Come
scoprire che la matematica, un incubo ai tempi del liceo, può diventare
una materia affascinante.
Paolo Zellini
Quando la matematica
era la materia degli dei
I primi a porre problemi
matematici non furono uomini, ma dei. Le fonti lo comprovano con un
numero così impressionante di racconti, spiegazioni e concordanze da
sospettare che non si tratti di semplici favole, di narrazioni
ingenue o superflue. Eschilo ci dice che Prometeo è stato il padre
del numero e il primo a distinguere i segni astronomici che
scandiscono il tempo. Erano inventori del numero anche il dio egizio
Thot, alter ego del greco Ermes, nonché Palamede, allievo del
centauro Chirone ed eroe della guerra di Troia.
Sarà calunniato da
Ulisse, che gli consigliava malignamente di rivolgere le sue ricerche
alla terra anziché al cielo, e ucciso dai suoi compagni con l'accusa
ingiusta di tradimento. Pitagora, che aveva una natura tra l'umano e
il divino, apprese dagli egizi e dai babilonesi un'arte della misura
trasmessa dagli dei. Da Eutocio, commentatore di Archimede,
apprendiamo poi che Minosse, il mitico re di Creta e figlio di Zeus,
voleva raddoppiare una tomba regale della forma di un cubo. La
costruzione a Delo di un altare di forma cubica doppio di quello
esistente sarebbe stata prescritta dall'oracolo di Apollo.
Nell'India del I
millennio a. C. troviamo problemi sorprendentemente simili a quelli
greci, ma meglio collegati, questa volta, a un sistema di
prescrizioni rituali e di libri sapienziali ispirati dagli dei. In
quei libri si parla dell'origine del mondo, del modo in cui
l'universo cominciò ad assumere una forma intelligibile e di come,
con esso, iniziarono a configurarsi il nostro pensiero e la nostra
coscienza. Occorre solo cautela nell'interpretare il rito come una
pura messa in scena del mito cosmogonico. Per un verso esso era pura
sintassi, una rigorosa esecuzione formale di azioni e recitazioni
virtualmente in grado di mettere in comunicazione con le potenze
celesti. Il rigore e l'esattezza ( satyam) erano d'obbligo, gli
errori inammissibili. «L'esatto per eccellenza era il rito»,
avrebbe notato Louis Renou. Non stupisce dunque che alla matematica,
nel rito, spettasse una parte importante.
I diversi "trattati
della corda", gli Sulvasûtra, a partire dal VI secolo a. C.,
insegnano nel modo più scrupoloso e laconico come costruire altari
di mattoni dalle complesse forme geometriche e come ingrandirli, in
scala, fino a oltre cento volte. Ma perché gli altari vedici, come
quello di Apollo a Delo, dovevano poter essere ingranditi? In testi
più antichi in cui sono esposte verità rivelate, come gli
Satapathabrâhmana , si racconta come Prajâpati, il grande demiurgo,
giacesse esausto e smembrato dopo la creazione dell'universo.
La creazione era un
immane sacrificio che l'azione rituale ( karman) doveva rinnovare
ogni volta. Agni, l'altare del fuoco, era allora l'altro nome dello
stesso dio Prajâpati una volta ricomposto, restaurato e in
condizioni di «crescere per via di giunture e legamenti». C'erano
altari di forma quadrata o circolare, e l'area doveva essere la
stessa: di qui la difficile costruzione di un cerchio equivalente a
un quadrato assegnato e poi, inversamente, il celebre problema della
quadratura del cerchio. Gli altari di forma più complessa imitavano
invece l'immagine stilizzata di un falco, composta di quadrati e di
triangoli.
La crescita dell'altare
implicava quindi quella di un quadrato, e la questione matematica
correlata era in breve la seguente: in quale modo la crescita o la
diminuzione del lato del quadrato ne altera la superficie?
Una questione semplice ma
decisiva, da cui derivarono le più note procedure per risolvere
un'equazione e alcune tecniche fondamentali dell'analisi moderna.
In origine era il dio,
Agni o Apollo, a crescere, e la crescita non ne alterava la forma.
Invarianza nel mutamento : è stata questa l'idea guida che molti
matematici hanno posto a fondamento della loro disciplina. Alla
matematica degli dei risalgono procedure di calcolo ancora oggi di
straordinaria efficacia. Ma cosa ne è stato poi del rapporto degli
dei con la matematica? In India si celebrano ancora i riti di Agni.
Il logos greco e la
sapienza veterotestamentaria, inseparabili dalla matematica, si
trasmisero e rinnovarono nel logos cristiano fin dai primi secoli
della nostra era. Per questa ragione Agostino poteva affermare che
numero e sapienza sono la stessa cosa. Più tardi Alberto Magno,
maestro di Tommaso d'Aquino, indagando sulla natura dell'infinito,
ripensava alla crescita di un quadrato come già l'avevano concepita
i pitagorici, e ancor prima gli indiani. La filosofia scolastica
ripensò poi quella profonda adaequatio rei et intellectus , la
corrispondenza tra le cose e la nostra intelligenza, tra l'uomo e
l'universo, che gli altari matematici dell'antichità già volevano
realizzare.
La matematica ha sempre
avuto il ruolo di natura intermedia tra Cielo e Terra, esattamente
come Pitagora aveva mediato tra gli uomini e gli dei e come le
"intime giunture" di Agni avevano trasformato la materia
informe dell'universo in una regione del pensiero, ciò che in Grecia
divenne il kósmos noetós , il mondo ordinato e intelligibile dei
platonici. Ma questa posizione intermedia della matematica è stata
pure causa di oscillazioni e di virtuale instabilità. In Grecia,
osservava Alexandre Kojève, il cosmo intelligibile e matematico fu
una vetta assoluta, un limite estremo e invalicabile, per ogni
pagano, di tutte le possibili incarnazioni del suo Dio.
Il dogma
dell'Incarnazione avrebbe cambiato le cose: Dio poteva esistere nel
mondo senza perdere nulla di sé; quindi ci si poteva limitare allo
studio della perfezione matematica sulla Terra. Il Cielo cominciò
allora a perdere la sua ingerenza, la matematica e la teologia
presero strade indipendenti e la matematica degli dei, come ebbe a
dire il celebre matematico Pafnutij L. Èebyšëv, fu presto
soppiantata da una matematica di tecnici. Ma quest'ultima, ci
chiediamo noi, riuscì mai a diventare solo profana? Ancora John von
Neumann, pur così coinvolto nelle sue prodigiose applicazioni
tecnologiche sulla Terra, ne rivendicava, in pieno ‘900, la natura
divina.
La Repubblica - 15 maggio
2014
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