SUL REAZIONARISMO PROGRESSISTA DEL FESTIVAL
di TURI COMITO
"Così, anche nell’industria culturale, sopravvive la tendenza del liberalismo a lasciare via libera alle persone capaci che accettano i principi del sistema. Aprire la strada a questi virtuosi è ed è stata la funzione del mercato [...] la cui celebrata libertà, [...] si riduce in pratica, nell’arte, come in generale per tutti quelli che non sono abbastanza furbi, a quella di morire di fame."
Horkheimer, Adorno, "Dialettica dell'Illuminismo", 1947, (capitolo sull'Industria culturale).
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Dal punto di vista politico mio quello che viene fuori da quel che ho visto (non tutto) e sentito e letto sul Festival è un quadro che definisco di reazionarismo progressista. Provo a sintetizzare questa idea per punti.
1. IL REAZIONARISMO DI FERRAGNI
La presenza di Ferragni non è solo la presenza di una ragazza di bell'aspetto incoscientemente truccata da bambola horror (le mancava, nell'ultima serata, solo il rivolo di sangue che colava dalla bocca per essere perfetta da questo punto di vista).
E' la consacrazione del ruolo della nuova imprenditoria, quella del terzo millennio che porta benessere e ricchezza per tutti ed è alla portata di tutti. Questo ruolo si basa su un ibrido modello fatto di cose vecchie e di cose nuove. La nostra eroina ha costruito il suo impero milionario facendo comprare a milioni di fessacchiotti, affatto benestanti e diffusi su tutto il pianeta, beni di consumo altrui garantiti da lei. Un normalissimo caso di furbizia da commerciante cui si aggiunge la recente vena filantropica una volta raggiunto un livello di ricchezza tale da potere essere usato per costruirsi una identità di mecenate dei diritti o cose del genere. Con una mano si raccoglie la messe abnorme di profitti e con l'altra si restituisce (per modo di dire) una infima parte di questo rafforzando l'idea di quanto sia necessario l'imprenditore "illuminato". Questo è il vecchio modello di imprenditore. Quello nuovo è dato dalla simbiosi tra uomo e macchina che è alla base della nuova era della tecnologia dell'informazione. Ferragni è la personificazione di come il "mondo nuovo" (quello di Huxley) che avanza può essere dominato e usato potenzialmente da tutti e di come non ci sia da averne paura. Chi prova paura o solo perplessità rispetto al "mondo nuovo" va solo accompagnato ad accoglierlo e farsi accogliere perché infinite sono le meraviglie che questo offre. Il bravo presentatore che non ha - per non si capisce bene quali ragioni - un profilo social e viene convinto a farsene uno traendo da questo immediati vantaggi è la messa in pratica dei dettami di questa forma di ideologia.
Ferragni non è, dunque, una presenza di spettacolo. E' una presenza di ideologia economica totalitaria che essendo vincente deve essere promossa a modello generale.
Dal punto di vista mio, cioè di una sinistra "vecchia" ancora legata ai rapporti di forza economici tra classi o ceti o segmenti di società, la presenza di Ferragni a Sanremo assume i connotati di una operazione completamente reazionaria confezionata come progressiva.
2. IL REAZIONARISMO DELLA FINTA CONTRAPPOSIZIONE ROSA CHEMICAL/MENGONI
La performance simil sessuale di Rosa Chemical con Fedez non è una rottura. E' un'altra consacrazione. Le esibizioni di questo genere c'erano già state negli anni scorsi. Quelle erano effettivamente rotture e sono state utili per aprire prima un varco poi un sentiero e poi la strada. Adesso che la strada è aperta Rosa Chemical ha potuto alzare ancora l'asticella della "trasgressione" e la strada è ormai autostrada. Cioè questo tipo di trasgressioni non impressionano più nessuno, neppure quelli alla Adinolfi che si ostinano a pensare che si possa chiudere il casello autostradale.
Il fatto che Mengoni abbia vinto il Festival con una canzone pienamente "tradizionalista" (modello sole cuore amore) ed esso stesso si sia presentato come pienamente "tradizionalista" nella sua "mise" (senza tatuaggi evidenti, con la faccia da bravo ragazzo, vestito in maniera del tutto insignificante) non rappresenta il rifiuto della trasgressione. Affatto. Rappresenta piuttosto il trionfo del paradigma del reazionarismo progressista. Ossia una sorta di miscela sociale all'americana dove è presente tutto e il contrario di tutto (i movimenti per i diritti civili accanto al razzismo, personaggi alternativi alla Chomsky che insegnano nel tempio di quello che lui più critica, eccetera) che vive in una sorta di equilibrio democratico ultra liberale (non solo liberista) dove è garantito spazio di espressione a tutti perché i dominanti hanno ben compreso come meglio si controlla, dal punto di vista (al solito), del profitto, una popolazione offrendo a questa opportunità invece che manganellandola.
