maria attanasio
Maria Attanasio, “la poesia non può che essere
resistenza”.
«Il primo rapporto – non
strettamente scolastico – con la scrittura avviene quasi sempre
nell’adolescenza: un rapporto di confessione, di comunicazione del proprio
disagio esistenziale, alla pagina bianca; credo che capiti alla maggior parte
dei ragazzi anche adesso, ma adesso al display del cellulare o del computer.
Anche a me è successo più o meno a quell’età, non ricordo esattamente l’anno,
ma, come quando si fa all’amore la prima volta, ne ho un ricordo nitido. Mia
madre mi aveva mandato a fare compagnia a mia nonna, a letto, ammalata. Ero
seduta accanto a lei, in una stanza in penombra e in silenzio; ne sentivo il
respiro, insieme ai rumori che provenivano dal vasto piano di San Giorgio dove
abitava: il rumore cadenzato degli zoccoli delle cavalcature che risalivano
dalle calcare carichi di gesso; il vociare dei bambini che si rincorrevano; il
parlottare delle donne da un balcone all’altro, e il battere ogni quarto d’ora
dell’orologio della chiesa. E io sola, in esilio in quella stanza, accanto a
mio nonna dormiente. Non so come tutto ciò si coagulò e diventò scrittura, ma
presi la penna e cominciai a scrivere. Non ricordo più cosa, ma la ciò che è
veramente curiosò – questo lo ricordo perfettamente – è che quella prima poesia
la scrissi in dialetto; una dimensione linguistica, che sarà poi del tutto
assente dalla mia scrittura poetica. Solo in quest’ultima mia raccolta sono
presenti due testi in dialetto caltagironese; non si tratta di una conversione
linguistica, ma una necessità espressiva: per dire ciò che volevo dire, non
potevo che usare il dialetto. E così è stato. Assolutamente un’eccezione. Che
non credo avrà seguito. Ma – come si dice – mai dire mai».
Parole di Maria Attanasio, la prima meridionale vincitrice, dalla nascita del Premio letterario “Brancati Zafferana”, giunto alla XLVIII edizione, della sezione “Poesia” con “Blu della cancellazione”, (La Vita Felice, 2016). Il libro, introduce Antonella Anedda, della piena maturità, in cui il passato è indistinguibile dal presente perché riesce a sedimentarsi e crescere sulla parola. Un libro, vincitore (anche) del Premio Internazionale Gradiva-New York 2017, costellato da versi lancinanti che, con diversi accenti e sfumature allegoriche, richiamano l’attenzione dell’uomo sull’uomo.
Parole di Maria Attanasio, la prima meridionale vincitrice, dalla nascita del Premio letterario “Brancati Zafferana”, giunto alla XLVIII edizione, della sezione “Poesia” con “Blu della cancellazione”, (La Vita Felice, 2016). Il libro, introduce Antonella Anedda, della piena maturità, in cui il passato è indistinguibile dal presente perché riesce a sedimentarsi e crescere sulla parola. Un libro, vincitore (anche) del Premio Internazionale Gradiva-New York 2017, costellato da versi lancinanti che, con diversi accenti e sfumature allegoriche, richiamano l’attenzione dell’uomo sull’uomo.
Quale (e per quali
ragioni) poeta e relativi i versi che non dovremmo mai dimenticare?
«Leggo di tutto, dai
classici agli sperimentali, vetero e neo. Tutto. Non faccio questione di
linguaggi, di tempi o di geografie; in poesia sono un’onnivora, restando
profondamente coinvolta, allo stesso modo, dai più disparati linguaggi: da
Cardarelli, alla beat generetion, a Pessoa; da John Donne, a Pavese, a
Zanzotto. Debbo però dire che una particolare rilevanza, ha avuto nella mia
scrittura poetica l’Espressionismo tedesco: Rilke, Benn, Trakl, Celan
soprattutto; un poeta che ha vissuto l’esperienza dei campi di sterminio, ma
che, come Primo Levi, non è mai riuscito, a del tutto a oltrepassarla: anche
lui morto suicida. All’esperienza dei campi di sterminio rimanda la poesia
‘Fuga di morte’: un lungo e struggente testo poetico, il cui linguaggio non è
meramente descrittivo, ma drammaticamente interferente e metaforico. Ne
propongo una strofa – suggerendo però di andarla a leggere per intero –
per non dimenticare quel passato e non chiudere gli occhi davanti al presente,
in cui esso in altre forme sembra riproporsi; penso ai centri in Libia, dove i
migranti vengono torturati, stuprati, mutilati; al grande campo di morte che è
diventato il Mediterraneo, alla dilagante e occidentale xenofobia.
“Nero latte dell’alba ti
beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca con i serpenti
Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco
lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria
e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti”».
