27 febbraio 2023

GLI INDIFFERENTI DI OGGI

 

Il mio caro amico Bernardo Puleio, prof. di Storia e Lettere al Liceo Umberto di Palermo, ha pubblicato poco fa un commento, che condivido pienamente, su un editoriale dell'odierno Corsera che ripropongo di seguito insieme all'articolo contestato. (fv)

L' ANTIFASCISMO OGGI

 Raramente, perlomeno negli ultimi tempi, sul Corriere ho letto un editoriale  più ideologicamente disonesto, più storicamente falso di quello che segue. 

Alcune precisazioni: l'antifascismo è un bene fondante della  Costituzione della nostra Repubblica.  In Italia non va data per scontata l'adesione al valore dell'antifascismo: non lo è mai stato nei decenni precedenti, non lo è oggi. E d'altronde l'antifascismo è stato  una conquista della Resistenza ed è diventato valore costituzionale grazie , soprattutto ai socialisti, ai comunisti, ai liberaldemocratici e al  Partito d'Azione. In secondo luogo la Democrazia Cristiana, come ci ricordava tanti anni fa Sciascia, è apparsa ai più come la logica continuazione del regime fascista. Intanto per il gran numero di fascisti che si sono riciclati in quel partito e poi sostanzialmente per la mancanza di senso dello Stato che ne ha caratterizzato in massima parte l'operato. Anzi scriveva Sciascia il motivo per cui la Democrazia Cristiana ha goduto tanto successo è proprio perché è apparsa come la logica continuazione del Fascismo.  Esiste soprattutto l'antifascismo laico rappresentato in primo luogo dal Partito Comunista e poi anche da altre minoranze di altre partiti compreso partiti di Centro come repubblicani liberali, parte del mondo cattolico. Ma, appunto, di minoranze si tratta. Invece questo articolo disonestamente, dimenticando la sostanziale continuità tra il regime democristiano e quello fascista, vorrebbe farci credere che c'è stato l'antifascismo dei Martiri e poi l'antifascismo violento. Stop e nient'altro. E L'antifascismo pienamente legale degli antifascisti non violenti? Delle due l'una: o è uno scritto in malafede o è un articolo di grandissima ignoranza.

(BERNARDO PULEIO)



CORRIERE DELLA SERA 27/ 02/ 2023 PAG. 24

                                    Goffredo Buccini, GLI INDIFFERENTI D'OGGI

Antonio Gramsci scriveva del suo odio per gli indifferenti cinque anni prima che il fascismo s'impadronisse dell'Italia: «Il male avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà», cioè si gira dall'altra parte per pavido quieto vivere di fronte alla brutalità, alla soperchieria, ai dispotismi. Un potente richiamo, che sembra riecheggiare queste parole, è venuto da Sergio Mattarella. Consegnando a trenta ragazze e ragazzi l'attestato di Alfiere della Repubblica per la loro testimonianza di coraggio civile nella nostra quotidianità, il presidente ha ricordato quale esempio da onorare gli studenti tedeschi della Rosa Bianca che sfidarono in patria la barbarie di Hitler a costo della vita. E ha citato la violenza d'ogni giorno, quella sfociata nell'aggressione al liceo fiorentino Michelangiolo e quella nelle famiglie, nelle case, nelle strade, contro la quale il vero antidoto è sempre l'azione solidale, la disponibilità a farsi coinvolgere. È dunque l'empatia, motore di «quei comportamenti positivi che nella società si realizzano», anche la vera cura contro l'indifferenza: la quale è, tuttavia, un morbo assai difficile da contenere e sigillare in una sola provetta politica, poiché opera su un piano metastorico, nel lato oscuro di ogni coscienza.

È, di certo, quella che sentì attorno a sé Liliana Segre, quando le leggi razziali di Mussolini la cancellarono dal suo mondo. Ma può diventare la complice della polizia morale di Teheran nella repressione delle donne iraniane. Oppure la manutengola degli squadroni della morte argentini. O del jihadista solitario che s'avventa contro una folla, contando sul fatto che essa è composta da individui, ciascuno dei quali poco propenso a rischiare sé stesso per l'altro. L'indifferenza di chi poteva opporsi al male e non lo fece (dunque della stessa grana di quella odiata da Gramsci), accompagnò il calvario del diciottenne missino Sergio Ramelli, prima perseguitato e poi ammazzato a sprangate nel 1975 da militanti di Avanguardia operaia: quando il papà di Sergio andò dai dirigenti della sua scuola a dire che lo minacciavano, quelli, anziché intervenire, gli suggerirono di cambiargli istituto e si strinsero nelle spalle.

