E’ uscito da poco per Il Mulino L’Orlando furioso oltre i cinquecento anni. Nuove prospettive di lettura, a cura di Christian Rivoletti, che contiene i contributi di una ventina di studiose e studiosi di Ariosto. Ne proponiamo l’introduzione.
Dopo aver attraversato oltre cinquecento anni di storia ed essere divenuto oggetto di ammirazione, interpretazione e imitazione da parte di una lunga serie di illustri personalità della cultura internazionale, l’Orlando furioso non cessa ancora oggi di sollecitare la nostra immaginazione, di stimolare la nostra riflessione sulla letteratura e sul mondo, e di porci di fronte a interrogativi sempre nuovi. L’incanto della sua sorridente, inesauribile fantasia, l’inimitabile leggerezza e complessità della sua ironia, il suo particolare approccio (sapientemente bilanciato tra partecipazione e distacco) alla materia e alla tradizione cavalleresca, i suoi stimoli a riflettere sulla follia umana, sulle guerre, sui rapporti sociali, il suo modo vivido e penetrante di rappresentare e di indagare la realtà, la sua facoltà di metterci di fronte agli occhi personaggi, paesaggi e scene icasticamente descritte, il suo altissimo livello di elaborazione formale, stilistica e metrica, la sua attitudine a far interagire tra loro generi letterari diversi e la sua capacità di dialogare con i grandi classici della letteratura sia antica, sia volgare; tutte queste sue caratteristiche (e altre ancora) fanno della lettura del Furioso una sorta di passaggio obbligato nel paesaggio della letteratura mondiale, una specola ancora oggi essenziale per interpretare vari aspetti della realtà che ci circonda e per confrontarsi con molti altri capolavori letterari e artistici.
Questa sua straordinaria vitalità e attualità spiega, almeno in parte, l’intensità assunta dalle celebrazioni per il cinquecentenario della prima edizione del poema, che hanno tuttavia superato, per dimensioni e tenore delle iniziative realizzate, qualsiasi aspettativa, e che hanno visto succedersi in vari Paesi europei ed extraeuropei una fitta serie di conferenze, convegni, mostre, letture pubbliche del poema, nonché spettacoli teatrali, musicali e creazioni audiovisive[1]. Contrariamente a quanto di solito accade, le recenti celebrazioni non hanno commemorato la data di nascita o di morte dell’autore, bensì (un po’ eccezionalmente) hanno festeggiato quella di un’opera – ricordandoci dunque al contempo come quel momento originario abbia segnato la nascita non soltanto di un grande capolavoro, ma anche del primo “bestseller” e nuovo classico della moderna letteratura occidentale, e concentrando l’attenzione sul testo, sulla sua lettura e interpretazione, sulla storia della sua ricezione. Ultimo anello di una lunga catena storica, le celebrazioni hanno così consegnato il Furioso ai lettori e agli studiosi del terzo millennio come un testo da custodire con grande cura, e dunque da rileggere e interpretare con la consapevolezza dell’esigenza di confrontarsi ogni volta con quella complessa dinamica, insita nel dialogo con i suoi lettori che ogni grande classico intrattiene, tra ciò che rimane immutabile attraverso i secoli e ciò che invece cambia lungo l’asse temporale, seguendo il punto di vista e la sensibilità degli interpreti.
Su questo sfondo nasce il presente volume, che raccoglie gli interventi esposti e discussi nell’ambito del Convegno Internazionale L’Orlando furioso oltre i 500 anni. Problemi aperti e prospettive. Modelli, interpretazione del testo e ricezione, tenutosi all’Università di Erlangen-Norimberga dal 6 all’8 dicembre 2017. Pensato allo scopo di fare il punto su recenti indagini riguardo all’interpretazione di alcuni aspetti salienti del testo e a momenti significativi della storia della sua ricezione, il convegno ha dato luogo a un vivace e fecondo scambio scientifico tra esperti del Furioso, specialisti di altre aree e giovani ricercatori. I contributi, raccolti al termine della ricca stagione di ricerche, incontri e pubblicazioni che ha segnato le celebrazioni, tengono presenti quei risultati e al contempo provano a guardare oltre, suggerendo nuove vie d’indagine.
