Ripropongo di seguito la bella recensione di Luca Menichetti di un libro di grande attualità.
CORRUZIONE A NORMA DI LEGGE
Quando recentemente si è scoperchiata la
fogna del MoSe, la grande opera ideata per risolvere il problema
dell’acqua alta a Venezia, il nostro premier Silvio Renzi se ne è uscito
con una frase del tipo “non è un problema di leggi ma di persone”. Di
diverso avviso gli autori di “Corruzione a norma di legge”, Francesco
Giavazzi e Giorgio Barbieri. Non sappiamo se per questo finiranno nel
mazzo dei gufi e dei rosiconi, ma tant’è: “Ci sono due tipi di
corruzione: la corruzione per infrazione delle regole e la corruzione
delle regole stesse […] Il secondo tipo di corruzione è più ambiguo
perché nessuna legge viene violata: sono le leggi stesse a essere state
corrotte, cioè scritte ed approvate per il tornaconto dei privati contro
l’interesse dello Stato, o per alcuni privati a svantaggio di altri”
(pag. 41). Del tutto consequenziale un altro passaggio tratto da “L’oro
del MoSe”: “A dicembre 2001 il Senato dà il definitivo via alla Legge
obiettivo per le grandi opere, uno strumento che permette di aggirare le
leggi ordinarie in materia di lavori pubblici. In base a questa norma
l’elenco delle opere da realizzare è stilato dal governo e inserito nel
decreto di programmazione economica e finanziaria, anche se non coerente
con le previsioni del Piano generale dei Trasporti e dei relativi Piani
regionali. Prevede inoltre sistemi di deroga alle gare d’appalto e alle
valutazioni di impatto ambientale” (pag. 90). E per tornare più
specificatamente al verminaio scoperchiato in quel di Venezia, i nostri
due autori ci ricordano che certe leggi sono scritte anche per
massimizzare la rendita sia dei politici sia delle imprese che poi se la
divideranno. Infatti: “Il contratto per la realizzazione del MoSe
prevede che il Consorzio possa subappaltare senza gare” (pag.49) di modo
che la distribuzione dei lavori alle imprese che fanno parte di un
cartello, grazie a prezzi fuori mercato, incrementi le rendite. Se è
vero che in periodo di grandi intese (senza voler ora entrare nel merito
degli annunci e della qualità delle riforme Boschi-Verdini) pare non
sia proprio contemplata una legge sul conflitto d’interesse e una legge
anticorruzione decente, è altrettanto vero che la normativa, analizzata
nel libro di Giavazzi e Barbieri, rimane lì stabile, contestata magari
da minoranze di rosiconi, ma di fatto non si muove foglia.
Tra l’altro non è che i due autori ci
abbiano svelato chissà quali novità. Molto era già stato scritto – basti
pensare al profetico “La storia del futuro di tangentopoli” di Ivan
Cicconi – ma qualcuno si potrà forse stupire che sia uscito allo
scoperto, con un libro dedicato a questo letamaio, un Francesco
Giavazzi, economista di dichiarata fede liberista, proprio quello
dell’Agenda Giavazzi, editorialista del Corriere della Sera, già
accusato di appartenere ai cosiddetti “poteri forti” e chissà a
cos’altro. In realtà non è la prima volta che Giavazzi, personaggio
difficilmente assimilabile ad un contestatore sessantottino o ad un
anarcoinsurrezionalista, mette in dubbio certi luoghi comuni sulla
cosiddetta “crescita” che riempiono, come mantra, i nostri media
generalisti: “L’idea che l’Italia soffra di una carenza di
infrastrutture nasce dalla sovrastima dei benefici di una nuova opera
rispetto ai suoi costi […] Non è quindi scontato che, calcolando
correttamente i benefici di nuove opere, l’Italia soffra di una carenza
di infrastrutture. Ma se anche così fosse, il nostro eventuale ritardo
infrastrutturale non sembra riconducibile ad una carenza di spesa […] Il
problema non è che spendiamo poco, a che spendiamo male” (pag.34-36). E
poi ancora: “Qui vorremmo anteporre un’altra domanda. Non basta provare
che un euro speso per costruire una nuova autostrada o per potenziare
una linea ferroviaria ha effetti positivi sulla crescita. La domanda è
se tali effetti siano maggiori di quelli che si potrebbero ottenere
spendendo quell’euro diversamente, ad esempio, ma non solo, riducendo la
pressione fiscale […] Un collegamento fra Orte e Mestre già esiste: di
quanto si ridurranno i tempi di collegamento tra le due città? Diciamo
un’ora in meno? Che cosa è più utile per la crescita: spendere
quell’euro per costruire la nuova strada o ad esempio rendere più
efficienti i tribunali civili?” (pag. 39).
Conferma come il concetto di “liberismo”
sia a volte usato a sproposito, salvo tutte le legittime critiche che
si potrà meritare un’idea che auspica una presenza limitata dello Stato
nell’economia. Come in fondo fa capire lo stesso Giavazzi, il liberismo
declinato all’italiana è innanzitutto un liberismo straccione, quello
dove associazioni di furbastri, senza correre particolari rischi, si
spartiscono il bottino e nel contempo socializzano le perdite. In altri
termini: a loro i profitti, allo Stato e ai contribuenti il passivo.
