riuscita. Come nella poesia probabilmente più nota del libro e maggiormente diffusa nella rete, “Non mandarmi il tuo c@zzo in chat”:

Non mandarmi il tuo cazzo in chat
che ancora non ho navigato
le lunghe vene delle tue braccia
né attraversato fiumi
camminando sulle tue vertebre.

Non ho sovrapposto le impronte digitali
per vedere se si assomigliano
e nemmeno disegnato ghirigori
tra le nocche delle tue mani.

Non ho contato una ad una
le tue ciglia nel sonno
o soffiato parole audaci
nel labirinto delle tue orecchie.

Non ho ancora cercato l’orsa maggiore
tra le costellazioni dei tuoi nei
né dato un nome a quelle senza nome
sulla volta della tua schiena.

Anche qui, la tecnologia tenta di appropriarsi – senza riuscirci – di una dimensione umana tenerissima, e la poetessa è brava a ricondurre la brutalità dell’immagine oscena all’universo amoroso che essa tenta di offendere e disinnescare. Questa poesia ha conquistato in rete una grande notorietà, ma probabilmente per il motivo sbagliato. Non è la violenza della foto di nudo la protagonista di questo testo, ma la dolcezza delle strofe che seguono, che ristabiliscono con potenza ed efficacia il sentimento delicato dell’amore con immagini di enorme leggiadria.

La tecnologia non è il male assoluto; essa può rivelare a volte un aspetto tenero, come quando si sceglie come password il nome della persona amata:

Crederanno gli ingenui
che ti abbia scordato
mentre io tutti i giorni
entro in tutte le stanze
digitando il tuo nome.
Son due sillabe nude
che arricchisco di orpelli
che sia anno o città
e mai ti è mancato
un carattere speciale.
Il tuo nome è la chiave
con cui scrivo, lavoro,
compro, pago, rispondo,
mi collego col mondo.

Il ritmo cantato del settenario (movimentato da un paio di ipometri o ipermetri che non inficiano la riuscita metrica della composizione) è sugellato dalla rima dell’ultimo distico, che suggerisce la perfezione della password in cui si nasconde il nome dell’amato. In realtà una password di questo tipo non è affatto perfetta, anzi è pericolosamente vulnerabile (secondo le policy di sicurezza di qualsiasi azienda nessuna password dovrebbe contenere il nome di una persona cara), ma proprio questo la rende tenera, umanissima, connotata dal carattere speciale che la arricchisce e ne attesta il suo essere peculiare, irripetibile.

Alcune delle poesie più belle della raccolta, tuttavia, vivono completamente al di fuori del mondo tecnologico, ed esprimono un bisogno di tenerezza puramente umano, non mediato da alcunché. Come nella poesia che dà il titolo al libro, “Se mi ami sopravvalutami”:

Se mi ami sopravvalutami
non cadere nell’inganno
di amarmi per quello che sono
sono stanca di faticare
di dovermi sempre impegnare
tu indossami senza provarmi
comprami senza garanzia
se mi ami sopravvalutami
sii bello e condannato
un premio estratto a sorte
un dono immeritato.

Viviani ha un poetare semplice, una sintassi piacevolmente lineare, ma non le fanno difetto gli strumenti tecnici e retorici più smaliziati, a partire dal ritmo, a volte incasellato nello schema metrico (si legga per esempio il poemetto “La giovane stampante e il vecchio calamaio”), a volte atto a irretire con una musicalità divagante la libertà del verso libero.

Ogni tanto fa uso della rima, talvolta in un modo che appare quasi casuale, a volte a sottolineare passaggi essenziali nella lirica. Ma soprattutto ha una versificazione fresca, comprensibile a tutti e con molti componimenti di ottimo livello.

È una poesia che ha avuto un buon successo soprattutto nella rete, il che non significa che si tratti di poesia meramente popolare, quanto piuttosto di una poesia che è riuscita a far breccia nel gusto di molti lettori; non necessariamente dei soli addetti ai lavori, ma anche di quelli che forse non hanno mai letto un libro di poesia in vita loro.

Di questi tempi, con la poesia che vende pochissimo, e che spesso viene letta solamente dagli altri poeti e da un manipolo di critici, mi sembra un risultato incoraggiante.

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