10 luglio 2014

CHI PREPARA COLPI DI STATO?





Cinquant’anni fa, il 14 luglio, il "tintinnio di sciabole" del “Piano solo”. La minaccia di golpe bloccò la politica riformista del centrosinistra. Detto per inciso il progetto golpista, redatto con la supervisione americana e NATO, prevedeva procedure operative identiche a quelle che in Grecia due anni più tardi portarono al potere i colonnelli.

Antonio Bevere

Piano Solo, quando il centrosinistra allarmava la destra


Un serio gior­na­li­sta ha defi­nito «nebu­losa vicenda», con par­ti­co­lari avvolti «nel buio», un epi­so­dio (il Piano Solo del 1964), che in una recente ras­se­gna “sto­rica” (M.Teodori– M.Bordin, “Com­plotto. Come i poli­tici ci ingan­nano”, ed Mar­si­lio) è stato col­lo­cato al primo posto in una serie di imma­gi­nari colpi di Stato, la cui enfa­tiz­za­zione, secondo gli autori, ha fatto comodo a gior­na­li­sti avidi di scoop e a poli­tici spre­giu­di­cati pronti a usare il pre­te­sto dello scon­tro nelle piazze e nelle isti­tu­zioni per man­te­nere l’immobilismo.

Vit­time del bluff, nel luglio del 1964, sono stati i socia­li­sti di Pie­tro Nenni che vole­vano dar vita a un cen­tro­si­ni­stra più rifor­ma­tore, gui­dato da Aldo Moro.

Que­sto “com­plotto al Qui­ri­nale” non dovette essere tanto imma­gi­na­rio, posto che la sua atti­va­zione pre­ve­deva una spe­cie di rastrel­la­mento di diri­genti poli­tici da tra­sfe­rire for­zo­sa­mente in Sar­de­gna, e che si trat­tava di «una mano­vra agi­tata dai mag­gio­renti demo­cri­stiani con­ser­va­tori, stretti intorno al pre­si­dente Segni, per inti­mi­dire i set­tori rifor­ma­tori del Psi e della DC e costrin­gerli ad accet­tare una piat­ta­forma di governo moderata».

Tanta leg­ge­rezza ed iro­nia lasciano un po’ per­plessi, per­ché su que­sto evento sono stati svolti accer­ta­menti in sede ammi­ni­stra­tiva (com­mis­sione pre­sie­duta dal gene­rale Lom­bardi), in sede par­la­men­tare (com­mis­sione par­la­men­tare pre­sie­duta dal gene­rale Alessi; com­mis­sione d’inchiesta sul ter­ro­ri­smo pre­sie­duta dall’on.Pellegrino) e in sede giu­di­zia­ria (sen­tenze del tri­bu­nale di Roma 12.5.1970 e 26.2.2001, emesse in tema di pre­tesa lesione della repu­ta­zione del gene­rale De Lorenzo), non­ché su con­vin­centi osser­va­zioni di sto­rio­grafi ( Elena Cava­lieri, Mimmo Franzinelli).



Secondo que­sti accer­ta­menti, nei primi sette mesi del 1964, a seguito di con­tatti, pro­mossi dal coman­dante gene­rale dei cara­bi­nieri, Gio­vanni De Lorenzo, venne esa­mi­nato dai ver­tici dell’Arma un piano pre­di­spo­sto per l’ordine pub­blico, in cui erano pre­vi­sti inter­venti di occu­pa­zione di luo­ghi, edi­fici, impianti di comu­ni­ca­zione di natura e fun­zione pub­bli­che, con­giun­ta­mente a inter­venti pri­va­tivi della libertà di 731 cit­ta­dini, tra cui anche par­la­men­tari, indi­cati in elen­chi (par­zial­mente scom­parsi) alle­gati al piano, con cri­te­rio pre­va­lente dell’appartenenza ad asso­cia­zioni di sini­stra; que­ste per­sone erano desti­nate ad essere rac­colte in 8–10 porti ed aero­porti e ad essere inviate, con navi e con aerei mili­tari dello Stato, in una loca­lità della Sardegna.

