03 luglio 2014

IL TRASFORMISMO ITALIANO

Una caricatura del primo ministro  Depretis della seconda metà del XIX secolo ( ma somiglia tanto all' Eugenio Scalfari dei nostri giorni!)


L’ETERNO TRASFORMISMO ITALIANO (Massimo L. Salvadori)



Per un membro delle Camere essere accusato di trasformismo equivale ad una condanna oltre che politica anche morale. Il trasformista è un voltagabbana, un inquinatore della moralità pubblica e privata, un portatore di germi. Nella nostra storia politica e culturale, a bollare il trasformismo come una malattia che corrode le fibre del paese, è stata una folta schiera di autorevoli scrittori. Valgano per tutti i nomi di Salvemini, Dorso, Gobetti, a cui è da aggiungere quello di Denis Mack Smith, che nella sua Storia d’Italia ha letto pressoché interamente la politica italiana dal Risorgimento in poi alla luce della mala pianta del trasformismo ovvero della tendenza di gruppi e di singoli a cambiare casacca abbandonando la sponda dell’opposizione per passare a quella del governo.
Nel caso migliore il trasformista è uno che cambia opinione e intende concorrere ad una linea ritenuta più idonea; nel peggiore un opportunista che si aspetta di essere ripagato ottenendo vantaggi personali in termini di influenza e potere; nel più deteriore una persona che si fa comprare in cambio di moneta sonante. Sugli ultimi due casi che attengono a forme di corruzione pura e semplice, ancorché diverse tra loro e nonostante la loro importanza, non intendo soffermarmi. Non c’è molto da dire. Conviene invece riflettere sul primo di essi, che, per distinguerlo dalle altre forme, possiamo definire “politico”.
Questo ha avuto le sue radici nel “connubio” di cui fu artefice Cavour nel 1852, quando — per mettere ai margini nel Parlamento subalpino da un lato la destra reazionaria e clericale, dall’altro la sinistra democratica e repubblicana — invitò le forze a convergere sul centro di cui era il leader. Ma a fare entrare nel lessico politico il termine “trasformismo” fu Depretis, (foto in alto) che, capo del governo dal 1876, nel famoso discorso tenuto a Stradella nel 1882 sostenne che la distinzione tra la Destra e la Sinistra del partito liberale aveva perso di significato e pertanto invitò in particolare i membri della prima a raggiungere i banchi della seconda trasformandosi in progressisti. Da allora in avanti, l’Italia ha assistito ad un susseguirsi di ondate di trasformismo.
Il fenomeno è andato manifestandosi tanto nei lunghi periodi di monopolio o oligopolio di potere esercitato da un partito o da un’alleanza di partiti in assenza della possibilità di alternative di governo, vale a dire nei sistemi politici bloccati, quanto durante le fasi di riassestamento provocate dalla caduta o dalla forte erosione di un sistema precedentemente consolidato. Il trasformismo politico si afferma (intrecciandosi all’opportunismo personale, ma non sempre) in due situazioni: allorché individui e gruppi già di opposizione, sentendosi privati di prospettive raggiungono i luoghi del potere (ad esempio, Crispi e i suoi da democratici mazziniani diventarono zelanti monarchici conservatori; Nenni e i suoi da alleati dei comunisti passarono all’alleanza con i democristiani); oppure quando, in presenza di un intero sistema che frana, vecchi partiti e raggruppamenti fattisi obsoleti e svuotatisi si ricollocano intorno ad un nuovo centro aggregatore (liberali, popolari e altri ancora raggiunsero il carro di Mussolini nella fase conclusiva del primo dopoguerra; ex democristiani, ex socialisti craxiani, ex liberali, ex repubblicani, neofascisti e leghisti nel crollo della Prima repubblica aderirono al rassemblement di cui si fece artefice Berlusconi). Alla luce di queste considerazioni, si può comprendere come il trasformismo costituisca una costante assai significativa della storia d’Italia, che, per quanto la si carichi di connotazioni negative, ne rispecchia comunque caratteristiche ad essa organiche.
Oggi ci troviamo ancora una volta in una crisi di sistema, che, solo in parte alle nostre spalle, ha determinato e determina nuovi rapporti di forza e nuovi equilibri; e in questo contesto si è tornati e si torna a parlare di trasformismo. Dopo che è stato mutilato il partito di Berlusconi con il sorgere del Nuovo centro destra entrato al governo, e si è disfatta Scelta civica, ora va scindendosi Sinistra e libertà. Dal canto suo anche Grillo ha i suoi trasformisti. La clamorosa vittoria di Renzi alle elezioni europee ha accelerato la spinta ai mutamenti di posizione, come mostrato dai vari esponenti di Sc e Sel che vanno orientandosi verso il Pd direttamente o in ogni caso la sua area parlamentare. E, come sempre, si levano grida di indignazione.
Fatto è che la sostanza che muove chi “si trasforma” rimane quella: il maturare e l’affermarsi di nuovi equilibri. Patologia o fisiologia della nostra politica? Non basta il moralismo a dare la risposta: a fare venire meno il trasformismo può essere unicamente un mutamento qualitativo delle basi stesse dei processi politici e dei meccanismi istituzionali.  
Massimo L. Salvadori

Da Repubblica del 3 luglio 2014

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