Il volume si divide in due parti: mentre la prima approfondisce alcune centrali questioni interpretative e propone nuove prospettive di lettura, la seconda esplora invece diversi percorsi attraverso la ricchissima storia delle “letture” (in ambito letterario, critico, figurativo e musicale) di questo inesauribile poema.
Nella prima parte (Prospettive di lettura del testo) ben tre contributi si confrontano, da punti di vista diversi, con la questione fondamentale del rapporto tra finzione e realtà storica nel Furioso. Il saggio di Albert Russell Ascoli (La Vera historia di Ariosto) che apre il volume indaga il concetto di storia nel poema, prendendo le mosse dall’influsso esercitato su Ariosto (nonché su Machiavelli e la storiografia, su Galileo e la “nuova scienza” e su altri protagonisti del Rinascimento) dal modello lucianeo, e osservando sin da subito come l’autore del Furioso, pur avendo presente la distinzione netta tra storiografia e narrativa d’invenzione propugnata da Luciano, tenti tuttavia «di costruire una specie di “ponte” che stabilisce una relazione complessa, ironica, instabile tra il [poema] e le “realtà” storico-culturali» ad esso coeve. Un elenco essenziale degli aspetti «esplicitamente “storicizzanti” che distinguono il Furioso dai suoi precursori nel genere cavalleresco» conferma la consapevolezza, da parte di Ariosto, dell’«impossibilità […] di tenere del tutto separate storia e letteratura», come emerge anche da una penetrante analisi delle quattro accezioni principali del termine istoria nel Furioso, che Ascoli individua e illustra tramite esempi testuali (tra questi, il celebre passo dell’episodio lunare, strettamente legato all’influsso lucianeo). L’indagine si conclude con l’analisi di alcune variazioni esemplari tra il primo e il terzo Furioso e con un invito a riflettere sulla complessità delle dinamiche che presiedono ai mutamenti del rapporto tra testo, realtà storica e pubblico dei lettori durante la lunga gestazione del poema.
Muovendosi tra storia culturale e percorsi testuali, Irene Fantappiè («Veramente confesso mentire». Realtà e finzione tra Luciano di Samosata e l’Orlando furioso) evidenzia innanzitutto come l’influsso lucianeo nel Furioso non sia da ascrivere al tramite esclusivo di Leon Battista Alberti, bensì proceda anche attraverso una ricca serie di volgarizzamenti, riscritture e citazioni, tanto che è possibile parlare di una «funzione Luciano» per un aspetto cruciale dell’episodio lunare del poema: «per Ariosto, Luciano (un Luciano altro da quello mediato da Alberti) è, al contrario di Alberti, un punto di riferimento imprescindibile per quel che riguarda il nodo centrale dei canti XXXIV-XXXV, cioè il problema del rapporto tra realtà e finzione». Tale fenomeno rivela inoltre un paradossale e indicativo effetto collaterale: Ariosto arriva infatti a sua volta ad “influenzare” Luciano, o meglio le modalità della sua ricezione nel Cinquecento, dal momento che «il Luciano che si leggerà dopo il Furioso sarà quello del Furioso» ovvero «un autore a cui è associata una temporalità anche storica, e che […] entra nel merito di problemi attuali».
La questione di come il poema si rapporti alla realtà extra-testuale è al centro del contributo di Christian Rivoletti («Credete a chi n’ha fatto esperimento»: pluralità e coerenza dei riferimenti alla realtà nell’Orlando furioso), che prende le mosse dall’ipotesi di riconoscere al meccanismo dell’ironia della finzione «una portata transitiva»: «puntare il dito in modo consapevole sulla finzione (creata dal testo) equivale a ricordare che esiste una dimensione (fuori dal testo) che non è finzione: la dimensione del reale». Dopo aver analizzato il sistema dei tre livelli testuali a cavallo dei quali agiscono i riferimenti alla realtà (passata e presente, sebbene sia quest’ultima a rappresentare il vero fulcro del discorso), alla tradizione letteraria e alla finzione poetica, Rivoletti propone una tipologia delle molteplici referenze al reale riscontrabili nel poema, fornendo per ogni singola categoria una definizione e una sintetica analisi corredata da esempi testuali, e mettendo in rilievo la complessità delle relazioni sistemiche reciproche tra le varie categorie.
