Lo scudo crociato. Un
simbolo medievale nella comunicazione politica del Novecento. Il
richiamo al cristianesimo come simbolo di appartenenza e dunque segno
rassicurante . Da qui la sua fortuna in un'Italia uscita a pezzi
dalla guerra. Un libro ne racconta la storia.
Scudo crociato il
segreto del successo Dc
Sopravvive da un
secolo e ancora fino a qualche tempo fa suscitava furibonde
dispute legali per stabilirne l'effettiva proprietà. È lo scudo
crociato, uno dei più longevi vessilli parlamentari che il
Partito popolare di Luigi Sturzo, prima e la Democrazia cristiana
di Alcide De Gasperi, poi utilizzarono come contrassegno. Una
croce rossa in campo bianco su un fondo che solo in tempi recenti
divenne azzurro mantenendo quel latinismo, Libertas, per dire
della vocazione libertaria che il partito, nato nel 1942,
intendeva darsi. Marcando così una distanza tanto
dall'autoritarismo passato quanto dal temuto blocco
socialcomunista.
In quel simbolo c'è
la passione e il fermento di un'ampia fetta di intellighenzia
italiana, cristiana e cattolica. Spesso in felpata
contrapposizione con le timidezze di un papato che subì la
seduzione fascista, complice il Concordato ed era rimasto a lungo
ostaggio del Non expedit, l'astensionismo politico dei fedeli.
Propugnato nell'Ottocento, quel principio era fortemente radicato
nelle convinzioni di un Vaticano che intendeva tenersi a debita
distanza dalla identificazione di una rappresentanza partitica
nella società. E che tantomeno poteva tollerare che un sacerdote
fosse l'ideologo e il segretario di una formazione che lo stesso
Sturzo voleva sganciata dalla sudditanza pontificia.
Un libro, il
documentatissimo saggio Lo scudo crociato. Un simbolo medievale
nella comunicazione politica del Novecento ( Armando Editore) di
Girolamo Rossi, docente della Pontificia Università San Tommaso
"Angelicum", svela quanta storia ci sia dietro quel
simbolo che per interi strati della popolazione era tout court la
croce. Ovvero la materializzazione del partito della Chiesa,
l'unico capace di risolvere con un tratto di matita copiativa il
dissidio tra immanente e trascendente, di tramutare adunanze di
devoti in movimento di consenso. Con tutto ciò, anche di
ignobile, che ne sarebbe venuto. La croce, preesistente come segno
al cristianesimo, è per Rossi qualcosa di più di uno strumento
di identificazione perché è l'essenza stessa dell'appartenenza,
appena insidiato dal fiore bianco della Dc di Romolo Murri,
garofano o margherita, che in alcuni momenti storici, anche
recenti, fu rispolverato senza la capacità evocativa dello scudo.
Il saggio spiega che
la radice di quel tratto è già di per sé una scelta precisa.
Tra le tante croci disponibili è quella di San Giorgio a
prevalere, emblema della militanza crociata e poi ancora dei
Comuni. Un simbolo medievale di radice neoguelfa a dire che il
popolo di Cristo Re c'è ed è pronto a combattere, come pure
accadde nelle brigate partigiane, ma che è altro rispetto al
Vaticano. Così la pensa Sturzo. Dal suo esilio sarà poi il
sacerdote a guerra agli sgoccioli a benedire la sintesi di De
Gasperi che mette insieme simbolo e nome, recupera il supporto
dell'Azione cattolica e della Fuci e prepara il debutto
congressuale ed elettorale. Paradossalmente, l'avere assunto il
segno di Cristo come stendardo per la propria presenza in politica
segnerà una delicata fase nei rapporti interni al blocco
cristiano che Rossi ricostruisce districandosi tra le pieghe di
ponderose analisi che poco concedono però alla storiografia di
simbolo e propaganda.
Nel proliferare di
tratti e di sforzi per imporre un segno che sia incisivo, la
comunicazione politica non è riuscita a trovare ancora qualcosa
di così straordinariamente immediato e pure controverso. Di più
efficace e duraturo. E se la nostalgia in politica è un azzardo
passatista, quantomeno per il semiologo, è la radice per
comprendere il presente.
Girolamo Rossi
Lo scudo crociato
Armando Editore,
2014
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