Riprendiamo e completiamo il racconto de “La guerra non era finita”. Il dopoguerra e il movimento partigiano.
Giorgio Amico
Le altre Gladio. La
lotta segreta anticomunista in Italia
Ma davvero i partigiani
erano divenuti il “nuovo nemico” solo alla fine degli anni
Quaranta? Un libro di Giacomo Pacini, ricercatore presso l'ISGREC
(Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età
contemporanea), sull'analisi di una enorme mole di documenti finora
riservati retrodata al 1945 la costituzione con il sostegno delle
autorità angloamericane di strutture segrete paramilitari in
funzione anticomunista. (Giacomo Pacini, Le altre Gladio, Einaudi
2014, 31 euro).
In particolare Pacini
analizza la costituzione di “Un ufficio per la Venezia Giulia”
destinato a costituire e gestire con il supporto dell'Esercito e
dell'Arma dei Carabinieri, squadre armate e strutture paramilitari
segrete in funzione anti-jugoslava. Un'operazione che si protrae fino
al 1956, quando nasce ad opera del SIFAR diretto dal generale De
Lorenzo la struttura segreta anticomunista poi conosciuta come
Gladio.
Un'operazione
segretissima, accuratamente celata ai rappresentanti della sinistra
non solo in Parlamento, ma anche nei governi di unità nazionale
antifascista in carica fino alla rottura del 1947. Una struttura
inizialmente costituita da partigiani “bianchi” della brigata
“Osoppo” di ispirazione cattolica e liberale, ma che ben presto
vede l'inserimento (anche a livello di comando) di elementi
monarchici e neofascisti. Questi ultimi in larga parte
ex-repubblichini facenti capo ad una associazione triestina, il
Circolo Cavana, che Pacini definisce “una vera e propria
organizzazione estremista finanziata dalla Presidenza del Consiglio
con fondi riservati, gran parte dei quali stanziati su decisione
dell'allora sottosegretario Giulio Andreotti”.
Un'analisi, quella di
Pacini, di grande interesse soprattutto per gli squarci di luce che
getta su una strategia politico-militare eversiva e destabilizzante
gestita dai servizi segreti sotto l'egida della CIA fin dal 1945 e
proseguita poi ( nei momenti in cui più forte era la crescita del
movimento democratico e popolare) negli anni Sessanta (il Piano Solo
e il tentativo di golpe di De Lorenzo) e per tutti gli anni Settanta
con il terrore stragista e golpista (Piazza Fontana, Piazza della
Loggia, Rosa dei venti, Golpe Borghese, ecc) di cui anche le bombe
savonesi del 1974-75 sono un tassello.
“Se il Friuli Venezia
Giulia – scrive Pacini – fu il principale laboratorio nel quale
vennero sperimentate e portate a compimento le più importanti entità
prodromiche a Gladio, nel corso degli anni Quaranta anche in altre
zone dell'Italia settentrionale numerosi partigiani cattolici e
liberali, una volta conclusasi la lotta contro il nazifascismo,
rimasero in armi ed entrarono a far parte di strutture segrete create
in funzione anti-comunista.”
Di assoluto rilievo
soprattutto in Lombardia (ma con addentellati anche in Piemonte e
Liguria) fu il ruolo giocato da un'organizzazione denominata
Movimento Avanguardista Cattolico Italiano (MACI), originariamente
creato nel 1919, poi scioltosi in epoca fascista, e ricostituito nel
novembre del 1945 per iniziativa del cardinale Schuster.
Ufficialmente si trattava
di un'organizzazione ecclesiale impegnata nella difesa dei valori
cristiani, attività che in realtà copriva una articolata azione
sotterranea tramite una struttura militare e depositi d'armi.
Insomma, conclude Pacini, “un organismo segreto direttamente
riconducibile alla Democrazia Cristiana e alle massime gerarchie
ecclesiastiche”.
Inutile dire che il 25
aprile anche a sinistra furono in pochi a consegnare le armi, almeno
quelle più moderne ed efficienti. Troppo fresco era il ricordo della
guerra. Soprattutto pesava l'esperienza greca dove con l'avallo
inglese una destra reazionaria e autoritaria aveva smantellato le
conquiste della Resistenza scatenando una guerra civile destinata a
durare fino agli inizi degli anni Cinquanta.
