Da Oxford a Vicksburg, passando per la tana di William Faulkner e la sub town di Natchez, un tempo scandalosa e pericolosa. Il viaggio nell’America del "deep south" prosegue tra i bagliori delle grandi lotte antirazziste e le luci dei casinò galleggianti.
Giuliano Malatesta
Per un pugno di
polvere
Prima ancora di Rosa
Park, la sarta di Montgomery che un bel giorno si rifiutò
di cedere il proprio posto a un bianco su un mezzo di
trasporto pubblico, o di mostri sacri come Martin
Luther King e Malcolm X, un posto d’onore nel variegato
palmares degli eroi della lotta antirazzista
in America spetta di diritto a Willie Reed, il
giovane mezzadro che nel 1955 testimoniò in
uno dei processi simbolo della battaglia per
i diritti civili della comunità afro-americana: quello
agli assassini di Emmett Till, il quattordicenne
rapito, torturato e linciato nel 1955 in una
cittadina del Mississippi.
Il suo corpo, sfigurato
e legato con il filo spinato, fu gettato nel fiume
e ritrovato dopo tre giorni. Era stato giudicato
colpevole di aver fischiettato a una ragazza
bianca all’interno di una drogheria, un affronto mortale
in una zona degli Stati Uniti dove i neri non avevano il
permesso di prendere l’iniziativa e rivolgere
per primi la parola a un bianco, né tantomeno di
guardarli negli occhi.
Reed, che all’epoca aveva 18 anni e faceva il mezzadro, vide Emmett poche ore prima della sua morte, mentre lo portavano via. Ebbe la forza di presentarsi a sorpresa al processo e puntare il dito contro gli imputati, tutti bianchi, rischiando la vita. Gli accusati furono assolti, in una delle pagine più nere della giustizia americana, mentre Reed fu costretto a cambiare nome e per 60 anni rimase nascosto in uno sconosciuto pueblo dell’Illinois.
Reed, che all’epoca aveva 18 anni e faceva il mezzadro, vide Emmett poche ore prima della sua morte, mentre lo portavano via. Ebbe la forza di presentarsi a sorpresa al processo e puntare il dito contro gli imputati, tutti bianchi, rischiando la vita. Gli accusati furono assolti, in una delle pagine più nere della giustizia americana, mentre Reed fu costretto a cambiare nome e per 60 anni rimase nascosto in uno sconosciuto pueblo dell’Illinois.
Specialità
della casa
Leggo della sua morte,
avvenuta all’età di 76 anni, il giorno del mio arrivo
a Oxford, una delle più raffinate small town
d’America, elegante énclave universitaria
con una storia turbolenta alle spalle. Seduto alla
Bottletree bakery, principale luogo di ritrovo
degli studenti universitari, tutti
diligentemente in fila in attesa di provare la
specialità della casa, sublimi e soffici bagle
farciti in oltre 50 modi, sfoglio i giornali
locali. Reed viene ricordato con ammirazione, in un
momento in cui le tensioni razziali sembrano tornare
d’attualità. La sua storia è più volte salita alla
ribalta negli ultimi tempi e da alcuni paragonata
a quella di Trayvon Martin, il ragazzo
afroamericano disarmato ucciso in Florida da
un colpo di pistola sparato da una guardia volontaria,
successivamente assolta.
Nonostante la sua atmosfera liberal, le ariose librerie dalle ampie vetrate che affacciano sulla piazza e le sofisticate serate concertistiche che animano il weekend, Oxford, così chiamata dai coloni nella speranza che vi fosse costruita l’università, ha un passato legato alla questione dei diritti civili difficile da dimenticare.
Nel 1962 un giovane
nero uscito a pieni voti dal college si iscrisse
all’Università del Mississippi, dopo aver vinto una
causa per discriminazione razziale davanti alla
Suprema Corte contro la stessa università, che si era
opposta al suo ingresso. Non era la prima volta che un
afroamericano veniva ammesso in un college o in
altre università per bianchi del Sud, ma qui ad “Ole
miss”, come tutti chiamano questa università
fondata nel lontano 1848, nessuno aveva mai
ipotizzato di poter subire una simile umiliazione.
Così il giorno in cui Meredith si presentò al campus
dell’University of Mississippi si trovò a sbarrargli
la strada un gruppo composito di 2mila studenti oltre
a buona parte di una popolazione inferocita.
Nonostante la sua atmosfera liberal, le ariose librerie dalle ampie vetrate che affacciano sulla piazza e le sofisticate serate concertistiche che animano il weekend, Oxford, così chiamata dai coloni nella speranza che vi fosse costruita l’università, ha un passato legato alla questione dei diritti civili difficile da dimenticare.
