Questa mattina sono felice di pubblicare due brevi pezzi di due carissimi amici.
Il primo è il racconto di Raul Molina Sanchez, un giovane docente di lingua spagnola, appena tornato da Istanbul dove ha insegnato per alcuni anni la sua bella lingua.
La nota successiva è opera di Nicolò Messina, fraterno amico conosciuto nel 1975 al Borgo di Danilo Dolci. Da allora, malgrado il suo peregrinare per il mondo, non ci siamo mai persi di vista e ogni anno ci ritroviamo insieme nel suo paese natale: Marsala.
Nicolò è diventato anche un collaboratore di questo blog e devo a lui la traduzione del racconto di Raul.
f.v.
Il bagaglio
Raúl
Molina Sánchez
Questa è una storia triste, o
dovrebbe esserlo, perché di un commiato si tratta. Il ritorno a casa, mille
volte desiderato e altrettante rimandato, sembra ora imporsi irrimediabilmente.
In realtà, è una ritirata e, come tutte le ritirate, spennellata di
frustrazione e fallimento. Il loro olezzo esala dal fondo. Invano li riveste un
imprescindibile ottimismo. Qualche paesaggio, qualche insegnamento, due o tre
anime, costituiscono questo rivestimento dolciastro: le frustrazioni e i
fallimenti sono banali, correnti, e perciò non è necessario dissezionarli.
Le scatole sono già chiuse
e, mentre l’ultima valigia si va riempendo, uno si chiede che cosa farsene, di
tutte quelle risate e canzoni che tu hai lasciato su per i muri. Sarà meglio
lasciarle lì, perché ce le ritrovi il prossimo inquilino e senta così quel
benessere inspiegabile che certe case emanano sin dal primo momento. Sarà
meglio riserbare gli ultimi buchi vuoti della valigia per la miseria di Van[1],
le storie inumane di Soma[2], le aspirazioni di libertà di quei
giovani il cui valore ridicolizza, per contrasto, questo mio essere codardo.
Sarà meglio, una volta
messici, togliere un paio di pullover e quei miei sciocchi occhiali da sole, e al
loro posto far largo alla vitalità di quella donna calpestata che, pur
tuttavia, si alza cantando e si corica ballando, con un sorriso che però non ci
azzecca a celare la frustrazione, né il fallimento.
Sarà meglio portarsi via
tutto questo e tirarlo fuori subito, non appena arrivati a casa, e indossarlo
immediatamente, prima che la nuova stagione di Zara la spunti a farti
accantonare questo bagaglio così prezioso, così fragile, così effimero.
Istanbul, 15 giugno 2014
[1] La città di Van, sita nella Turchia orientale, fu scossa
nel 2011 da un terremoto di 7,2 gradi Richter. Alcuni dei sinistrati vivono
ancora in pessime condizioni.
[2] L’incidente nella miniera di Soma del 2014 evidenziò il
trattamento subumano cui erano sottomessi i lavoratori.
Fuente:
Raúl Molina Sánchez è docente di
Ispanistica all’Università del Bosforo di Istanbul (Boğaziçi Üniversitesi). Amministra
il blog Dando un tumbo y otro tumbo… (A sbalzi e capitomboli), da cui è
stata tratta - e dove si può leggere in originale - questa narrazione breve. Tempo
addietro il blog del CESIM ne ha ospitata un’altra: La battaglia contro il
sonno.
Non sarà difficile immaginare per
queste righe sentite e leggiadre un sottotitolo ammiccante: Istanbul mon amour. Non è soltanto un
rifare il verso al famoso titolo di Alain Resnais / Marguerite Duras: Hiroshima mon amour (1959). In ogni
commiato, difatti, è sempre insita una dichiarazione d’amore più o meno
inespressa. Parliamo di commiati da posti in cui – nei nostri stessi paesi o in
giro per il mondo – ci è capitato di studiare, lavorare, vivere. Non certo da
turisti. E capitato stavolta per scelta, non per la casualità dell’appartenenza
a un posto, a una cultura, dovuta solo alla mera nascita (chi ha mai potuto
scegliere dove nascere?).
Un benvenuto all’amico Raúl tra
gli zingari della gran diaspora contemporanea, in cui i commiati sono tali solo
in apparenza, si incatenano uno dietro l’altro, e non sono che continui ritorni
a itache irraggiungibili. Così – almeno per me –da quasi quarant’anni. Che i
suoi, nostri occhi moltiplicati possano servire al dialogo tra culture che è la
sola arma inerme in grado di sconfiggere conflitti sanguinosi, incancreniti, e i
fin troppi pregiudizi tanto escludenti, scoraggianti, pericolosi, quanto insulsi
e inventati di sana pianta. Perché continuare ad arroccarcisi?
[Nicolò Messina]
Nessun commento:
Posta un commento