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca con i serpenti
Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco
lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria
e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti”».
Qual è – nell’arco della
sua giornata – il momento ideale per dedicarsi alla poesia (o, più
genericamente, alla scrittura)?
«Non c’è un’ora, un
momento, una stagione particolare per la scrittura, che per me continua ad
essere, in prosa e in poesia, tensione a dire: per un personaggio, un sentire.
Che all’improvviso mi sorprende: s’impone, vuole diventare poesia, narrazione,
senza orari, scansioni temporali. Esiste solo quella condizione: nient’altro.
Posso perciò restare giorni, mesi, anni anche, concentrata nella elaborazione
di un testo, come è capitato per il romanzo che proprio alcuni giorni fa ho
concluso, senza accorgermi nemmeno che passavano Natale, Pasqua, Ferragosto».
Qual è la sua ‘attuale’
spiegazione/definizione di poesia?
«In realtà è impossibile
definire la poesia. Posso dire soltanto che io la vivo come una silenziosa e
atemporale cadenza interiore, senza scansione e senza dialettica, dove si
produce una sorta di implosione creativa tra parola ed emozione: un’inedita
connessione di suoni e di sensi, che travolgono la tradizionale opposizione tra
l’io e il mondo, ogni consueta delimitazione tra l’impermeabile spazialità del
dato esterno e il flusso atemporale della soggettività. Spesso con un
rovesciamento delle abituali qualificazioni del soggettivo e
dell’oggettivo. Ma la poesia resta comunque misteriosa nel suo farsi
testo, scrittura. In una delle lezioni sulla poesia tenute ad Harward nel 1967,
(tradotte e raccolte in Italia ne “L’invenzione della poesia. Lezioni
americane”, Oscar Mondadori, 2000: un libro ormai introvabile), Borges
sottolinea l’insufficienza di ogni definizione riguardo all’enigma della
poesia, di cui oscura resta la genesi, e il suo accadere. “Noi sappiamo cos’è
la poesia – egli dice -. Lo sappiamo così bene che non possiamo definirla in
altre parole, proprio come non possiamo definire il gusto del caffè, il colore
rosso o giallo o il significato della rabbia, dell’amore, dell’odio, dell’alba,
del tramonto o l’amore per il nostro paese”».
La poesia può (e se può
in che modo) restituire ‘purezza’ alla parola?
«Non sono per la
purezza, ma per il meticciato, nella vita e nella scrittura. Per me la poesia è
stata, e rimane ancora adesso, l’unica forma espressiva dove tutto si trova
inscindibilmente coniugato: l’immaginario e il concetto, il linguaggio e il
tempo, la mia storia e la Storia.
Non esiste una ‘montagna incantata’ di parole e
contenuti, dove, tutta sola, abita la parola poetica: tutto può essere detto, e
ogni parola può essere usata. Dipende dal testo e dal contesto: abbiamo un
grande maestro, alle nostre spalle, Dante. Più che di purezza, parlerei di autenticità del dire: il linguaggio
della poesia non può che essere esperienza di verità e parola di libertà,
restituendo così senso e valore antropocentrico alla scrittura.
Ciò non riguarda solo la poesia, ma l’arte più in generale. Attraverso un controllo rigido e autoritario dei mezzi di informazione, oggi in nome del mercato e del profitto viene infatti operata una marginalizzazione dei valori di un mondo a carattere antropocentrico di cui il linguaggio è storicamente portatore: da qui, per esempio, le definizioni di ‘guerra umanitaria’, di ‘esportazione armata della democrazia’; o l’umanizzazione di borse e mercati – ‘che tremano, soffrono, si esaltano, si deprimono, sono euforiche, ecc’ – mentre, ridotti a puri beni strumentali dell’economia, gli uomini sono ‘risorse’, talvolta da ‘rottamare’. Valori che l’arte – se è tale – invece sempre riafferma, e al di là di scuole, tendenze, stili».
Ciò non riguarda solo la poesia, ma l’arte più in generale. Attraverso un controllo rigido e autoritario dei mezzi di informazione, oggi in nome del mercato e del profitto viene infatti operata una marginalizzazione dei valori di un mondo a carattere antropocentrico di cui il linguaggio è storicamente portatore: da qui, per esempio, le definizioni di ‘guerra umanitaria’, di ‘esportazione armata della democrazia’; o l’umanizzazione di borse e mercati – ‘che tremano, soffrono, si esaltano, si deprimono, sono euforiche, ecc’ – mentre, ridotti a puri beni strumentali dell’economia, gli uomini sono ‘risorse’, talvolta da ‘rottamare’. Valori che l’arte – se è tale – invece sempre riafferma, e al di là di scuole, tendenze, stili».