Corrado Confalonieri (Oltre il principio di indeterminazione. Leggere l’ironia di Ariosto fra testo, intenzione e realtà) mette a fuoco la questione delle contraddizioni presenti nel testo del poema, muovendo dall’osservazione delle irriducibili differenze che spesso permangono, beninteso al di là dei punti di contatto (registrabili soprattutto nel momento analitico), tra le interpretazioni cinquecentesche del Furioso (emic) e quelle a noi vicine (etic). Infatti, mentre le prime non concepiscono l’intenzionalità delle contraddizioni, quelle moderne non solo le accolgono, bensì le valorizzano, nell’ambito di interpretazioni del testo guidate da concetti come «narratore inattendibile» oppure «realismo», delle quali un lettore del Cinquecento non avrebbe potuto servirsi. Caso particolare e significativo di queste moderne procedure ermeneutiche è l’adozione della categoria di ironia ariostesca, studiando la quale è possibile – almeno in linea teorica – superare il principio d’indeterminazione e «cogliere insieme due aspetti tali che “nel determinare l’uno, l’altro ci sfugge”: il funzionamento del testo e quello che dal testo rimane fuori».
Da acute considerazioni sull’ironia prende avvio anche il contributo di Francesco Ferretti (La retorica della saggezza nel Furioso), che si rivolge al testo del ’16 per indagare quanto si oppone alla follia, ovvero le rappresentazioni della saggezza e della salute mentale. Una disamina comparativa – rispetto ad autori limitrofi come Boiardo e Tasso, ma anche rispetto ad altre opere ariostesche – mostra come nel Furioso la saggezza sia una condizione eccezionale e come l’afflato moralistico-deliberativo (ancora presente nelle Satire) ceda a una «disincanta coscienza della follia universale». Solo chi è consapevole di questo – è il caso della coppia quasi omofonica Astolfo-Ariosto – può resistere, beninteso non altro che per intervalli, alla follia e conquistare così il privilegio di una «visione allegorica della condizione umana».
Francesco Brancati («Cose orribili e stupende»: la Commedia dantesca nel Furioso tra memoria poetica e rifunzionalizzazione ideologico-narrativa) riattraversa una questione “classica” della critica ariostesca, proponendo «una nuova catalogazione della materia dantesca nel Furioso» che, partendo da approfonditi sondaggi delle numerose spie testuali (innanzitutto in ambito metrico, stilistico e lessicale), mira a mettere a confronto i sistemi morali delle due opere, per poi mostrare come l’ironia ariostesca inneschi una «neutralizzazione dei presupposti etici e morali» che governano l’Oltremondo della Commedia.
Grazie a Tina Matarrese («A guisa di teatro»: lo spazio della scena nell’Orlando furioso) l’attenzione si sposta alla dimensione storico-sociale della corte ferrarese e alla sua fervida «cultura dello spettacolo», con l’obiettivo di gettare nuova luce sugli elementi di performatività impliciti nel testo del Furioso, ricollegandoli all’esperienza teatrale dell’autore e sottolineandone la straordinaria efficacia, anche rispetto alle sue stesse commedie, ma soprattutto esplicitandone l’importanza per la costruzione di quella «distanza dell’autore dalla finzione poetica, in cui ha modo di inserirsi l’ironia ariostesca».
Da una prospettiva storica muove anche Eleonora Stoppino (Genealogie del Furioso), per trattare il tema – nodale, benché poco frequentato dalla critica – delle nozze esogamiche, analizzandone la duplice funzione di atto politico della corte estense e dispositivo narrativo dell’officina ariostesca, anche nel quadro dell’evoluzione diacronica del testo (le aggiunte del 1532 e i frammenti esclusi dalla redazione finale) e delle sue relazioni intertestuali con altre opere (in particolare le Satire e i Carmina); ad emergere è l’ibridismo delle strutture genealogiche del Furioso e una inedita struttura di filiazione, che non procede nel tradizionale senso patrilineare, ma tramite una sorprendente «rete di madri, figlie, sorelle e mogli intrappolate in negoziazioni fra diverse istanze dinastiche».
