Riprendo da un sito a noi caro il seguente pezzo:
Guido Araldo, da
sempre collaboratore di Vento largo, ci ha concesso di pubblicare sul nostro sito il
suo interessantissimo libro Mesi Miti Mysteria. A partire da oggi
ogni fine settimana pubblicheremo un capitolo del libro. Iniziamo con
un omaggio a Dioniso, il dio dimenticato.
Guido Araldo
Dioniso è il dio
dimenticato! Anzitutto perché una tradizione becera l’ha ridotto a
Bacco, quando baccus era uno dei suoi molti attribuiti e neppure il
più importante, una delle sue molteplici manifestazioni, poiché dio
del vino, della coltura della vite presso i Greci (per Etruschi e
Quiriti invece era Giano) e dell’ebbrezza che dal vino ne deriva:
la droga dell’antichità. L’uomo mediocre ha sempre avuto
necessità di droghe per affrontare il quotidiano anzi, per
estraniarsi dalla vita quotidiana.
Dioniso, non a caso, era
il dio non gradito sull’Olimpo e si aggirava tra gli umani sul suo
carro trainato da tigri feroci, in un corteo interminabile di donne
in calore, le Baccanti, e ninfe isteriche, le Menadi antesignane di
tutte le masche, tanto belle quanto invasate. E Dioniso aveva per
compagna Arianna: la coscienza che Teseo aveva abbandonato sull’isola
di Nasso dopo aver ucciso la bestialità umana in un labirinto.
Arianna, cretese, costituisce l’allegoria perfetta della fine
storica del matriarcalismo minoico e dell’avvento del
patrialcalismo miceneo: matriarcalismo peraltro recuperato da Dioniso
tramite le Baccanti e la Menadi e mai dissoltosi nella civiltà
occidentale, a differenza dell’Islamismo.
Dioniso, in realtà, è
tutto! La forza arcana che induce il germoglio a germogliare, la
gemma a sbocciare e l’intima essenza maschile a inturgidirsi. La
linfa vitale che scorre sotterranea in Mater Tellus, dea Natura, che
rigenera il mondo a ogni primavera e rinnova l’umanità di
generazione in generazione. È l’arcano del pianeta Terra!
Dioniso è l’inconscio
di Jung che si contrappone all’Io di Freud, ma non allude soltanto
alla contrapposizione tra istinto e razionalità, bensì la loro
sintesi e il loro equilibro. È il simbolo della divinità arcaica
presente nell’irrazionale umano, la nostra essenza più profonda,
primitiva e divina al tempo stesso, dove tutto si compenetra e
ribolle. La rappresentazione più pura e genuina dell’essere umano
che dopo Copernico non è più al centro del mondo, dell’universo,
e dopo Darwin non è neppure più figlio di Dio, fatto a sua immagine
e somiglianza, immerso totalmente nel mondo e nel suo divenire.
Ma Dioniso è molto di
più: è il segreto degli antichi riti orfici, la goccia apollinea in
un cervello che per i tre quarti è lo stesso dello scarafaggio, del
coccodrillo, della vipera, del toro come ha dimostrato la scienza. Da
questa contrapposizione, che tale non è, trasse origine il concetto
di anima.
Nella Teogonia di Esiodo,
il libro probabilmente più antico della nostra civiltà, antecedente
all’Iliade di Omero e incommensurabilmente superiore, Dioniso è
uno dei tanti peccatucci pornografici di Zeus che per la gestazione
lo nasconde addirittura in una sua coscia per occultarlo a Giunone,
moglie gelosa e abbondantemente cornificata. È il dio bambino che
nessuno vuole alla mensa degli Dei sull’Olimpo perché troppo
vivace, dispettoso, selvaggio e birichino. Quando deflagra la
ribellione dei Titani, alimentata da Gea, la Grande Madre, la Terra
(estrema reazione del matriarcalismo di fronte al trionfo del
patriarcalismo) tutti gli Dei scappano vigliacchi per nascondersi
dove possono, inseguiti dal terribile Tifone, ma Dionisio bambino si
attarda.
A questo punto mi sia
concessa una parentesi: dove si nasconde Afrodite, dea della
bellezza, con il figlio Eros, dio dell’amore tra le braccia? Nei
canneti dell’Eufrate, in prossimità della foce, dove un tempo
vivevano i Sumeri, il cuore della nostra civiltà oggi ridotto a
luogo tristissimo. Afrodite con il suo bambino in braccio esattamente
come l’egiziana Iside con il figlio Hors, Cibele con il nipotino
Attis, la Madonna con Gesù Bambino. Cibele era nera, originariamente
un meteorite come alla Mecca, e anche Iside a volte era nera come la
fertilissima terra dell’Egitto e tuttora molte sono le Madonne
nere. L’inconscio collettivo di Jung è una realtà, eccome se è
una realtà!
Quel giorno Afrodite con
Horus tra le braccia stava per essere raggiunta dal terrificante
Tifone dall’olfatto sensibilissimo, quando fu salvata da due pesci,
forse una coppia di delfini, inviatale provvidenzialmente da mamma
Gea: gli stessi pesci che, assurti a costellazione in cielo, chiudono
la stagione invernale e preannunciano il ritorno sulla terra di
Persefone, la primavera, simbolo di ciclicità cosmica. Afrodite era
figlia di Urano e Gea, nata dallo sperma di Urano che stillava in
mare dopo essere stato evirato da Crono… per questo, non
dimentichiamolo, era la dea più antica sull’Olimpo, zia di tutti
gli altri dei. Un dettaglio non trascurabile in merito al
matriarcalismo originario.
