Cambiano
i governi, ma non cambia una politica scolastica fatta di regali alla
Chiesa cattolica (è di questi giorni la notizia dell'assunzione di
migliaia di insegnanti di religione per le scuole materne) e di tagli
indiscriminati. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: una scuola
precaria destinata a sfornare generazioni di lavoratori precari.
Roberto Ciccarelli
La scuola italiana al
microscopio di Giorgio Mele
Il Sacro Graal delle
scuole e delle università è diventato il
lavoro amministrativo sulla «qualità».
Monitoraggio, valutazione, misurazione
della qualità attraverso le classifiche di
Shangai, test Invalsi elevati a strumenti della
qualità intellettuale degli studenti e delle
capacità pedagogiche dei docenti. Il nuovo dio
che ispira le politiche dell’istruzione anche in Italia
è un dispositivo di controllo della vita della
popolazione elaborato nell’ultimo ventennio
prima con la riforma Ruberti, poi da quella Berlinguer-Zecchino
e sviluppato con le riforme Moratti e Gelmini.
Pur con sfumature
diverse, legate ad una diversa concezione della scuola
dell’infanzia e a una diversa centralità della
scuola pubblica, l’accordo tra centro-sinistra e centro-destra
è maturato sul terreno di un’adesione acritica
ai principi quantitativi, positivisti
ed econometrici del neoliberalismo
oggi incarnati nella cultura della «valutazione»
e della meritocrazia. Questo è lo
sfondo ideologico a partire dal quale sono state
costruite le «larghe intese» che gestiscono la crisi
economica e politica dal 2011, nel tentativo
di istituire una forma di democrazia autoritaria.
Ancor prima dei patti politici, l’istruzione è stato
dunque il campo di applicazione di un’intesa che
mira a professionalizzare i saperi
come antidoto alla disoccupazione e alla
precarietà giovanile e a liquidare
i saperi complessi giudicati inutili per la
conquista di un’attività redditizia
nell’ambito delle professioni.
Ha ragione Giorgio
Mele, che ha da poco mandato in stampa con Ediesse una lineare
ricostruzione della storia sulla scuola pubblica
dall’Unità alla riforma Gelmini (Per la scuola di tutti.
Breve storia della scuola italiana, pp.151, euro 12),
a giudicare questo lungo ciclo a partire
dal legame tra politica e società, e tra movimenti
sociali e studenteschi e riforme
dell’istruzione. Se non lo avesse considerato,
infatti, oggi non si capirebbe la violenta aggressione
della destra berlusconiana alla scuola pubblica
(taglio di 8,4 miliardi di euro alla scuola e di 1,1
all’università nel 2008), finalizzata alla
cancellazione delle tutele sociali e dell’uguaglianza
delle opportunità, due valori dello Stato sociale in cui
è fiorita la scuola di massa a partire dagli
anni Sessanta.
La sua ricostruzione
permette inoltre di spiegare la storia anomala
di un paese che ha tagliato gli investimenti
sull’istruzione e sulla ricerca negli anni in cui è esplosa
la crisi globale, mentre i paesi Ocse decidevano
di rafforzare l’economia cognitiva. Per Mele questo
è il risultato di una persistente cultura
classista nelle destre italiane.
Questo approccio
non permette tuttavia di spiegare a fondo le
ragioni che hanno spinto il centro-sinistra a promuovere
con il primo governo Prodi la trasformazione
dell’istruzione pubblica secondo i canoni
della governance neoliberale del
«Processo di Bologna». Mele registra tuttavia
il fallimento di questo modello rappresentato
dalla riforma dei cicli didattici, il cosiddetto «3+2»:
un modulo che ha moltiplicato gli insegnamenti
provocando un vistoso abbassamento qualitativo
dell’insegnamento.
Un fallimento
anche dal punto di vista «produttivo»: basti guardare
le statistiche dei laureati e degli
immatricolati all’università. Una volta giunta al
termine di questa parabola, la sinistra potrà
ancora rivendicare acriticamente un ritorno
alla scuola «pubblica» senza rimettere in discussione
la trasformazione radicale di questo
«pubblico» in una gestione manageriale
e privatistica dello Stato che funziona da
fornitore di servizi per l’impresa?
Il Manifesto – 22 agosto 2013
Giorgio Mele
Per la scuola di tutti. Breve
storia della scuola italiana
Ediesse, 2014
euro 12
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