Conclude la prima parte del volume il contributo di Sergio Zatti (La modernità del Furioso), che offre un ampio sguardo d’insieme sui fondamentali aspetti tematici e strutturali che fanno del poema ariostesco un capostipite della letteratura moderna. Tra questi, un ruolo di rilievo è riconosciuto al meccanismo dell’inchiesta, considerato come un sintomo del traumatico «passaggio dall’opinione (idealistica e monolitica) all’esperienza (pluralistica ed empirica)» e come un indizio della «crisi gnoseologica» dell’Umanesimo quattro-cinquecentesco. Vengono poi riscontrati vari elementi strutturali «che congiungono il romanzo cavalleresco al romanzo moderno»: dall’autocoscienza del narratore ariostesco al «suo modo di narrare erratico, umorale, digressivo», che troverà riscontri significativi, tra gli altri, in Cervantes e in Sterne; dalla «privatizzazione delle quêtes» (l’individualizzazione dei destini, con la conseguente frammentazione pluralistica dell’azione unitaria tipica del genere epico) alla psicologia della «vita di relazione», che rivela la natura triangolare (giusta René Girard) dei sentimenti e delle passioni; sino, infine, a quell’ironia della finzione (la «capacità di essere aderente alla propria materia, immerso in essa, e insieme sovranamente distante da essa») che caratterizzerà una parte importante della stagione iniziale del romanzo moderno. In conclusione, si osserva come anche il trattamento della questione femminile proietti risolutamente Ariosto, da protagonista, nel dibattito moderno e anzi contemporaneo.
L’indagine prevalentemente interna al testo offerta da Zatti, mentre chiude la prima parte del volume, al contempo predispone mentalmente il lettore a quell’orizzonte delle letture storiche (dal Cinquecento sino all’epoca moderna e contemporanea) che compongono la seconda parte.
Un taglio decisamente comparatistico e interdisciplinare, che si accorda con lo scopo di rivolgere lo sguardo a molteplici percorsi indicati nella ricca storia della ricezione letteraria, critica, figurativa e musicale del Furioso, caratterizza la seconda parte del volume (Percorsi nella storia delle “letture”). Lo studio di Daniel Javitch (L’Orlando furioso come fonte paradossale della teoria sull’epica nel Cinquecento italiano) ritorna sulla questione centrale del dibattito su epica e romanzo sorto in Italia a metà Cinquecento, e muove dall’osservazione che il successo del Furioso coincise proprio con il «periodo compreso tra il 1540 e il 1560, lo stesso in cui la Poetica di Aristotele» e l’Ars poetica di Orazio venivano affermandosi: ciò spiega la «tendenza a definire la poesia epica usando i difetti del Furioso e di altri romanzi come contro-esempi», riscontrabile nei trattati del secondo Cinquecento. Attraverso un’analisi della difesa del romanzo propugnata da Giovan Battista Giraldi, e delle aspre critiche rivolte al Furioso da Antonio Minturno, Torquato Tasso e Camillo Pellegrino, Javitch perviene a due conclusioni. In primo luogo osserva come, complice una «visione riduttiva e parziale» del poema, «esito di un approccio ostile al testo», «il Furioso stesso sia stato responsabile dell’origine» di molte delle prescrizioni che lo screditarono; in secondo luogo, sottolinea che quando «Ariosto compose il suo poema, circa quarantacinque anni prima che iniziassero a comparire i trattati sul romanzo e sull’epica», poté ispirarsi ad una concezione «molto più “ecumenica”» e libera della poesia eroica, senza preoccuparsi di quell’ortodossia “aristotelica” che s’imporrà invece quando i generi dell’epica e del romanzo verranno rigidamente codificati e separati l’uno dall’altro.
Rimanendo all’interno dell’orizzonte cinquecentesco della ricezione e fruizione del poema, Christopher Geekie si interessa alla «funzione sociale» del Furioso («La feccia del popolazzo»: il tema della classe sociale e la decanonizzazione dell’Orlando Furioso), sottolineando preventivamente le tensioni originate – fin dalle prime edizioni – dal suo carattere duplice, popolare ed erudito allo stesso tempo. Attraverso un’analisi delle riprese del tema della classe sociale nei commenti più critici nei confronti dell’opera, appare chiaro che «la distinzione tra classi sociali, divenuta ormai un luogo comune nel Rinascimento, viene in realtà rielaborata nel dibattito sul poema di Ariosto», in cui «non si trova più, seguendo l’uso classico, una moltitudine indeterminata contro un altrettanto ambiguo gruppo di eruditi, ma un contrasto tra strati sociali reali e tra le relative modalità di fruizione appartenenti a tali strati».