Ma torniamo a Dioniso che
si distrae nella più sconvolgente guerra di tutti i tempi. Per quale
motivo si distrae? Nel fuggi fuggi generale Giunone gli dona uno
specchietto in cui ammirarsi vanitoso e un sonaglio per trastullarsi,
nella speranza che i Titani lo raggiungano. Il modo migliore per
disfarsi di quella sgradita presenza, frutto di uno dei tanti
tradimenti del marito montone fedifrago. E così accade! I Titani
arrivano e lo sbranano letteralmente, mangiandoselo in un sol boccone
dopo esserselo diviso sanguinante.
Ma proprio in quel
momento ha inizio la riscossa di Zeus - Giove spalleggiato dalla
figlia Atena - Minerva: la sapienza contrapposta alla brutalità dei
Titani o, se si preferisce, al recinto dei maiali di Circe grande
quanto l’intero pianeta: “Fatti non foste a viver come bruti ma
per perseguir virtute e canoscenza!” (Dante, Inferno). Per favore,
cercate sulla moneta da un Dollaro la civetta simbolo di Atena, quasi
invisibile, ma vi assicuro che c’è! Fuoco fuochino in alto a
destra al numero 1 vicino, in alto a sinistra sul bordo. La civetta
cara agli Ateniesi che l’esponevano fieri sulle loro monete,
trasformata in messaggera di morte dalle ombre peggiori del Medioevo
tendenti ad occultare la luce antica. La civetta onnipresente nei
quadri di Hieronymus Bosch, a volte palese altre volte nascosta.
Per la verità il mito è
sottile: a vincere i terrificanti Titani non furono tanto le saette
di Zeus quanto le urla ancor più terrificanti di Pan: il dio al
quale s’ispireranno i preti del Medioevo per raffigurare Satana,
più caprino che umano. Un dio nato dell’amore adulterino di
Penelope, moglie di Ulisse, quella della tela, con il dio Hermes,
dopo essere stata cacciata di casa da Ulisse tornato alla pietrosa
Itaca. Penelope, nel mito più antico, precedente a Omero, fu
complice dei Proci, grandissima meretrice opportunista. Per
questo motivo Ulisse non visse felice e contento, ma riprende
sconsolato il mare per fare la fine descritta da Dante.
Occorre tornare a Dioniso
e alla sua storia. Le urla altissime di Pan attestano che anche nella
bestialità c’è un limite: est modus in rebus, sempre! I Titani,
subito dopo essersi gustati quel dio bambino, spaventati e distratti
dalle tremende urla di Pan, sono inceneriti dai fulmini di Zeus
mentre Atena, l’intelligenza, subito accorre per cercare qualcosa
del fratellino tra quelle ceneri ancora fumanti. Ne trova soltanto il
cuore palpitante.
Meditate gente, meditate!
Il cuore sanguinante di Gesù? E, visto che ci siamo, a cosa rimanda
il rito più sacro del cristianesimo: l’eucaristia? Al grano e
all’uva, al pane e al vino: a Mater Tellus ovvero Demetra e a
Dioniso, l’essenza dei misteriosi e antichissimi riti eleusini. Al
termine del viaggio negli Inferi eccoli sulla porta del cielo, a
riveder le stelle, nel gesto di offrire pane e vino all’iniziato,
che non è più profano. Dante li trasformerà, dopo il viaggio nel
fuoco dell’Inferno e nella terra del Purgatorio, e dopo la
purificazione di Matelda con le acque nel Paradiso Terrestre, XIV
carta dei Tarocchi, non a caso dopo la Morte, in Beatrice e san
Bernardo nel viaggio attraverso l’aria, in direzione dell’Empireo.
San Bernardo, colui che forgiò l’Ordine dei Templari con “l’elogio
alla nuova cavalleria” …
Ma la storia di Dioniso
non è finita: ora viene il bello! Ecco arrivare la bisnonna Gea,
responsabile di tutto quel casino e già pentita, come poco prima con
Afrodite e Horus tra i canneti. Gea, ovvero Madre Terra, prontamente
ricompone Dioniso utilizzando le ceneri ancora fumanti dei Titani
inserendoci quanto è rimasto del dio: il suo cuore palpitante. Ed
ecco la perfetta rappresentazione dell’essere umano: la perfida
cenere dei Titani con un cuore divino, goccia apollinea che tende a
spegnersi se non costantemente ravvivata, come Lucignolo (la luce che
si spegne) che diventa ciuco nella favola di Pinocchio.
C’è qualche differenza
con il primo uomo della Genesi, forgiato dal fango peggiore per
essere ravviato dall’alito di Dio? L’immagine di Dioniso
descritta nei riti orfici: ceneri di Titani e pulsante cuore divino,
è la più antica raffigurazione dell’anima contrapposta al corpo,
alla quale attinse in seguito Platone. Il cuore di Dioniso partecipe
dell’anima mundi: quell’alito divino, pneuma, che nella Grecia
antica nessuno si sognava di chiamare dio: non per ignoranza, ma per
saggezza!
Forse val la pena
ricordare che, secondo Freud, l’io e il superio, il cuore apollineo
e le ceneri dei Titani entrano in conflitto ad ogni nostro risveglio…
Da http://cedocsv.blogspot.it/2017/09/dioniso-il-dio-dimenticato.html
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