La guerra dall’alto e la resistenza dei popoli
A un anno dall’invasione dell’Ucraina, segnala l’analista geopolitico brasiliano José Luís Fiori, la Russia ha probabilmente già ottenuto uno dei risultati che si prefiggeva: contendere il monopolio del diritto di invadere agli Stati Uniti, cosa intollerabile per un maschio alfa che si rispetti. Tutte le guerre che oggi seminano scie di morte e distruzioni, scrive però Raúl Zibechi, sono guerre di quelli che stanno in alto contro chi sta in basso, la continuazione delle guerre di espropriazione che abbiamo sofferto per secoli e che si sono acutizzate negli ultimi decenni, con il neoliberismo. Si tratta di forme di accumulazione per espropriazione o rapina solo in parte diverse, ma fanno parte della Quarta Guerra Mondiale che l’EZLN denuncia ormai da più di due decenni. La domanda centrale che pone Zibechi è: come difendiamo i popoli, i movimenti e le organizzazioni de abajo di fronte a queste guerre? Si può rispondere solo dalla parte dei popoli, risponde, mai da quella degli Stati. Né quelli che fanno la guerra, né quelli che mandano armi, né quelli che sono indifferenti, ammesso che ce ne siano, perché tutti gli Stati vogliono trarre benefici dalla guerra contro i popoli. La tessitura dell’organizzazione della solidarietà tra coloro che subiscono la guerra, quale che sia lo Stato in cui vivono, non cammina alla velocità dei media e delle forme de arriba. Noi dobbiamo preoccuparci soprattutto per il lungo periodo, per quel che verrà dopo guerre che non riusciamo a impedire
Èprobabile che nella sua valutazione del primo anno di invasione russa dell’Ucraina, l’anlista geopolitico brasiliano José Luís Fiori abbia in qualche modo ragione: siamo di fronte a una guerra tra Stati Uniti e Unione Europea, contro la Russia e in qualche modo anche contro la Cina e altre nazioni del mondo. Fin qui l’evidenza. Tuttavia, Fiori ha la lucidità di considerare che la Russia “ha già vinto quello che voleva”, e questo sì merita qualche spiegazione.
Fiori sostiene che fino ad ora gli Stati Uniti avevano “il monopolio del diritto di invadere”, e che la Russia ora glielo sta contendendo, cosa che il maschio alfa decadente non può tollerare. In effetti, l’ascesa degli Stati Uniti come potenza globale è avvenuta nel bel mezzo di invasioni militari, l’usurpazione di oltre la metà del territorio messicano, a metà del diciannovesimo secolo, fu uno dei primi passi di quel percorso.
L’occupazione del Nicaragua, tra il 1912 e il 1933, fu probabilmente la più estesa insieme all’occupazione di Haiti (1915-1934), preceduta dall’intervento a Cuba alla fine del XIX secolo, a Porto Rico nello stesso periodo, a Panama e in altre nazioni dei Caraibi e del Centroamerica, oltre all’Honduras e alla Repubblica Dominicana, a difesa della United Fruit Company (punta di diamante della geopolitica yankee), gigante della produzione di banane, tabacco, canna da zucchero e altri prodotti agricoli.
Ma la mano imperiale arrivò anche in Colombia, attraverso il massacro delle piantagioni di banane nel 1928, quello raccontato nell’opera di Gabriel García Márquez “Cent’anni di solitudine”. Il Corpo dei Marines è stato il braccio esecutivo di buona parte di queste invasioni, più di 30 in quel periodo, alle quali va aggiunto il ruolo guida di Washington, attraverso la CIA, in colpi di stato che hanno cambiato la storia della regione, come in Brasile nel 1964 e in Cile nel 1973.
Bene, il monopolio è finito e ora va condiviso con la Russia. Senza dimenticare, naturalmente, il ruolo delle potenze regionali nelle invasioni e nelle guerre, come l’Arabia Saudita nello Yemen; la Cina in Tibet e Vietnam; Israele in Palestina; la Turchia in Siria (ma anche Iran); e un susseguirsi di guerre, invasioni e interventi sovrapposti, come quelli compiuti dal Brasile nella sua area di influenza negli anni Settanta.
Sono tutte guerre de los de arriba, di quelli che stanno in alto, contro los de abajo, quelli in basso. Quello che ora è cambiato è che stiamo assistendo a una lotta diretta senza intermediari tra los de arriba, tra maschi alfa che si contendono il primato: chi detiene il comando, chi assassina, stupra e crea desaparecidos nell’impunità totale, la stessa che hanno avuto gli Stati Uniti per un secolo e mezzo nel cortile di casa (l’América Latina, ndt) e in buona parte del pianeta.
La domanda è: come difendiamo i popoli, i movimenti e le organizzazioni de abajo di fronte a queste guerre? Si può rispondere solo dalla parte dei popoli, mai da quella degli Stati. Né quelli che fanno la guerra, né quelli che mandano armi, né quelli che sono indifferenti, ammesso che ce ne siano, perché tutti gli Stati vogliono trarre benefici della guerra contro i popoli.
Queste guerre, e molto concretamente la guerra tra Russia e Ucraina, tra Stati Uniti più Unione Europea e Russia o Cina, sono la continuazione delle guerre di espropriazione che abbiamo sofferto per secoli e che si sono acutizzate negli ultimi decenni, con il neoliberismo. Si tratta, se proprio si sente la necessità di dirlo, di forme di accumulazione per espropriazione o rapina solo in parte diverse. Fanno parte della Quarta Guerra Mondiale che l’EZLN denuncia ormai da più di due decenni.
Se guardiamo nel dettaglio, si tratta di controllare intere regioni per estrarre sempre più risorse deportando popolazioni e portando il numero dei profughi a limiti impensabili tempo fa.
È vero che durante quest’anno non ci sono state grandi mobilitazioni contro la guerra. Tuttavia, l’attivismo sta crescendo lentamente ed è probabile che cresca ancora nei prossimi mesi.
Si tratta di organizzare la solidarietà tra coloro che subiscono le guerre, indipendentemente dal fatto che vivano in nazioni che “aggrediscono” o vengono “attaccate”. Si tratta di tessere relazioni tra noi stessi, tra quelle e quelli di sotto, in ogni territorio, in ogni spazio, intrecciando legami al di là delle nostre realtà immediate. È un lavoro che esige il suo tempo, che non cammina alla velocità dei media e delle forme de arriba. Noi dobbiamo preoccuparci soprattutto per il lungo periodo, per quel che verrà dopo guerre che non riusciamo a impedire.
Se è vero che “non ci sarà paesaggio dopo la battaglia”, come diceva un anno fa l’EZLN, dobbiamo confidare che le nostre arche costruite con lavori collettivi e cresciute con solidarietà e fratellanza possano continuare a navigare anche quando le ondate delle guerre continueranno lasciando la loro scia di distruzione e morte.
Versione originale in Desinformémonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Pezzo ripreso da https://comune-info.net/la-guerra-dallalto-e-la-resistenza-dei-popoli/
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