Riprendiamo
l'intervento di Chiara Saraceno che condividiamo totalmente. Siamo
l'unico paese in Europa (per non dire nel mondo) a regolamentare per
legge l'uscita dei bambini da scuola. Probabilmente anche l''unico
paese dove una famiglia cita in giudizio la scuola per un incidente
sul percorso casa-scuola e trova dei
giudici che le danno ragione. Risultato ovvio: una situazione
caotica da cui nessuno (genitori e presidi) sa più come uscire né come
gestire. Proposta della ministra: utilizzare i nonni. E poi qualcuno
si stupisce che in Europa non ci prendano sul serio.
Chiara Saraceno
Lasciate che i
ragazzini tornino a casa da soli
La pretesa che i
ragazzini delle medie debbano essere consegnati ai genitori o
comunque a un adulto da questi delegato e non possano tornare a casa
da soli è un insulto al buon senso, prima che un ulteriore vincolo
posto all’organizzazione quotidiana delle famiglie, in primis delle
madri. Potrebbe sembrare una pretesa da buon tempo antico, se non
fosse che una volta i bambini erano lasciati molto più autonomi e
più precocemente, nell’andare e tornare da scuola, ma anche
nell’andare ai giardini o a trovare i nonni nelle vicinanze, o a
comperare il pane o il latte. Ed i più grandicelli potevano, e
dovevano, accompagnare i fratelli più piccoli, senza aspettare di
essere maggiorenni, come invece succede oggi.
Di antico, in questa
pretesa, c’è l’ovvia aspettativa che nelle famiglie ci sia
sempre un adulto — per lo più la mamma — che non ha impegni di
lavoro, ma anche di cura di altri familiari, che gli impediscano di
trovarsi fuori scuola a metà giornata e di accompagnare i figli non
ancora quattordicenni dovunque. Il tutto in un contesto in cui le
scuole a tempo pieno sono in via di riduzione anche alle elementari e
pressoché inesistenti alle medie. Se si dovesse dunque seguire
l’interpretazione che dà la Corte di Cassazione alla norma
sull’incapacità degli studenti fino ai quattordici anni, non solo
i ragazzini con lo zaino in spalla e lo smartphone in mano ma anche i
bambini che cominciano i primi anni di studio non potrebbero più
andare a prendere il latte da soli. Perché, se malauguratamente
succedesse un incidente, scattarebbe una denuncia per abbandono di
minore.
A differenza di quanto ha
dichiarato la ministra Valeria Fedeli, i ragazzi non potrebbero
imparare a diventare autonomi neppure nel pomeriggio. L’eccesso di
protezione, la difficoltà ad accettare i rischi dell’autonomia
(ovviamente avendo educato alla stessa), unita alla tendenza allo
scarico di responsabilità quando qualche cosa va storta, sono
fenomeni ahimè tutti contemporanei e molto accentuati nel nostro
Paese.
Le città europee sono
piene di ragazzini che vanno a scuola da soli, prendono il tram,
vanno in palestra senza essere accompagnati. I loro genitori, i loro
insegnanti, le loro collettività non sono più irresponsabili della
nostra, solo più fiduciosi nella propria capacità di insegnare
a diventare responsabili. Forse sono anche meno disponibili allo
scaricabarile. Perché, se un genitore pretende che la scuola
riconosca l’autonomia dei ragazzi e l’impossibilità dei genitori
stessi di essere continuamente presenti quando i figli si muovono, ma
poi è pronto a denunciare l’istituto se qualche cosa succede nel
tragitto verso casa, è inevitabile che la scuola si protegga. E
imponga, appunto, la presenza della madre o del padre, o comunque di
un adulto.
La norma che definisce i
ragazzi sotto i quattordici anni legalmente incapaci è stata
probabilmente pensata dal punto di vista della loro — cioè dei
ragazzini — responsabilità penale, non per tenerli costantemente
sotto una campana di vetro. Se invece l’interpretazione giusta è
quest’ultima, come sembra di capire dalla sentenza della Corte di
Cassazione, la norma va cambiata, come da tempo è chiesto dai
presidi, ma non solo. E gli adulti dovranno prendersi la
responsabilità, ciascuno nel proprio campo e ruolo, di insegnare ai
ragazzi ad essere responsabili, a gestire appropriatamente
l’autonomia conquistata.
La repubblica – 27
ottobre 2017
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