A proposito di foibe
Marco Bellonotto
Direttore interinale della biblioteca civica di Trieste, nella primavera del 1945, era Pier Antonio Quarantotti Gambini. Non sarebbe tempo perso, in questi due giorni di polemiche stantie, inutili e inefficaci (si ripetono di anno di anno sempre con le medesime modalità) leggere il suo "Primavera a Trieste. Ricordi del '45", pubblicato per la prima volta nel 1951: un racconto "in presa diretta" del clima che si respirava in città e nei dintorni che furono teatro di atrocità e violenze.
Il libro di Quarantotti Gambini, per l'asciuttezza dei resoconti basati sugli appunti diaristici che l'autore - membro del Cln triestino - prese dal 29 aprile al 25 maggio, per l'equilibrio della scrittura anche in un frangente così drammatico, non poteva essere brandito né da chi ha strumentalizzato le foibe, né da chi ha cercato di minimizzarle; e ciò costituisce, a mio parere, una delle ragioni per cui non ha avuto il riconoscimento che meritava.
È un peccato perché decenni dopo, una nuova stagione di studi postideologici avrebbe confermato la veridicità di gran parte delle sensazioni registrate allora dallo scrittore istriano. E tra queste la percezione che le foibe non furono soltanto - come la sinistra radicale ripete con superficiale monotonia - un'esplosione di odio popolare antitaliano per le violenze subite dalle popolazioni slave lungo l'arco del Ventennio; limitarsi a questo aspetto che certo fu presente, così come non mancarono regolamenti di conti di carattere personale, è riduttivo (e anche un po' giustificazionista).
Dunque non di una vendetta rivolta al passato si trattò, ma dell'applicazione di un pianificato metodo terroristico, contenuto in buona parte nelle direttive emanate dal Comitato centrale del Partito comunista sloveno (e già impiegato altrove: eliminare, in tempi brevi, i futuri, possibili oppositori politici del nuovo regime, i cosiddetti "nemici del popolo", e spaventare il resto della popolazione), di occupazione e controllo del territorio in una prospettiva annessionistica, e quindi rivolta al futuro.
Detto in altri termini: "Le foibe furono, in misura non secondaria, un'azione di epurazione preventiva di oppositori reali e potenziali, in funzione dell'avvento del regime comunista totalitario" (Elio Apih, "Le foibe giuliane", Gorizia, LEG, 2010, p. 91).
È davvero così difficile prenderne atto e chiudere questa contesa? O quantomeno tentare di togliere alla destra neofascista il motivo di tanto strèpito e, soprattutto, di un indegno uso politico della storia?
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