ballata del socialismo dal volto umano
nella città del nord, ogni giorno
salivo al colle di mezzo, a leggere lapidi
come lettere spedite al mittente sbagliato;
allora ti amavo, più ancora di quando
facevo la strada del fiume per venire da te,
nel palazzo sovietico dove si parlava l’umano tedesco;
in quelle due stanze custodivi le colline,
le tue, quelle dell’esilio dei poeti,
e parlavamo, nel divano sfondato, di tutto,
purché non fosse amore;
tu vantavi il bourbon che ti ricordava un’amante,
e io sorridevo, anche se non a te;
che fosse sbagliato, lo sapevamo -
non il nostro ostentare finzione,
ma l’omettere l’onesto giudizio della carne;
e mentre tu dormivi, e i palazzi sovietici
del paese del socialismo buono
iniziavano ad accendersi delle luci operaie,
io riprendevo la strada del fiume, e sorridevo;
nel pezzo di carta strappato ai bianchi giorni dell’agenda
avevo scritto che la vita è selvaggia;
mentivo, ma certo; e non mi voltavo a guardare
la finestra dove ci eravamo baciati, perché
m’avrebbe ricordato un altro palazzo,
ancora più a nord, più ad est, e avrei pianto:
non per l’amore passato, ma per me avrei pianto,
per quell’unico tempo nel quale
nessuno notava le mie unghie spezzate
nel paese del socialismo che all’umano volto borghese
preferiva trafficanti, e bestemmiatori di sogni,
nella piazza, grande, dei fantasmi.
Francesca Tuscano
Nessun commento:
Posta un commento