A un precoce caso di impiego ricreativo del poema si dedica Francesco Lucioli (L’Orlando furioso in un’ignota silloge di motti per l’Epifania), che prende in esame una raccolta mediocinquecentesca di motti ariosteschi destinati ad animare i giochi di società durante i festeggiamenti dell’Epifania. Grazie anche alla trascrizione integrale commentata della silloge – opportunamente offerta in appendice – e ad un’attenta disamina di campioni significativi e della loro verve parodico-sarcastica, ci si rende conto di come alla riformulazione ludica del poema si affianchi quella, magari indiretta ma non meno vitale e perfettamente coerente con lo spirito del tempo, di taglio moralistico, secondo la tradizione delle raccolte di sentenze tratte da testi famosi.
Muovendosi nel quadro di un più ampio progetto di ricerca sulla rielaborazione in forme letterarie “antiche” di avvenimenti storici di immediata attualità, Bernhard Huss presenta uno studio sulle Presenze ariostesche nel poema epico del Rinascimento francese, in cui segue con particolare attenzione le vicende attraverso le quali in Francia – anche per gli interessi autopropagandistici dei Valois – il Furioso «diventa ben presto, già nel Cinquecento, oggetto di imitazioni, riscritture e continuazioni di vario tipo», in particolare per quanto riguarda gli assai diffusi «poemi epici d’attualità», ove «tratti di genere chiaramente riconoscibili come epici si intersecano con elementi eterogenei dando vita a strutture ibride, deputate a consolidare il legame con l’attualità che agli autori preme in special modo rimarcare». Huss osserva inoltre che «in tutti i generi si attiva un produttivo dialogo con il poema ariostesco» e che ciò accade in un momento cruciale della formazione di una identità letteraria francese, come dimostrano le tensioni e i cambi di passo riscontrabili nei dibattiti teorici sul Furioso da parte di autori interni e vicini alla Pléiade.
Procedendo risolutamente in direzione transmediale e nel contempo soffermandosi su un tema eminentemente ariostesco, Florian Mehltretter si dedica ad Aspetti della ricodifica operistica della follia di Orlando, mettendo in luce le esigenze e le nuove possibilità tecniche che entrano in gioco, ma anche i problemi teorici e scientifico-culturali che si profilano, allorché librettisti e musicisti si trovano a dover portare sulla scena un paladino che ha perso il senno. L’approfondita analisi prende in considerazione, per vari esemplari operistici (particolare attenzione è dedicata alle due opere più note del Settecento: l’Orlando furioso di Braccioli e Vivaldi e l’Orlando di Capece e Händel), elementi storici, musicologici e drammaturgici, arrivando a dimostrare come «il teatro, la musica e la poesia non seguano e non rispecchino meramente la storia extra-letteraria dei concetti e delle teorie, ma vi contribuiscano secondo le loro proprie leggi».
Avanzando lungo l’asse storico, il dialogo con altre forme artistiche trova prosieguo nello studio di Christina Strunck (Ariosto in context: cicli figurativi del Sette e dell’Ottocento a confronto), che indaga i cicli di affreschi di Villa Valmarana ai Nani, ad opera di Tiepolo e bottega, e quelli eseguiti da Julius Schnorr von Carolsfeld per il Casino Massimo di Roma. L’attento esame iconologico e il riscontro di significative differenze ideologico-concettuali tra i due pittori portano l’autrice a parlare, per Tiepolo, di un approccio “ellittico” al testo del Furioso («ad essere omesso è proprio il personaggio di Orlando, che pure dà il nome a questa stanza»), mentre il “nazareno” Schnorr von Carolsfeld offre, con la sua opera romana, un «equivalente pittorico del modo in cui Friedrich Schlegel aveva interpretato Ariosto».
Con Mario Mancini (Ariosto e Stendhal) torniamo a un’esplorazione comparatistica rivolta all’ambito francese e in particolare alla funzione di invito alla rêverie e all’evasione che la poesia ariostesca rappresenta per Stendhal: dopo aver ricordato i precedenti lavori della critica sul tema, l’obiettivo si sposta sul problema del comico per rivelare come, proprio grazie al Furioso, lo scrittore moderno trovi «un equilibrio dentro la dissonanza continua del suo animo e della sua mente, dove coesistono entusiasmo e scetticismo, immaginazione senza freni e realtà», ma scopra anche un modello di tecnica narrativa in cui narratore e lettore sono legati da «un raccontare libero e complice, al di là degli schemi» e al di là della ferrea filosofia degli idéologues frequentati dal giovane Stendhal.