Oggigiorno, qual è
l’incarico della poesia?
«In qualsiasi dimensione
espressiva essa si manifesti, la poesia non può che essere resistenza. Ci sono
migranti, guerre, bombardamenti, mutilazioni a uomini, donne, bambini; ci sono
gli strumenti d’informazione e di coazione mentale più invasivi e pervasivi
della storia umana; c’è un liberismo selvaggio che, in nome della centralità
del profitto e dell’economia, tende a ripristinare la barbarie sociale; c’e il
riciclo degli organi di bambini; e clandestini buttati a mare come zavorra. E
tanto altro orrore. E ingiustizia. E violenza. E fame e infinito
dolore. Che penetrano e forzano perciò la mia espressività, irrompendo –
mio malgrado – come avviene nella mia ultima raccolta ‘Blu della cancellazione’
nella dimensione prevalentemente metaforica della mia poesia. Sfigurandola, in
qualche modo: fortunatamente sfigurandola».
Qual è e com’è
traducibile l’ora delle parole dormienti?
«Una doppia metafora,
personale e storica; da un lato nel senso che la dilazione temporale tra la
nascita e il conclusivo silenzio esistenziale – a cui nessuno può sfuggire –
per me si restringe sempre più: ‘la buia signora’ mi è sempre più vicina, con
la radicale cancellazione di emozioni, sentimenti, parole; ma anche nel senso
del ‘sonno della ragione’, che minaccia di avvolgere sentimenti, relazioni,
linguaggi di una contemporaneità omologata e senza memoria».
I versi citati nella
precedente domanda sono presi in prestito dal suo libro Blu della
cancellazione, edizioni La Vita Felice (2016). Può svelarci
cosa ha motivato la scelta del titolo e quale significato deve (può)
correttamente orientarci?
«Il blu è un colore
plurale: a secondo delle sfumature, delle emozioni, degli sguardi. Solitamente
si lega alla serenità, alla bellezza: il cielo, il mare, gli occhi azzurri, il
manto della Madonna. Ma cosa sarà, quel blu, per chi in mezzo in mare sta
annegando? Paura, spavento, cancellazione. Solo un esempio: ma è a questa
pluralità di significati emozionali e concettuali, personali e storici, che il
titolo della raccolta allude».
Per concludere, la
invito a scegliere una sua poesia per salutare i nostri lettori.
«Questa: (Lettera a un
amante morto), il cui linguaggio ha maggiori spazi di comunicazione rispetto
alle altre della raccolta, ma che mi sembra anche rappresentativa del profondo
disagio storico che avverto in questo tempo senza utopie.
Amore mio – pagina
scritta anemico testo di poesia –
ci provo a dirti come stanno le cose. Che stanno malissimo.
Nostro figlio a dieci anni ricoverato nel reparto incurabili,
e l’amico tuo – il filosofo del pensiero forte –
promuove filosofie in televendita.
Una scrittura disobbediente devia fiumi e petroliere
scavando crepe tra gli zigomi e il mento
omologando ai mercati la torre di Babele.
E umani rottamati a fini produttivi.
Ogni tanto di notte sento un fiotto di grida che proviene dal mare
– un clandestino mi dico sta annegando –
tappo finestre e tivù mi chiudo ermetica tra i segni
aspettando che si faccia giorno, ma sogno martelli
coltelli da cucina punteruoli in questa veglia sbieca di morenti.
Un’ultima cosa, risibile se vuoi,
i negativi delle foto li ho persi nel trasloco,
e non li ho più trovati intelletto e verità.
Esposte a scarpe chiodate al gelo dei mattoni
le nostre figure di passione.».
ci provo a dirti come stanno le cose. Che stanno malissimo.
Nostro figlio a dieci anni ricoverato nel reparto incurabili,
e l’amico tuo – il filosofo del pensiero forte –
promuove filosofie in televendita.
Una scrittura disobbediente devia fiumi e petroliere
scavando crepe tra gli zigomi e il mento
omologando ai mercati la torre di Babele.
E umani rottamati a fini produttivi.
Ogni tanto di notte sento un fiotto di grida che proviene dal mare
– un clandestino mi dico sta annegando –
tappo finestre e tivù mi chiudo ermetica tra i segni
aspettando che si faccia giorno, ma sogno martelli
coltelli da cucina punteruoli in questa veglia sbieca di morenti.
Un’ultima cosa, risibile se vuoi,
i negativi delle foto li ho persi nel trasloco,
e non li ho più trovati intelletto e verità.
Esposte a scarpe chiodate al gelo dei mattoni
le nostre figure di passione.».
*
Testo ripreso da https://www.lestroverso.it/maria-attanasio-la-poesia-non-puo-resistenza/
La versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia
Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 27.09.2017, pagina Cultura
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