A Palermo, oggi più che mai, sentiamo la mancanza di un giornale che non c'è più: il quotidiano
pomeridiano L’ORA che non faceva fare sonni tranquilli a tanti . A fare grande quel giornale contribuirono, oltre ad un
gruppo affiatato di seri professionisti, grandi scrittori come Leonardo Sciascia
che, con la sua lingua tagliente, riusciva a dare voce a chi storicamente non ne
ha mai avuto.
Riproponiamo di seguito la copia di
un suo pezzo pubblicato il 6 febbraio 1965 (poi raccolto con il titolo Gattopardi e sciacalli nel Quaderno della Nuova Editrice
Meridionale, Palermo 1991, pp.37-39) su un tema come l’acqua tornato ad essere
di grande attualità. L’articolo sembra
scritto ieri, nonostante che
siano trascorsi quasi 50 anni da quando vide la luce. E’
anche vero che oggi i bidoni di plastica hanno preso il posto delle vecchie
quartare. Ma, per il resto, tutto è rimasto come prima, se non peggio.
L’immobilità della storia della Sicilia, denunciata con arguzia dal
racalmutese, era una costatazione di fatto più che una petizione di principio.
E questo è quanto fanno finta di non capire, ancora oggi, i nostri governanti.
Francesco Virga
Leonardo Sciascia, Gattopardi e sciacalli
da L’ORA 6 febbraio 1965
«Noi fummo i
Gattopardi, I Leoni; chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e
tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale
della terra».
E’ un giudizio
irritante. Ma l’altro giorno, camminando per le strade di Caltanissetta, mi è
avvenuto di ricordarlo e ripensarlo; e di coglierne al di là del fatalismo, al
di là del dispetto e del disprezzo, l’effettuale verità.
La gente
veniva fuori dalle case carica di bidoni, di quartare, di pentole, si affollava
intorno alle botti che distribuivano acqua: e pareva lo facesse per antica e
rassegnata abitudine, per inamovibile regola quotidiana, quasi che il
contendersi l’acqua, misurarla avaramente per gli elementari bisogni del bere,
del cuocere, del lavarsi fosse una condizione dell’esistenza, un destino, e non
un fatto legato a precise responsabilità di governo e di amministrazione.
Per quello che
io ricordo, Caltanissetta si dibatte nella penuria di acqua da circa
trent’anni. E un problema che non si risolve nel giro di un trentennio finisce
con l’apparire insolubile, al di là delle forze e dei mezzi umani: dà nel
metafisico, insomma, diventa una specie di peccato originale; e non si può che
confidarlo a Dio, alla Madonna, a San Michele. E infatti la popolazione
nissena, nella sua maggioranza, non pone assolutamente in rapporto l’espressione del proprio voto con la
soluzione del problema idrico. Assolutamente.
Più di mezzo
secolo addietro, però, Caltanissetta aveva acqua sufficiente ai bisogni della
popolazione. Ed era amministrata da persone di estrazione sociale più vicina ai
gattopardi che agli sciacalli, per usare una terminologia lampedusiana. Come,
del resto, ogni altro paese della Sicilia.
Ma per non
generare equivoci, e bene lasciare da parte e la fauna e Caltanissetta in
termini netti, e con riferimento a una condizione comune a buona parte dei
paesi siciliani, voglio dire che quando le amministrazioni erano in m ano dei
«galantuomini» si operava di più e meglio di ora che sono in mano di persone in
prevalenza provenienti dai ceti popolari. E’ una verità paradossale ed amara. E
so bene che i «galantuomini» avevano tanti costituzionali difetti, e non pochi
vizi: ma avevano anche la virtù di tenere al decoro dei paesi che
amministravano, e spesso ci rimettevano del proprio. Una famiglia di piccola
nobiltà «regnicola», amministrando per circa mezzo secolo il mio paese, vi si
rovinò quasi totalmente: ma lasciò il paese con strade lastricate e selciate,
con scuole, uffici comunali, teatro, macello, illuminazioni pubblica,
fognature, acquedotti. E questo può anch’essere un caso eccezionale; ma certo è
che in quasi tutti i paesi i «galantuomini» furono amministratori di
puntigliosa onestà, di scrupolosa cura nel maneggio del denaro pubblico, alieni
da ogni personale speculazione; e, quel che più conta, che ebbero a cuore la
funzionalità e il decoro urbanistico, l’istituzione e l’efficienza dei servizi
pubblici più essenziali.
Da vent’anni a
questa parte, invece, non si riesce a capire perché venti, trenta, quaranta o
più persone vogliano essere elette, e sono elette, ai consigli municipali. O
meglio: si capisce benissimo. Solo che la loro presenza nei municipi raramente
si può collegare al fatto amministrativo vero e proprio. E del resto l’elettore
non ha questa esigenza, vota con una tale assenza di preoccupazione, con una
così totale distrazione, che è possibile vedere premiate da una maggioranza
schiacciante quelle stesse fazioni che più sono responsabili delle disastrose
situazioni presenti.
Leonardo Sciascia
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