De Lorenzo non ha accet­tato, nel corso dell’interrogatorio dinanzi alla com­mis­sione Lom­bardi, il ruolo di pro­ta­go­ni­sta di un’antistorica dit­ta­tura mili­tare: con­te­sta­to­gli che nel bino­mio con il pre­si­dente della Repub­blica «eri il brac­cio forte di Segni, che era la mente di que­sta fac­cenda. Ad un bel momento Segni lo hanno messo com­ple­ta­mente fuori…l’hanno sca­gio­nato com­ple­ta­mente», il gene­rale risponde: «Ma …si è par­lato che l’andare addosso a Segni gli irri­tava l’opinione pubblica…il fatto che abbiano aggre­dito me ha sal­vato i demo­cri­stiani e ha fatto cadere l’azione social-comunista….Poi le cose si sono acco­mo­date per­ché si sono messi d’accordo con i socia­li­sti ….hanno ceduto, Nenni ha pre­fe­rito rima­nere sul posto e tutto è andato a posto».

Que­sta ver­sione ha rice­vuto una con­ferma di estrema chia­rezza da Aldo Moro, capo del primo governo di cen­tro sini­stra dimis­sio­na­rio e desi­gnato a pre­sie­dere il suc­ces­sivo. Nel suo memo­riale, scritto durante il disu­mano seque­stro delle Bri­gate Rosse: «Il ten­ta­tivo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le carat­te­ri­sti­che esterne di un inter­vento mili­tare, secondo una pia­ni­fi­ca­zione pro­pria dell’arma dei cara­bi­nieri, infine per uti­liz­zare que­sta stru­men­ta­zione mili­tare essen­zial­mente per por­tare a ter­mine una pesante inter­fe­renza poli­tica rivolta a bloc­care o almeno a for­te­mente dimen­sio­nare la poli­tica del cen­tro sini­stra, ai primi momenti del suo svol­gi­mento.

Que­sto obiet­tivo poli­tico era per­se­guito dal pre­si­dente della Repub­blica on.Segni, che que­sta poli­tica aveva timi­da­mente accet­tato in con­nes­sione con l’obiettivo della Pre­si­denza della Repub­blica. Ma a que­sta poli­tica era con­tra­rio ….men­tre si svi­lup­pava l’azione dei gruppi di azione agra­ria, ostili alla poli­tica del cen­tro sini­stra e di ogni poli­tica demo­cra­tica …… Il piano, su dispo­si­zione del capo dello Stato, fu messo a punto nelle sue parti ope­ra­tive (luo­ghi e modi di con­cen­tra­mento in caso di emer­genza ) che ave­vano pre­mi­nente rife­ri­mento alla sini­stra, secondo lo spi­rito dei tempi».



Il mini­stro dell’interno, Paolo Emi­lio Taviani — con­fer­mato il ruolo trai­nante del capo dello Stato che «non era solo né iso­lato nelle sue pre­oc­cu­pa­zioni» — ha elen­cato i nomi di alte cari­che dello Stato che con­di­vi­de­vano le sue posi­zioni (nomi che sono ripor­tati da Elena Cava­lieri in I piani di liqui­da­zione del centro-sinistra nel 1964) con­clu­dendo che «Accanto e attorno ai nomi citati, era un cospi­cuo mondo poli­tico tra­sver­sale non legato a inte­ressi né da sigle asso­cia­tive. Erano par­la­men­tari, alti fun­zio­nari, magi­strati, alti uffi­ciali che vede­vano un grave peri­colo nella nostra aper­tura a sini­stra, ini­ziata negli anni Ses­santa. Era un movi­mento di opi­nione con­tro il cen­tro sini­stra, di gente in parte in buona fede, in parte inte­res­sata a man­te­nere lo sta­tus quo sul piano sociale».