Passando dalla Francia all’ambito germanofono, il contributo di Karlheinz Stierle Ariosto e la critica romantica tedesca porta nuova luce su un passaggio cruciale nella ricezione del Furioso: grazie a un’acuta messa in prospettiva della particolare congiuntura storico-culturale, è possibile seguire l’evoluzione del pensiero dei fratelli Schlegel – in particolare sul metamorfismo dell’epica e sulla funzione determinante dell’ironia – dall’entusiasmo giovanile per il «divino Ariosto», visto come modello per la nascente poesia romantica, fino all’arroccamento in una «una nuova mitologia nazionalista e antieuropea» duranti gli anni viennesi. Le idee del primo periodo verranno poi recuperate negli anni Venti da Hegel, che vedrà in Ariosto il poeta romantico per eccellenza e un precedente necessario anche per Cervantes e per la creazione del nuovo romanzo, «forma centrale della coscienza moderna come epopea del mondo borghese».
Le vicende della ricezione critica – in particolare sulla questione dell’ottava – vengono indagate nella loro diacronia da Maria Cristina Cabani (Dalla critica metaforica alla critica anatomica: l’ottava): partendo dalle icastiche formulazioni di Croce e dal successivo rifiuto ideologico dell’armonia negli anni Cinquanta, si passa alla critica delle varianti in cerca di sistematicità strutturali (Contini) e alle anatomiche scomposizioni dell’officina poetica (Fubini); poi, dalla «svolta degli anni Sessanta», con indagini stilistiche ormai autonome rispetto a Croce, si giunge al trionfo del tecnicismo, con cui «il microcosmo dell’ottava è scomposto e quasi equiparato al congegno di un orologio», e ai lavori del decennio successivo, che prediligono intertestualità e microtesto (Segre, Blasucci). Segue l’esame di più recenti sondaggi di alto tenore tecnico e in cerca di oggettività scientifica tramite metodi statistico-computazionali, per poi riscontrare una reazione in senso opposto e un ritorno alla «critica del punto esclamativo» (Ferroni).
Chiude il volume lo studio di Ludwig Fesenmeier – Quando «l’alta voce ne va per tutti i palchi»: il caso dell’Orlando furioso (oggi), – che appunta l’attenzione, da un punto di vista specificamente linguistico, su un fenomeno della ricezione contemporanea del testo e indaga alcune delle letture ad alta voce effettuate per le celebrazioni del cinquecentenario della prima edizione del poema. Analizzando la dimensione performativa di alcune caratteristiche sintattiche del capolavoro ariostesco, lo studioso tiene ben presente la dimensione diacronica del fenomeno della recitazione orale e si serve di analisi foniche per mettere in luce questioni più strettamente ermeneutiche, osservando come «il passaggio dalla realizzazione grafica a quella fonica permetta […] di introdurre un aspetto sul piano interpretativo, nonché su quello dell’effetto estetico, che non è solo una conseguenza accessoria, legata al medium di fruizione (l’ascolto in luogo della lettura), ma un effetto per la cui realizzazione il mezzo acustico stesso rappresenta la condizione necessaria».
Giunto al momento di congedarmi dal lavoro che ha portato alla realizzazione di questo volume, il pensiero torna al clima vivace e intenso che ha caratterizzato lo scambio scientifico durante le giornate del convegno bavarese, ai momenti conviviali, alle piacevoli pause della passeggiata per Norimberga e della visita alla collezione artistica dei capolavori cinquecenteschi custodita nel Museo Nazionale Germanico. Al ricordo del luogo di quell’incontro, la città di Erlangen, il cui centro storico è caratterizzato dalle tracce di un fertile passato settecentesco, mi piace inoltre associare, quasi simbolicamente, un episodio storico: se sappiamo bene che, accanto alle altre grandi tradizioni nazionali europee, la ricezione tedesca del capolavoro ariostesco ebbe un ruolo importante, in particolare proprio in quel momento cruciale tra fine Sette e inizio Ottocento in cui il poema venne consegnato alla sua interpretazione moderna, è invece meno noto che fu un italianista (e anglista) nativo di Erlangen, Johann Nicolaus Meinhard, a dare un primo impulso decisivo per la riscoperta del Furioso da parte dei successivi lettori e interpreti tedeschi – fu infatti grazie ai suoi scritti[2] che le grandi personalità dell’epoca riscoprirono e rilessero il Furioso giungendo successivamente a capovolgere le riserve espresse dal classicismo francese.
