Restaurata la
pellicola del 1971 di Giuliano Montaldo con Cucciolla e Volonté, e la
canzone di Joan Baez. Il film sarà riproposto alla Festa del cinema
di Roma il 4 novembre.
Irene Bignardi
“Sacco e Vanzetti”
cronaca di un successo
Come tante cose importanti, anche il film che Giuliano Montaldo ha dedicato alla tragedia di Sacco e Vanzetti è nato dal caso. Il casuale incontro nel 1970 con un amico che lo aveva convinto ad andare con lui in un teatrino della zona operaia di Sampierdarena, dove si metteva in scena la storia dimenticata di Sacco e Vanzetti.
Da quel giorno, racconta ora il regista, a distanza di quasi cinquant’anni dall’inizio di quell’avventura, la storia dei due anarchici italiani, ingiustamente accusati nel 1920 di duplice omicidio per rapina e finiti sulla sedia elettrica nel 1927 dopo sette anni di prigione per il solo fatto di essere poveri, immigrati e anarchici, dopo un processo monstre e la mobilitazione di tutte le forze democratiche in Usa e ovunque nel mondo per salvagli la vita, quella storia, dice Montaldo, non gli ha dato pace. Ma trovare i fondi per fare un film sulla vicenda di Sacco e Vanzetti sembrava quasi impossibile. Stando ai molti no e agli sguardi di commiserazione dei produttori consultati.
Ma, racconta Montaldo (che della storia dei due fino ad allora non sapeva niente), nel frattempo trovò un appassionato sostenitore, e una fonte sapiente, in un intellettuale del peso di Fabrizio Onofri: aveva trovato un riflesso doloroso nella storia della strage alla Banca dell’Agricoltura del dicembre 1969 e nella successiva colpevolizzazione degli anarchici. Spuntò anche un produttore: Harry Colombo.
Tutto questo, e la storia nella storia, è raccontato nel bel documentario La morte legale di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri, presentato a Cinecittà al centro di una mostra di 40 scatti di scena dall’Archivio di Enrico Appettito. Una iniziativa in cui si sono associati Luce e Rai cinema, la Cineteca di Bologna e il ministero, DG cinema e Cinecittà Studios. Un omaggio alla vigilia, il 4 novembre, della presentazione del film di Giuliano Montaldo in edizione restaurata, e un ricordo dei due anarchici italiani nel 90° anniversario della loro esecuzione e nel 50° della loro ufficiale riabilitazione.
La lavorazione del film è stata complessa e avventurosa. Della vecchia Brockton, Massachusetts, dei tempi di Sacco e Vanzetti (che nel frattempo avevano trovato i loro volti per il film in Riccardo Cucciolla come Nicola Sacco l’operaio, e in Gian Maria Volonté come Bartolomeo Vanzetti il pescivendolo), e dell’America del 1920 restava ben poco. Una buona parte delle riprese fu così effettuata in Irlanda e in alcune zone rimaste intatte di New York.
Ma il film si svolge
soprattutto nelle aule di tribunale e rispetta le regole del
courtroom drama, il dramma giudiziario, controbilanciato dai
materiali d’archivio e dalle impressionanti scene di folla che
documentano quanto profondamente la vicenda dei due italiani avesse
toccato la fantasia e le passioni della gente. Sacco e Vanzetti, per
taluni simbolo della Minaccia rossa (erano gli anni immediatamente
successivi alla Rivoluzione russa), per altri la speranza di un mondo
migliore e più giusto, che invocava anche la canzone cantata da Joan
Baez alla fine del film.
Se all’uscita italiana il film trovò un terreno favorevole e un pubblico sensibile e motivato, anche dagli eventi recenti, e se Cucciolla si guadagnò a Cannes, a sorpresa, il premio come miglior attore, negli Stati Uniti le reazioni furono contrastanti e sempre, in realtà, molto politiche e sotto sotto passionali. Così se Vincent Canby, il critico del New York Times, definì Sacco e Vanzetti, senza perifrasi, «non un buon film» ( in realtà risultando chiaramente spiazzato dal fatto di assistere a un grande film civile sull’America non fatto da americani ) Roger Ebert , il critico del Chicago Sun, è rispettosamente e devotamente in ammirazione. E in un gioco per bambini ispirato a un libro di Daniel Curley, Sacco e Vanzetti diventano una sola persona, con i due nomi attaccati in una crasi che dimostra quanto il dramma dei due anarchici sia diventato parte della cultura popolare.
La Repubblica – 30
ottobre 2017
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