Un libro quindi scritto a quattro mani,
tra cronaca giornalistica e analisi economica costi-benefici, di facile
lettura malgrado la vicenda parta da lontano e prosegua ripercorrendo
per lo più la storia e la degenerazione del MoSe, in questo caso
paradigma di un malcostume che ha pervaso fin dall’inizio l’Alta
Velocità, l’Expo di Milano e altre grandi infrastrutture e
cementificazioni del territorio: a partire dall’ideazione del progetto
si attiva un meccanismo ben congegnato che innesca omissione di
controlli e costi che lievitano proporzionalmente al diffondersi delle
mazzette e delle regalie. In pratica una sofisticata corruzione della
legge, ignota ai più, che, accompagnata ad un attività di lobbying tale
da condizionare tutti il livelli di controllo, ha poi inevitabilmente
prodotto illegalità e lo stravolgimento delle leggi di mercato.
Questa la situazione dell’Italia anno
2014, mentre in passato le cose andavano diversamente. Giavazzi e
Barbieri citano un recente articolo di Ivone Cacciavillani nel quale si
racconta dell’Avogador veneziano del XIV secolo: un funzionario col
compito specifico di controllare l’integrità dei beni pubblici e con
l’ovvia premessa – a quei tempi – che non avesse alcun conflitto di
interesse con ciò che doveva controllare. Le pene per chi sgarrava erano
micidiali: “Entrando a Palazzo Ducale dalla Riva degli Schiavoni sulla
volta c’è la storia dei casi di peculato della Repubblica Veneta. In
piazza San Marco quattro cavalli e ciascuno partiva per proprio conto,
portandosene via un pezzo. E quello che restava veniva bruciato. La
gravità della pena rifletteva la gravità del reato: il peculato era un
furto sacro. Questo perché allora la pecunia, il denaro pubblico, era
cosa sacra” (pag.25). Metodi parecchio drastici ma di eccesso in eccesso
ecco che otto secoli dopo ci ritroviamo con un sistema caratterizzato
dall’assenza di concorrenza tra imprese, ritardi mai sanzionati “e dalla
lievitazione dei costi senza che nessuna autorità ne abbia mai chiesto
conto ai responsabili delle opere […] L’inchiesta della Procura di
Venezia sulle tangenti per il MoSe sta facendo emergere un vero e
proprio sistema corruttivo, con al centro i presidenti del Magistrato
delle Acque che hanno abdicato al loro ruolo di controllori, mettendosi a
libro paga del controllato, il Consorzio Venezia Nuova” (pag. 26).
Anche qui paradigmatico il caso del dottor Cuccioletta ri-nominato nel
2008 dall’allora ministro Matteoli alla carica di presidente del
Magistrato delle Acque, dopo essere stato rimosso nel 2001 a seguito di
una relazione durissima degli ispettori del ministero dei lavori
pubblici: “Il dirigente dello Stato era stato accusato di aver fatto un
uso improprio dei poteri d’urgenza impegnando 64 miliardi di lire,
eludendo le normali procedure” (pag. 27) e di altre marachelle non meno
gravi.
Insomma, se un tempo l’intreccio che
legava controllori e controllati poteva venire sanzionato con uno
sventramento sulla pubblica piazza – confermiamo: metodo un tantino
drastico – adesso ci dobbiamo aspettare che uno di questi personaggi
possa venire nominato senatore della Repubblica, con tanto di immunità
parlamentare. Del resto gli effetti di questo clima di pacificazione
nazionale è stato evidenziato anche da Giavazzi e Barbieri nel ricordare
le convergenze di interessi tra centrodestra e centrosinistra nella
gestione della Venezia-Padova, l’autostrada più corta d’Italia. Gli
autori scrivono di “un sistema che ha corrotto il Paese a tutti i
livelli, durante la prima e la seconda Repubblica, e che ora mette alle
spalle al muro la politica: spetta a lei trovare l’antidoto affinché
casi del genere non si ripetano più”. Come dire: se si voleva davvero
#cambiareverso forse era il caso di iniziare proprio da questo
sudiciume.
Luca Menichetti
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Francesco Giavazzi
(Bergamo, 1949), economista, editorialista del “Corriere della Sera”,
insegna economia politica all’Università Bocconi di Milano ed è visiting
professor al Massachusetts Institute of Technology Ha insegnato a Ca’
Foscari dal 1977 al 1987. Ha pubblicato “Lobby d’Italia” (2005) e con
Alberto Alesina, “Goodbye Europa” (2006), “Il liberismo è di sinistra”
(2007) e “La crisi” (2008).
Giorgio Barbieri, (Venezia, 1980), giornalista, scrive sui quotidiani veneti del gruppo L’Espresso. Nel 2009 ha scritto “Che notte a San Marco”.
Francesco Giavazzi, Giorgio Barbieri,
“Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda
l'Italia”, Rizzoli (collana Saggi italiani), Milano 2014, pag. 235
Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2014
Recensione già pubblicata il 14 agosto 2014 su ciao.it e qui parzialmente modificata.
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