Se la rievocazione di questo episodio, quasi una curiosità, vuole soltanto illuminare un filo invisibile nella trama storica degli entusiasmi suscitati dal poema ariostesco, per assicurare la riuscita del convegno e del fecondo incontro scientifico sono invece stati indubbiamente decisivi l’impegno dei partecipanti, convenuti da varie università europee e statunitensi, e la loro capacità di intessere un dialogo produttivo e stimolante. A loro, dunque, ovvero a tutti gli autori di questo volume va in primo luogo il mio più sentito e profondo ringraziamento.
Vorrei inoltre ringraziare Eugenio Refini (New York University), che ha preso parte al convegno con una relazione orale, e Marco Menicacci (Università di Erlangen-Norimberga) per il suo vigile e paziente aiuto durante il lavoro di revisione del testo del presente volume. La mia gratitudine va anche alla Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG) per aver accolto il mio progetto all’interno del programma di eccellenza della Heisenberg Professorship “Romanistik, insbesondere italienische Literatur- und Kulturwissenschaft im europäischen Kontext” (Projektnummer 416495142) e alle istituzioni scientifiche, culturali ed accademiche che con il loro generoso sostegno hanno reso possibile l’incontro: il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del V Centenario dell’Orlando furioso istituito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca italiano, e in particolare la sua presidente Lina Bolzoni; l’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera e in particolare il suo direttore di allora, Francesco Ziosi; la Dr. Alfred Vinzl-Stiftung e la Dr. German Schweiger-Stiftung di Erlangen; i centri interdisciplinari e interfacoltà della Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nürnberg: lo Interdisziplinäres Zentrum für Mittelalter- und Renaissancestudien (IZEMIR), lo Interdisziplinäres Zentrum für Dialekte und Sprachvariation (IZD) e infine la sezione Regionen in Europa del Zentralinstitut für Regionenforschung, che ha sostenuto in parte anche la pubblicazione degli atti. Si ringraziano infine l’Ambasciata d’Italia a Berlino e il Consolato Generale d’Italia di Monaco di Baviera che hanno offerto il loro patrocinio al convegno.
Note
[1] Per una panoramica delle iniziative si può consultare il sito internet del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del V Centenario dell’Orlando furioso (www.furioso16.it, ultimo accesso: 20/06/2022); per una rassegna di alcuni convegni accademici e pubblicazioni scientifiche si rinvia inoltre a S. Jossa, Ariosto Redivivus in 2016: A Year of Centenary Celebration and Critical Reassessment of Orlando furioso, «The Italianist», 38 (2018), pp. 134-149 e a C. Rivoletti, Introduzione, in Orlando furioso. Rezeptionsgeschichte und Interpretationsansätze / Studi sulla ricezione e sull’interpretazione del testo / Studies on Reception History and on Textual Interpretation, Christian Rivoletti and Kai Nonnenmacher (ed. by), «Romanische Studien», Beiheft 3, 2020, pp. V-X.
[2] Alle pagine del suo tanto pionieristico, quanto ponderoso Versuche über den Charakter und die Werke der besten italienischen Dichter (1763-1764) [“Saggi sul carattere e sulle opere dei migliori poeti italiani”], nel quale dedicò ad Ariosto un capitolo di ben 270 pagine, affermeranno infatti espressamente di essere ricorsi Lessing, Wieland, Gerstenberg e Herder, che saranno tra i primi, in Germania, a occuparsi di Ariosto nel secondo Settecento, seguiti poi, com’è noto, da una lunga serie di personalità: da Goethe a Wilhelm von Humboldt, da Jean Paul a Schiller, dai fratelli Schlegel a Tieck, da Schelling a Hegel.
[Immagine: Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ruggero libera Angelica].
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