La notte del 27 agosto 1950 moriva Cesare Pavese.
Noi lo ricordiamo così. L'immagine è di Alex Raso.
Cesare Pavese
Mi dicevano Pablo
perchè suonavo la chitarra
"Mi dicevano
Pablo perché suonavo la chitarra. La notte che Amelio si ruppe la
schiena sulla strada di Avigliana, ero andato con tre o quattro a
una merenda in collina - mica lontano, si vedeva il ponte - e
avevamo bevuto e scherzato sotto la luna di settembre, finché per
via del fresco ci toccò cantare al chiuso. Allora le ragazze si
erano messe a ballare. Io suonavo - Pablo qui, Pablo là - ma non
ero contento, mi è sempre piaciuto suonare con qualcuno che
capisca, invece quelli non volevano che gridare più forte. Toccai
ancora la chitarra andando a casa e qualcuno cantava. La nebbia mi
bagnava la mano. Ero stufo di quella vita.
Adesso che Amelio era
finito all'ospedale, non avevo con chi dir la mia e sfogarmi. Si
sapeva ch'era inutile andarlo a trovare perché gridava
giorno e notte e bestemmiava, e non conosceva più nessuno.
Andammo a vedere la moto ch'era ancora nel fosso, contro un
paracarro. S'era spaccata la forcella, saltata la ruota, per
miracolo non s'era incendiata. Sangue per terra non ce n'era ma
benzina. Vennero poi a prenderla con un carretto.
Non mi sono mai
piaciute le moto, ma era come una chitarra fracassata. Fortuna che
Amelio non conosceva più nessuno. Poi si disse che forse
scampava. Io pensavo a queste cose mentre servivo nel negozio, e
non andavo a trovarlo perché tanto era inutile, e non parlavo più
di lui con nessuno.
Pensavo invece,
rientrando la sera, ai discorsi che avevo fatto con tutti ma a
nessuno avevo detto ch'ero solo come un cane, e non mica perché
non ci fosse più Amelio - anche lui mi mancava per questo. Forse
a lui l'avrei detto che quell'estate era l'ultima e tra osterie,
negozio e chitarra ero stufo. Lui le capiva queste cose."
(Cesare Pavese, Il compagno, Einaudi, 1947)
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