09 luglio 2014

KING GEORGE HA DETTO STOP...




" Del bicameralismo si è discusso abbastanza." Con una mossa mai vista, Napolitano interviene sui lavori del senato. In aiuto al premier e sostituendosi al presidente del senato che era stato chiamato in causa.
 Tirannide o consolato? Comunque, dai principi della democrazia liberal-borghese (fra poco è il 14 luglio) e dalla Costituzione repubblicana del 1948, siamo già fuori.

Riforme, Big George ha detto stop




Otto sedute per votare otto emen­da­menti, tutti dei rela­tori e solo sugli aspetti secon­dari della riforma costi­tu­zio­nale. È il lavoro svolto dalla prima com­mis­sione del senato nelle ultime due set­ti­mane. Restano da defi­nire la fun­zione e la com­po­si­zione delle camere e manca ancora l’intero capi­tolo del regio­na­li­smo, il famoso Titolo V. Biso­gna votare altri dodici emen­da­menti dei rela­tori su tutti gli aspetti cen­trali della riforma (come si scel­gono i sena­tori? di cosa si devono occu­pare?) e ci sono un numero enorme di pro­po­ste alter­na­tive della mag­gio­ranza «allar­gata» e della mino­ranza. Ebbene, per rispet­tare la tabella di mar­cia, tutto que­sto lavoro biso­gnerà farlo in due o tre giorni. E se fino a ieri a det­tare i tempi del senato era il capo del governo, adesso è diret­ta­mente il capo dello stato.
Una mossa mai vista da parte del pre­si­dente Napo­li­tano, che ieri ha deciso di inter­ve­nire in prima per­sona nel dibat­tito, acce­sis­simo in que­ste ore, tra soste­ni­tori e cri­tici della riforma costi­tu­zio­nale gover­na­tiva. Basta, ha detto, si è discusso abbastanza.

Che si debba cor­rere lo sostiene Renzi, eppure il pre­si­dente della Repub­blica assi­cura di par­lare «senza pro­nun­ciarsi sui ter­mini delle scelte in discus­sione». Ma i ter­mini, adesso, sono pro­prio que­sti: biso­gna neces­sa­ria­mente chiu­dere al senato entro la pausa estiva, o c’è il tempo di cor­reg­gere l’esecutivo? Non c’è tempo, dice il Qui­ri­nale. Secondo il Colle biso­gna evi­tare «ulte­riori spo­sta­menti in avanti dei tempi di un con­fronto che non può sci­vo­lare, come troppe volte è già acca­duto, nell’inconcludenza».

A Napo­li­tano si erano rivolti in molti in que­sti giorni. Ma per la ragione oppo­sta: invi­ta­vano il pre­si­dente, garante di tutti, a tute­lare la sepa­ra­zione di ruoli tra il par­la­mento e l’esecutivo, spe­cie in mate­ria di leggi di revi­sione costi­tu­zio­nale. La legge in discus­sione, in par­ti­co­lare, è stata scritta diret­ta­mente dal pre­si­dente del Con­si­glio. Gli emen­da­menti accolti sono stati tutti discussi a palazzo Chigi. E i tempi della discus­sione sono quelli che vuole il capo del governo, che da marzo sta andando avanti di ulti­ma­tum in ulti­ma­tum. Tant’è che un gruppo di sena­tori, i cosid­detti «dis­si­denti» di tutti i par­titi, era pronto a chie­dere al pre­si­dente del senato di espri­mersi, e di asse­gnare alla com­mis­sione e all’aula un con­gruo tempo di appro­fon­di­mento. Chie­de­vano alla seconda carica dello stato, Grasso, di fre­nare la corsa di Renzi. È stato pro­prio in que­sto momento che ha deciso di inter­ve­nire la prima carica, Napo­li­tano. Per accelerare.

La nota del Colle sposa in tutto l’impostazione ren­ziana, e abbonda di rife­ri­menti per dimo­strare che ormai del bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio e «delle sue rica­dute nega­tive sul pro­cesso di for­ma­zione delle leggi» si è discusso abba­stanza. Il pre­si­dente dice che c’è stata «un’ampia aper­tura di dibat­tito» e che si è «pro­lun­gata note­vol­mente rispetto agli annunci ini­ziali», cioè la pro­messa di Renzi di chiu­dere al senato in un mese, entro lo scorso 25 mag­gio. Non solo: il capo dello stato si spinge a valu­tare la quan­tità di audi­zioni che sono state svolte in com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali al senato — «lar­ghe audi­zioni» — e non tra­scura un giu­di­zio sul numero di cor­re­zioni sug­ge­rite dai rela­tori al testo del governo (con l’ok del governo) — «ricca messe di emendamenti».

La cro­naca par­la­men­tare del Colle spa­lanca al dise­gno di legge Renzi-Boschi le porte dell’aula del senato. Che ha biso­gno di acco­gliere la «grande riforma» ren­ziana tra la fine di que­sta set­ti­mana e l’inizio della pros­sima, al mas­simo. È que­sta la con­di­zione indi­spen­sa­bile per pro­vare a man­dare gli ita­liani, e i par­la­men­tari, in vacanza con un primo pas­sag­gio com­piuto sulle riforme costi­tu­zio­nali. È la prima emer­genza nazio­nale? Non pare, ma a Renzi importa così e il par­la­mento, sezione distac­cata di palazzo Chigi, deve ade­guarsi. Ieri sera c’è stata l’ennesima riu­nione dei sena­tori del Pd, anche que­sta dedi­cata non a discu­tere l’impostazione gover­na­tiva ma a richia­mare all’ordine i dis­si­denti. Tant’è che Renzi non si è nean­che pre­sen­tato: non c’era nulla da spie­gare. Nes­suna rispo­sta nean­che sulle que­stioni rima­ste senza solu­zione, quelle che anche i ren­ziani ammet­tono che andranno registrate.

Così è ancora pre­vi­sto che il pre­si­dente della Repub­blica sia eleg­gi­bile da un solo par­tito, che i depu­tati non dimi­nui­scano di un’unità (vani­fi­cando il decan­tato «rispar­mio» sul senato), che un sin­daco o un con­si­gliere regio­nale nei guai con la giu­sti­zia pos­sano tro­vare riparo nell’immunità sena­to­riale… Si cor­reg­gerà? E come? Solo a chie­derlo si fini­sce tra i fre­na­tor. La fretta è per­sino mag­giore di quella che guidò alla camera l’approvazione della legge elet­to­rale, quella che adesso tutti vogliono cam­biare. O in altre legi­sla­ture ispirò le riforme costi­tu­zio­nali dell’articolo 81 e di tutto il Titolo V, due fal­li­menti riconosciuti.

Da ieri sera il «patto del Naza­reno» tra Renzi e Ber­lu­sconi è più forte. La guar­dia di Napo­li­tano inde­bo­li­sce i sena­tori cri­tici e lascia poco spa­zio ai ten­ta­tivi di cor­re­zione della riforma. Sono oltre qua­ranta gli arti­coli della Costi­tu­zione da modi­fi­care e l’importante, dice Napo­li­tano, è farlo. Se c’è un argo­mento che il pre­si­dente della Repub­blica dimen­tica, ecco a ricor­darlo il capo­gruppo Pd Zanda: è urgente tra­sfor­mare sin­daci e con­si­glieri regio­nali in sena­tori per­ché «ce lo chiede l’Europa».
 
  Il manifesto, 8 luglio 2014
 
 




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