Tutte le volte che
abbiamo parlato con catalani abbiamo sentito lamentare l'invadenza dello
Stato centrale spagnolo e l'assoluta mancanza di rispetto per la loro
storia e le loro tradizioni. Oggi, di fronte alle brutalità poliziesche
contro una
popolazione pacifica in attesa di votare, più che mai ci sentiamo a
fianco del popolo catalano. Ricordiamo che gli indipendentisti catalani
non mettono bombe (come accadde con l'ETA nei paesi baschi), ma
pacificamente chiedono il diritto di esprimersi. Oggi proponiamo
un'intervista dello scrittore cileno Luis Sepulveda.
Luis Sepúlveda
«Ora una riforma
della Costituzione o la Spagna non avrà un futuro»
intervista di Sara
Gandolfi
Barcellona «Mariano Rajoy sta giustificando la brutalità dimostrata dalla Guardia Civil e dalla Policía Nacional contro una popolazione civile, contro cittadini che, con o senza ragione, volevano solo andare alle urne e votare». Luis Sepúlveda, scrittore cileno che ha scelto di vivere in Spagna il suo lungo esilio, e di cui è appena uscito in Italia il libro Storie ribelli (Guanda editori), risponde al Corriere proprio mentre in tv scorrono le immagini della conferenza stampa del premier spagnolo. E non gli piace nulla di quello che sta ascoltando. «Fino a pochi giorni fa, il numero dei catalani disposti a partecipare al referendum era la metà di quelli che hanno poi tentato di votare. Non hanno votato per o contro l’indipendenza, votavano per il diritto a decidere liberamente, e contro l’arroganza di un governo ottuso, troppo vicino al franchismo, troppo immobile e insensibile ai problemi che si devono risolvere in modo politico e mai con la forza della repressione».
I suoi colleghi Vargas
Llosa e Javier Cercas hanno definito il referendum un golpe…
«Sciocchezze. Chi ha
fatto un colpo di Stato? Quelli che sanguinavano nelle strade e negli
ospedali della Catalogna?».
Come si è arrivati fin qui, chi sono i «colpevoli»?
«C’è stata una lunga
serie di offese e incomprensioni tra lo Stato spagnolo e la
Catalogna, e la situazione si è aggravata quando il Tribunale
costituzionale, composto da giudici in maggioranza di destra, ha
eliminato lo Statuto d’autonomia catalana, votato e approvato dal
Parlamento della Catalogna. Poi c’è l’immobilismo della destra,
la tattica di Rajoy è non fare nulla, perché tutto scivoli via,
senza curarsi dei costi sociali e politici. È mancato il dialogo da
entrambe le parti, però soprattutto è mancata la volontà politica
da parte del governo spagnolo per aprire le porte a questo dialogo.
La destra ha sempre fatto affidamento più sulla repressione che sul
dialogo».
La politica ha alimentato l’odio?
«Vivo in Spagna da tempo
e ho potuto constatare come i settori più retrogradi della società
spagnola, quella parte della popolazione con diritto di voto che
appoggia senza tentennamenti la destra, ha estratto dai vecchi resti
della storia ciò che c’è di più rancido e assurdo del
nazionalismo fascista. La destra ha avvelenato la politica con
l’odio, e lo stesso hanno fatto in Catalogna quelli che credono che
l’indipendenza sia un atto di magia».
Tra Barcellona e Madrid ci sono però anche ferite storiche ancora aperte. La transizione non ha funzionato?
«La transizione fu un patto del silenzio. E nella storia i silenzi si rompono sempre».
Forse alla Spagna serviva un processo di riconciliazione come quello avvenuto in Cile?
«In Cile si è imposta l’amnesia come ragione di Stato. Di quale riconciliazione si parla quando lo Stato ancora non chiede scusa alle vittime, e i torturatori e i loro complici continuano a vivere in situazioni di privilegio, compresi quelli che stanno in carcere?».
Allora come risolvere l’impasse qui in Spagna?
«La soluzione è
politica e passa da una riforma della Costituzione spagnola. La
Spagna deve essere uno Stato federale. Oggi però, dopo la giornata
di repressione e le dichiarazioni ottuse di Pedro Sánchez, il leader
del Psoe, in Catalogna c’è più volontà indipendentista che mai».
Così possono iniziare le guerre civili?
«La società catalana è
colta, civilizzata, dialogante, moderna. I catalani non darebbero mai
inizio a una guerra civile».
Crede in una Spagna plurinazionale?
«La Spagna è un insieme
di nazioni e il suo futuro è federale e repubblicano. O non avrà
futuro».
Il Corriere della sera –
2 ottobre 2017
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