Il ruolo svolto dal pre­si­dente del Senato nell’anomala oppo­si­zione al pro­gramma di centro-sinistra (incen­trato sulla demo­cra­tiz­za­zione del potere eco­no­mico, attra­verso gli organi della pia­ni­fi­ca­zione) è ben descritto da Fran­zi­nelli: «Nel feb­braio 1964, Mer­za­gora lo aggiorna sul son­dag­gio da lui effet­tuato nella finanza lom­barda, dove si accu­sano i socia­li­sti di deter­mi­nare un’atmo­sfera di minac­cia agli inte­ressi impren­di­to­riali …Da tempo il pre­si­dente del Senato ela­bora pro­po­ste in sin­to­nia con gli inte­ressi degli indu­striali e con­tra­rie alla linea rap­pre­sen­tata dai socia­li­sti nell’esecutivo. Il mini­stro del bilan­cio Anto­nio Gio­litti è con­si­de­rato l’emblema della sovie­tiz­za­zione». Su que­sta santa alleanza si è sof­fer­mato anche S.Mura in Aldo Moro, Anto­nio Segni e il centro-sinistra.

In campo penale non è stato fatto alcun diretto passo inve­sti­ga­tivo su que­sti fatti, anche se di mate­riale di inda­gine ce ne era in abbon­danza. In sede di ana­lisi sto­rica, non ci si può limi­tare a iro­niz­zare e a par­lare di fan­ta­sie e di aventi nebu­losi. Da que­sta pro­gram­mata oppo­si­zione extrai­sti­tu­zio­nale sono usciti scon­fitti non solo Ric­cardo Lom­bardi e Anto­nio Gio­litti, fau­tori di ingresso real­mente rifor­ma­tore dei socia­li­sti nella stanza dei bot­toni, ma tutti i cit­ta­dini, rima­sti fedeli ai valori della nostra demo­cra­zia.

Da que­gli anni si sono veri­fi­cati sostan­ziali muta­menti nella gestione del potere poli­tico la classe impren­di­to­riale si è fatta diretta pro­ta­go­ni­sta e inter­viene diret­ta­mente nella modi­fica degli assetti legi­sla­tivi, con par­ti­co­lare riguardo alla dere­go­la­men­ta­zione del mondo del lavoro, assog­get­tato alla pre­ca­rietà, come modello delle rela­zioni con­trat­tuali, e alla pri­va­tiz­za­zione di ser­vizi e beni natu­ral­mente pubblici.

La minac­cia mili­tare del Piano Solo e i suc­ces­sivi errori del Psi hanno quindi bloc­cato il ten­ta­tivo di rea­liz­zare la poli­tica eco­no­mica voluta da Gio­litti, secondo cui, nelle grandi scelte, il potere di deci­sione non può non essere eser­ci­tato «dalle isti­tu­zioni demo­cra­ti­che respon­sa­bili davanti alla col­let­ti­vità e l’intervento pub­blico e l’iniziativa pri­vata ven­gono coor­di­nati e indi­riz­zati in fun­zione degli obiet­tivi fis­sati da quelle deci­sioni». 

Il centro-sinistra del 1964 si è dis­solto, lasciando inso­luto il pro­blema della demo­cra­zia eco­no­mica in Ita­lia, cioè la neces­sità di tra­sfe­rire alle isti­tu­zioni pub­bli­che (con­fi­nate in acri­tico assi­sten­zia­li­smo finan­zia­rio e nor­ma­tivo) il potere di inci­dere sulle scelte eco­no­mi­che di fondo.

Il pros­simo 14 luglio ricorre il cin­quan­te­na­rio del “tin­tin­nio di scia­bole” che tanto turbò Nenni e Moro: è pro­prio insu­pe­ra­bile il discreto silen­zio dei tanti tutori degli annali della nostra democrazia?


il manifesto - 10 Luglio 2014 



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