26 settembre 2021

MARIO PINTACUDA SULLA CULTURA POPOLARE SICILIANA

 


FAVORI, PROMESSE E SODDISFAZIONI NELL’ ITALIANO REGIONALE DI SICILIA

Mario Pintacuda


Il siciliano in genere si mostra ossequioso, gentile, disponibile; preferibilmente, si intende, con chi gli può garantire favori e adeguato contraccambio.
Se a qualcuno manca qualcosa, c’è sempre chi promette di procurarla: “Ti manca questo permesso? Te lo faccio capitare io”, “Tranquillo, sta cosa te la faccio a tappo!” (cioè “immediatamente”).
L’importante, ovviamente, è conoscere qualcuno, magari da lungo tempo: “Il figlio del dottore Madonia? Io ha che lo conosco…”, “Il signor Palazzolo mi sa nascere!”, “Il ragioniere Incardona è persona mia”.
Spesso è utile esaltare in modo mellifluo i meriti dei propri interlocutori (“Lo so le persone che siete”), evitando però gli eccessivi tratti adulatori, gli “spinnicchi” (se no potrebbero risponderti “È inutile che mi allisci”).
Bisogna scegliere i tempi opportuni, per parlare (“Ora gli esco il discorso”) o per recarsi da qualche parte (“Domani, a che vado a Palermo, ti faccio questo favore”).
Certi favori, in effetti, sono fatti volentieri (“Te lo faccio a bello cuore”), sia pure ad un certo prezzo (“A quello ci dobbiamo bagnare le mani”, cioè allargare i cordoni della borsa e pagarlo…).
In ogni caso è grande soddisfazione poter sbandierare a tutti la propria “importanza” sociale: “Amici a mai finire ne ho” o anche “Amici ne ho a tinchitè”. Ed è bellissimo poter proclamare la propria contentezza (“Mi, che sono contento!) o mostrare appagamento quando il “nemico” viene a patti e, almeno apparentemente, si mostra gentile (“Me l’ha fatta, la parte”).
Certo, a volte è difficile domandare qualcosa, non fosse altro per orgoglio: “Mi viene forte a chiedergli un favore...”, “Non mi spercia” (cioè “non mi va”). Però alla fine l’aiuto viene immancabilmente richiesto all’amico di turno, promettendogli in cambio anzitutto la riconoscenza divina (“Il Signore te lo paga!”).
Quando poi si tirano le somme, si esprime gioia se le cose sono andate bene (“Buono ci sono andato!”) e se i “sacrifici” sono stati ricompensati (“Me li sono scuttati sti soldi!”, cioè “me li sono sudati e guadagnati”).
Se il successo invece è solo parziale, ci si accontenta di quello che si è ottenuto: “Tutto buono e benedetto”. E se ci si è rivolti alla persona sbagliata, occorre per il futuro depennarla: “A quel cretino me lo devo scotolare”, “Con Salvatore spattai”.
Non si può negare, infine, che dia fastidio chi gode di una disavventura altrui: di costui si dice che nei mali degli altri “ci abbagna il panuzzo” (ci inzuppa il pane, insomma, godendosi pienamente l’indebita soddisfazione).
Una delle massime gioie è quella di evitare una seccatura, di liberarsi da un’incombenza fastidiosa: il verbo che esprime questa sensazione inebriante è “scapolarsela”: è bellissimo poter proclamare “me la sono scapolata”, nel senso di “l’ho fatta franca / ho evitato una scocciatura”.

Siamo alla fine, per oggi; utilizzo quindi, al momento di congedarmi, la tipica formula con cui si chiede autorizzazione ad andar via: “Con permesso!”. Voi dovrete rispondere, immancabilmente, con un semplice avverbio: “Liberamente”. 

MARIO PINTACUDA


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