C'è un'indifferenza che può ferirci ogni giorno. Ma l'Italia non è quella paventata dalla «Città Futura» di Gramsci, che si preparava a inchinarsi a un dittatore, e grazie a Dio non è neppure quella delle chiavi inglesi e degli agguati sotto casa di mezzo secolo dopo. Le parole vanno misurate per non tirar fuori dall'armadio vecchi fantasmi. La vicenda di Firenze, con il pestaggio di alcuni studenti dell'istituto Michelangiolo ad opera di militanti di destra, pare dopo una prima scaramuccia causata da un volantinaggio di quest'ultimi, ha riscaldato molto gli animi, provocando una serie di prese di posizione esasperate, che rischiano di riproporci uno sgangherato remake di una brutta pellicola già vista. Siti e social hanno reagito all'ennesima potenza, secondo linee di faglia antistoriche, eppure ancora presenti in alcuni segmenti della nostra società, a sollecitazioni che sono venute non solo dalle intemperanze dei ragazzi ma dalla sovraesposizione mediatica del mondo degli adulti. Non si tratta di distribuire torti e ragioni. La faccenda non può e non deve essere un derby tra tifoserie di sinistra e di destra: tra la preside Savino (che in una circolare ai suoi studenti ha giustamente condannato l'episodio del Michelangiolo, poi inerpicandosi tuttavia in una discutibile analisi sul momento storico del Paese che pareva estrapolata da un film di Costa Gavras) e il ministro leghista Valditara (non nuovo a sortite precipitose, intervenuto contro di lei con una reprimenda e velati annunci di provvedimenti poi ridimensionati).

Si tratta di tirare un bel respiro e raffreddare gli animi.

Sostenere che c'è oggi in Italia un pericolo totalitario non è soltanto inesatto e fuorviante, è rischioso: perché può trasformarsi in una profezia che si autoavvera nell'universo giovanile, con conseguenze gravi. Bacchettare pubblicamente una dirigente scolastica trasformandola in una pasionaria agli occhi degli allievi e facendo deflagrare il caso è, del resto, altrettanto smisurato. Cortei di antagonisti che inneggiano alle foibe e minacce dirette a Valditara, da un lato, e foglietti di estrema destra che parlano di <<agguati dei rossi» con lo stesso gergo dei loro nonni picchiatori sono segnali certo marginali, certo non rappresentativi del mondo giovanile. La vera dimensione di tanti nostri ragazzi è quella di quei trenta Alfieri insigniti da Mattarella, quella del volontariato, del terzo settore, dell'impegno silenzioso.

Tuttavia, le spie d'allarme di queste ore non sono da sottovalutare. Perché sottendono a un equivoco ancora strisciante nel nostro discorso pubblico. E l'equivoco - data per letta e assodata anche in sede costituzionale la messa all'indice del fascismo – riguarda, paradossalmente, l'antifascismo. Nella nostra vicenda repubblicana se ne sono stratificate due specie, assai diverse per ispirazione e natura. Il primo antifascismo è quello che ha creato l'Italia che conosciamo e amiamo, quello della Resistenza, dei fratelli Rosselli e di Gobetti, di Pertini e di Parri, ispirazione e carne viva della nostra Carta. Il secondo è quello militante, inquinato da teppismo e terrorismo, degli anni Settanta e Ottanta, degli assassini di Ramelli e Paolo Di Nella, che ebbe come corrispettivo il rigurgito (quello sì) di neofascismo inveratosi nelle trame nere e nelle squadracce giovanili. La nuova destra al governo in Italia ha sulle spalle una grossa responsabilità: saper distinguere. Abbracciando il primo antifascismo nel nome della Costituzione e superando il secondo nel nome della pacificazione nazionale. Maggioranza e opposizione condividono poi una responsabilità forse ancor più grande: battere insieme l'indifferenza. C'è un'occasione da cogliere tra meno di due mesi, il prossimo 25 aprile: se sapremo celebrare la nostra Liberazione con empatia, nel rispetto e la comprensione per chi visse quel giorno come un lutto, e nell'affetto e il riconoscimento per chi ci regalò quella vittoria quale riscatto morale. Come la vicenda del Michelangiolo ha dimostrato, i ragazzi ci guardano.

GOFFREDO BUCCINI




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