Per sedare le
contestazioni J.F.Kennedy fu costretto a spedire
ad Oxford gli agenti federali, ma la rivolta provocò la
morte di 2 giornalisti, oltre cento arresti,
molte polemiche e una crisi istituzionale
tra lo Stato del Mississippi e il Governo Federale.
Le continue tensioni però non impedirono al
ragazzo di finire il suo percorso di studi e diventare
un piccolo eroe locale, come dimostra una statua di
ferro in suo onore eretta all’interno del campus. Oggi
l’Università del Mississippi conta poco meno di 20 mila
iscritti e le minoranze rappresentano quasi
un quarto del corpo studentesco. Qui, non a caso,
nel 2008 fu organizzato uno dei 3 dibattiti
presidenziali tra il futuro presidente Obama
e l’allora candidato repubblicano, John
McCain.
L’altro motivo del mio
passaggio a Oxford si chiama William Faulkner.
L’abitazione familiare dove lo scrittore americano
amava rifugiarsi di ritorno da Hollywood, «un posto
dove un uomo può venire pugnalato alle spalle mentre sale
una scala», è in posizione centrale ma nascosta
all’interno di un seducente bosco di cedri. Rowan Oak, questo
il nome dell’elegante dimora di due piani, è una tipica
residenza del vecchio Sud con il colonnato candido
e il giardino pieno di alberi, aperta agli sparuti
visitatori incuriositi di osservare vezzi
e abitudini casalinghe di un Premio
Nobel. Come in altre case di celebri personaggi, tutto
è rimasto immobile nel tempo: dalla macchina da
scrivere Underwood del 1940, ai fucili di caccia in
camera da letto fino alla teca di vetro al cui interno si trova
ancora una bottiglia di Four Roses bourbon.
Implacabile
sudista, ferocemente contrario alla
segregazione razziale, definita la «vergogna»
del Sud, ma al tempo stesso pronto a combattere
contro nuovi tentativi di moralizzazione
da parte delle forze nordiste, Faulkner ha avuto
lo straordinario merito di riuscire a descrivere
in maniera tragica il declino dell’aristocrazia, e il
tentativo di scalata dei nuovi ceti sociali borghesi,
attraverso la vicenda di un remoto e oscuro angolo del Sud.
«Mostrare il terrore in un pugno di polvere», avrebbe
detto T. S. Elliot. Eppure da queste parti la grandezza
dell’autore non è mai stata apprezzata fino in fondo.
Volendo dare ascolto ai pettegolezzi più
antipatici, ha scritto l’etnomusicologo Alan Lomax di
passaggio a Oxford, si potrebbe sostenere che
Faulkner «non era nemmeno lo scrittore più
dotato in famiglia» e che suo fratello John fosse
molto più raffinato di lui. Pettegolezzi
a parte, non si può dire che William Faulkner
sia entrato nel cuore della comunità locale.
A Oxford l’idolo
indiscusso si chiama Archie Manning, per 3 anni, dalla
fine dei Sessanta agli inizi dei Settanta, quarterback
dell’amatissima squadra universitaria Ole
Miss. «Il miglior quarterback che il college abbia
mai visto», ripetono in coro. Talmente amato che nel
campus il limite di velocità è fermo a 18
miglia, il numero che Manning portava dietro la
maglia.
Per dirigermi nel deep south, il profondo Sud degli Stati Uniti, da Oxford seguo la Natchez Travel Parkway, una magnifica scenic road che congiunge Nashville a Natchez collegando il Mississippi River con il fiume Cumberland. Prima dell’avvento dei battelli a vapore questa era la principale via di comunicazione che collegava l’Est agli avamposti del Mississippi. La prima sosta è a Vicksburg, un luogo che profuma di aristocrazia e paternalismo, eleganti dimore ottocentesche e antichi localismi. Qui tutto rimanda a un passato che non esiste più. «Vicksburg is the key» ripeteva insistentemente Abramo Lincoln, primo presidente Repubblicano della storia degli Stati Uniti, a suoi collaboratori, consapevole dell’importanza strategica di questa piccola cittadina fondata nel 1811 e posizionata su un alto promontorio che affaccia sul Mississippi; dunque essenziale per gli Unionisti, che avevano bisogno di conquistare l’intero corso del “Grande Fiume” e tagliare in due il Sud. A Vicksburg si svolse una delle battaglie cruciali della Guerra di Secessione americana, che mise la parola fine al sogno indipendentista degli Stati confederati. La città capitolò il 3 luglio del 1863, dopo un durissimo assedio durato ben 43 giorni, al termine del quale le truppe sudiste si arresero alla strapotere nemico e all’intelligenza militare della campagna ideata del generale Grant.