Nelle città dove la
guerriglia era stata più feroce e più pesante il tributo di sangue
la fine delle ostilità non fa cessare le violenze. Regolamenti di
conti, vendette, liquidazione di spie o di ex-repubblichini
distintisi per brutalità e ferocia durano a lungo. E il caso della
“pistola silenziosa” a Savona o della ben più conosciuta Volante
Rossa di Milano. Episodi, come scrive Lowe, dovuti ad azioni
individuali o di piccoli gruppi, ma non per questo impolitici. Una
ricerca, da pochi mesi approdata nelle librerie (Francesco Trento, La
guerra non era finita, Laterza 2014, 18 euro) ne ricostruisce in modo
storicamente accurato le vicende al di là delle visioni
sostanzialmente coincidenti di una destra che usa questi episodi come
prova dell'azione rivoluzionaria (e criminale) del PCI e di una
ultrasinistra che soprattutto negli anni '70 li ha invece esaltati
acriticamente come prototipo (e modello) delle Brigate Rosse.
Con grande cura l'autore
ricostruisce nei primi capitoli in quello che definisce “dopoguerra
armato” il formarsi in pochi mesi di decine di formazioni armate
neofasciste, gli attentati alle sedi dei partiti di sinistra e dei
sindacati, gli assalti alle manifestazioni operaie, gli assassini di
militanti comunisti e di ex partigiani. Una realtà assolutamente
trascurata fino ad oggi dalla storiografia, come poco studiato è
stato il deteriorarsi delle condizioni di vita delle masse, l'ondata
di licenziamenti, la riaffermazione brutale del potere padronale con
l'espulsione sistematica dalle fabbriche degli operai più
combattivi, in larga parte giovani (spesso giovanissimi) ex
partigiani.
E in questo clima,
segnato dal sostanziale fallimento dell'epurazione e dal ritorno
arrogante e aggressivo degli ex repubblichini che spesso si vantano
pubblicamente dei delitti commessi, che si colloca la parabola della
Volante Rossa, un gruppo di giovani partigiani dell'hinterland
milanese per i quali l'intensificarsi del terrorismo e della
propaganda neofascista dimostra che la guerra non è finita, che
occorre mantenere la più ferma vigilanza provvedendo con tutti i
mezzi necessari alla difesa di esponenti, sedi e spazi politici del
movimento operaio.
Un'azione prevalentemente
difensiva, mirata a individuare e liquidare gli elementi più duri
del fascismo clandestino che diventa, come inevitabile, guerra per
bande con tutto ciò che questo comporta di violenza gratuita, azioni
impolitiche ed errori plateali.
L'attentato a Togliatti e
l'insurrezione spontanea che ne consegue, immediatamente fermata
dagli stessi dirigenti del PCI che ne valutano la mancanza di
prospettive e i possibili sbocchi reazionari, segnano la fine di
questo ribellismo endemico e l'emarginazione di chi non intende
rinunciare al sogno di una spallata definitiva al sistema.
Nel 1948 in piena guerra
fredda, con l'Europa divisa rigidamente in due blocchi, il PCI prende
definitivamente atto dell'immutabilità degli assetti di Yalta e si
attrezza per una marcia attraverso le istituzioni necessariamente di
lungo periodo. I depositi d'armi rimasti vengono in larga parte
smantellati, i militanti più compromessi (come i giovani della
Volante Rossa) vengono fatti espatriare. Praga ospiterà fino agli
anni Ottanta una nutrita colonia di rifugiati condannati in Italia
per episodi del dopoguerra ma anche della guerra partigiana.
La repressione sarà
comunque durissima, ma il Partito comunista riuscirà a limitare i
danni e soprattutto a evitare che la situazione italiana degeneri
secondo il modello greco e i progetti antidemocratici e autoritari
degli ambienti economici e politici più legati all'onnipresente
alleato americano: Confindustria, gerarchie militari, Vaticano ,
destra DC.
Come scrive Francesco
Trento nelle ultime pagine del suo bel libro, finiva così l'epoca
delle illusioni, iniziava una lunga e difficile traversata del
deserto che sarebbe durata fino al luglio '60 e al ritorno impetuoso
delle masse giovanili ed operaie sulla scena politica nazionale.
Giorgio Amico
Nessun commento:
Posta un commento