E' questa la faccia socio-culturale del reazionarismo progressista (liberista). Il che, in linea di principio, dovrebbe essere meglio del reazionarismo fascistoide. Salvo poi fare i conti con la realtà e vedere quanto questi reazionarismi si somiglino quando si parla di denaro, di sfruttamento di esseri umani, di totale strafottenza per quel che avviene in giro per il mondo.
Salvo, beninteso, se quel che succede da qualche parte non urti gli interessi economicamente dominanti.
3. IL REAZIONARISMO POLITICO
In questo contesto si inquadrano le due performances "politiche" che hanno segnato questo Festival. L'attacco diretto e durissimo verso l'Iran e quello verso la Russia. I quali paesi, indipendentemente da quanto di stupido e pericoloso e perfino bestiale possano fare e avere fatto, rappresentano non il paradigma della negazione dei diritti o della prepotenza (quello è comune a molti, anche paesi molto "amici"). Rappresentano piuttosto il nemico che tenta di affermarsi in qualche modo sulla scena internazionale dominata dall'occidente (l'anno prossimo probabilmente, a seconda di come si mettono le cose, ci sarà qualche attivista cinese a fare un processo pubblico alla Cina).
Per sostenere questa idea che ho propongo due semplici, banali, domande. Credete possibile che che accanto all'attivista per i diritti in Iran potesse essere presente un attivista per i diritti in Palestina a reclamare la stessa attenzione? Credete possibile che si potesse leggere, per esempio, una nota del presidente cubano lamentando i danni terribili che l'embargo produce da sessanta anni su quella società accanto alla nota del presidente ucraino?
No, ovviamente. Uno sano di mente non lo ritiene possibile.
Bene, questo è il plastico esempio di come il ragionamento sulle libertà negate e sulle ingiustizie non abbia nulla di neutrale ma sia saldamente ancorato agli interessi delle nostre società occidentali.
Anche qui una certa, solida, forse inscalfibile, ipocrisia la fa da padrone. E' l'ipocrisia del reazionarismo progressista.
4.IL REAZIONARISMO DEI GIOVANI
Vi è da segnalare anche la retorica reazionaria sui "giovani". Questa abitudine di mettere sul palco ragazzi pescati dentro le piattaforme social (o cose del genere) presentandoli come la nuova frontiera della musica italiana nonché coloro che raccoglieranno il testimone delle vecchie glorie, è anche essa un altro esempio di reazionarismo progressista.
Viene cioè veicolata l'idea che si possa "sfondare" nel mondo dello spettacolo, ossia in quello delle nostre società liberiste, semplicemente avendo un presunto talento. O commerciale (come quello di Ferragni) o "artistico". E' l'apoteosi della competizione come paradigma della vivere sociale. Solo i migliori passano, solo "uno su mille ce la fa". E quelli che non ce la fanno non debbono preoccuparsi. C'è tempo per procurarsi il talento oppure, se proprio difetta, di loro si occuperanno i migliori con la loro carità filantropica. L'idea che il "talento" possa essere (senza nulla togliere a chi ne è davvero provvisto) una semplice proiezione ideologica per addestrare al sistema liberista i famosi "giovani" pare non sfiorare nessuno. E se questo è vero, e credo lo sia, sarà dura continuare ad attirare l'attenzione su giovani sottopagati e sfruttati o su morti sul lavoro eccetera.
5. IL REAZIONARISMO DELL'IRREALE VENDUTO PER REALE
Questa "durezza" è data proprio dalle caratteristiche delle società liberiste basate sul consumo e sulla spettacolarizzazione del consumo nella quale viviamo.
E' vero non quello che accade fuori le mura reali e virtuali dove si esprime il trionfo di lustrini e luci colorate o quello che ciascuno prova sulla propria pelle. E' vero quello che viene presentato nelle grandi occasioni di spettacolo mediatico di massa (grandi fratelli, nuovi talenti, tali e quali, festival, campionati di calcio, concerti allo stadio, eccetera). Il resto fa parte di accidenti di percorso di cui si occupa, eventualemente, la cronaca o qualche reportage giornalistico. Le quali cose, ovviamente, non tengono davanti la TV quindici milioni di persone per ore infinite.
La grandiosa potenza politica del Festival (ed eventi assimilabili) sta in questo: nella sua enorme capacità di attrarre e di convincere. Di adattarsi e di adattare. Di condividere un sistema ideologico, anzi di esserne una delle massime espressioni, e di fare condividere - consciamente o meno non importa - le basi essenziali.
Il Festival, lungi dall'essere un evento canoro, è un appuntamento mediatico con l'ideologia dominante. In esso sono contenute le direttive fondamentali su cui il sistema si regge ed esso, con meticolosa professionalità, le reinterpreta eseguendole e impartendole.
Viva il Festival, viva la canzone italiana
TURI COMITO
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