FAVORI, PROMESSE E SODDISFAZIONI NELL’ ITALIANO REGIONALE DI SICILIA
Mario Pintacuda
Il
siciliano in genere si mostra ossequioso, gentile, disponibile;
preferibilmente, si intende, con chi gli può garantire favori e
adeguato contraccambio.
Se
a qualcuno manca qualcosa, c’è sempre chi promette di procurarla:
“Ti manca questo permesso? Te lo faccio capitare io”,
“Tranquillo, sta cosa te la faccio a tappo!” (cioè
“immediatamente”).
L’importante,
ovviamente, è conoscere qualcuno, magari da lungo tempo: “Il
figlio del dottore Madonia? Io ha che lo conosco…”, “Il signor
Palazzolo mi sa nascere!”, “Il ragioniere Incardona è persona
mia”.
Spesso
è utile esaltare in modo mellifluo i meriti dei propri interlocutori
(“Lo so le persone che siete”), evitando però gli eccessivi
tratti adulatori, gli “spinnicchi” (se no potrebbero risponderti
“È inutile che mi allisci”).
Bisogna
scegliere i tempi opportuni, per parlare (“Ora gli esco il
discorso”) o per recarsi da qualche parte (“Domani, a che vado a
Palermo, ti faccio questo favore”).
Certi
favori, in effetti, sono fatti volentieri (“Te lo faccio a bello
cuore”), sia pure ad un certo prezzo (“A quello ci dobbiamo
bagnare le mani”, cioè allargare i cordoni della borsa e
pagarlo…).
In
ogni caso è grande soddisfazione poter sbandierare a tutti la
propria “importanza” sociale: “Amici a mai finire ne ho” o
anche “Amici ne ho a tinchitè”. Ed è bellissimo poter
proclamare la propria contentezza (“Mi, che sono contento!) o
mostrare appagamento quando il “nemico” viene a patti e, almeno
apparentemente, si mostra gentile (“Me l’ha fatta, la
parte”).
Certo,
a volte è difficile domandare qualcosa, non fosse altro per
orgoglio: “Mi viene forte a chiedergli un favore...”, “Non mi
spercia” (cioè “non mi va”). Però alla fine l’aiuto viene
immancabilmente richiesto all’amico di turno, promettendogli in
cambio anzitutto la riconoscenza divina (“Il Signore te lo
paga!”).
Quando
poi si tirano le somme, si esprime gioia se le cose sono andate bene
(“Buono ci sono andato!”) e se i “sacrifici” sono stati
ricompensati (“Me li sono scuttati sti soldi!”, cioè “me li
sono sudati e guadagnati”).
Se
il successo invece è solo parziale, ci si accontenta di quello che
si è ottenuto: “Tutto buono e benedetto”. E se ci si è rivolti
alla persona sbagliata, occorre per il futuro depennarla: “A quel
cretino me lo devo scotolare”, “Con Salvatore spattai”.
Non
si può negare, infine, che dia fastidio chi gode di una disavventura
altrui: di costui si dice che nei mali degli altri “ci abbagna il
panuzzo” (ci inzuppa il pane, insomma, godendosi pienamente
l’indebita soddisfazione).
Una
delle massime gioie è quella di evitare una seccatura, di liberarsi
da un’incombenza fastidiosa: il verbo che esprime questa sensazione
inebriante è “scapolarsela”: è bellissimo poter proclamare “me
la sono scapolata”, nel senso di “l’ho fatta franca / ho
evitato una scocciatura”.
Siamo
alla fine, per oggi; utilizzo quindi, al momento di congedarmi, la
tipica formula con cui si chiede autorizzazione ad andar via: “Con
permesso!”. Voi dovrete rispondere, immancabilmente, con un
semplice avverbio: “Liberamente”.
MARIO PINTACUDA
Nessun commento:
Posta un commento