In questa zona
economicamente depressa gran parte del turismo
ruota intorno a questo evento, a cominciare dal
National Military Park, immenso polmone verde
cittadino trasformato in un parco militare
dove gli appassionati di storia accorrono per
ripercorrere le tappe chiave dell’assedio. Da un punto di
vista strettamente finanziario, però, la
speranza di restare a galla è legata al business
dei casinò, grazie a una legge del 1992 che ha
autorizzato il gioco d’azzardo sull’acqua. Nel solo
Mississippi si contano 34 case galleggianti,
che danno lavoro a 23mila persone e hanno un giro
d’affari di 3 miliardi di dollari (2012). Nella
stragrande maggioranza dei casi si tratta di
squallide strutture che fanno il verso ai vecchi
casinò sui battelli fluviali a ruota che si possono
trovare nei romanzi di Mark Twain; solo che nel XXI secolo sono
gestiti da grandi gruppi immobiliari e da società
specializzate che si sono fatte le ossa a Las
Vegas.
Il famigerato
catfish
Dopo aver assaggiato
il famigerato catfish, uno dei vanti della
gastronomia locale, per la verità dal leggero
retrogusto fangoso, riprendo la Natchez Trace
Parkway fino a Natchez, una sofisticata
cittadina abitata da una folla cosmopolita
che tiene insieme intellettuali liberal
e conservatori repubblicani, entrambi
attirati da quella southern hospitality che qui
è molto di più di uno stile di vita. In poche altre parti
degli Stati Uniti sarete infatti accolti in una splendida dimora
ottocentesca da tanto entusiasmo e da
uno zuccherato bicchiere di whiskey, da
sorseggiare in tutta tranquillità in un superbo
patio con vista sul Mississippi mentre il padrone di
casa prova a spiegarti, in un inglese incomprensibile,
l’antica storia della sua mansion. Una delle quasi 700
dimore pre-war, che rendono Natchez un posto speciale,
sopratutto per gli amanti dell’architettura Greek Revival,
lo stile più spesso associato con il Sud prebellico.
Curiosa è la
storia di Natchez, che è anche il più antico
insediamento sul Mississippi. Originariamente
fondata dai coloni francesi nel 1716, per molti anni,
a cavallo tra ‘700 e ‘800 Natchez è stata la
capitale commerciale dell’industria del cotone, la
città dell’aristocrazia fondiaria e mercantile,
il posto dove vivevano più milionari che in qualsiasi
altra parte di America. Parallelamente a questa
sofisticata città sulla collina se ne sviluppò
un’altra lungo la riva del fiume, più popolare e alla
mano, per usare un eufemismo.
Conosciuta con il
nome di «Natchez under the hill», questa sub town si
guadagnò presto la fama di essere uno dei posti più
pericolosi di tutto il Mississippi, terreno
prediletto per gamblers, contrabbandieri
e bari di ogni sorta. «Natchez under the Hill funzionò
da camera di compensazione per la cultura
popolare del fiume — spiega Mario Maffi in Mississippi
- luogo di raccolta e dispersione prima dell’arrivo
nel grande laboratorio di New Orleans, in cui
l’universo dei battellieri trovava modo di
esprimersi senza freni, dopo il lungo e arduo viaggio
giù per l’Ohio e il Mississippi». Una città nella
città, talmente scandalosa che per spazzarla via
si rese necessaria tutta l’irruenza del Mississippi,
che intorno alla metà dell’ottocento si mangiò centimetro
dopo centimetro tutta la riva del fiume.
Percorro Silver
Street fino alla vista del fiume. Sullo sfondo le deboli luci al neon
dell’immancabile casinò galleggiante “Isola of Capri”.
Dell’antica città del vizio non è rimasto nulla,
eccetto un modesto ristorante e un saloon che ha quasi
300 anni e un aspetto vagamente tetro. Ma che resta il
posto migliore per ordinare da bere e aspettare che
uno degli avventori locali venga a raccontarti,
dopo un’iniziale diffidenza, qualche improbabile
storia. Come quella dei fratelli Harpe, famosi nei primi
dell’Ottocento per aver derubato e torturato
molti dei viaggiatori che si avventuravano
lungo la Natchez Trace, il percorso utilizzato
dai coloni che cercavano fortuna all’Ovest. Uno dei
due fratelli, non è dato saper quale, venne in seguito
catturato e decapitato, e la sua testa
fu appesa lungo la strada come monito per altri assassini. Ma
pare che il suo spirito ogni tanto faccia ancora capolino
da quelle parti.
(3 — continua)
il Manifesto – 10
agosto 2014
Nessun commento:
Posta un commento