Mario Vargas Llosa, Elogio della lettura e della finzione
Ed eccomi qui, dopo il piccolo libro di Zagrebelsky di 64 pagine, a condividere con voi un libro ancora più piccolo di 34 pagine, appena uscito nella collana “Vele” di Einaudi. Elogio della lettura e della finzione.
La pubblicazione è recente, ma in realtà si tratta del discorso che Mario Vargas Llosa ha pronunciato a Stoccolma nel dicembre 2010 per il conferimento del Nobel.
Ho letto e riletto queste poche pagine, che hanno sollecitato ancora di più in me la voglia di approfondire la conoscenza di questo autore peruviano.
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Poche pagine di carattere autobiografico con aneddoti, ricordi e soprattutto il suo percorso di lettore e di scrittore, dal bambino che a cinque anni impara a leggere all’adulto settantenne che ancora rivive quella magia che ha arricchito la sua esistenza, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio.
La lettura trasforma il sogno in vita e la vita in sogno e dà il via all’attività del piccolo uomo –scrittore, che sente di dover scrivere per continuare le storie lette, perché gli dispiaceva che finissero o per il piacere di cambiare il finale.
Ecco quindi lo scrivere come passione, vizio e meraviglia che crea una vita parallela ove rifugiarsi dalle avversità, che fa diventare normale ciò che è straordinario e straordinario ciò che è normale. La letteratura “come rappresentazione fallace della vita, che tuttavia ci aiuta a capirla meglio, a orientarci in quel labirinto, in cui nasciamo, viviamo e moriamo…” ,come mezzo per “decifrare quel geroglifico che è l’esistenza”, soprattutto per chi coltiva più dubbi che certezze, perplesso rispetto ad argomenti come trascendenza, destino individuale e collettivo, anima, senso e non senso della storia.
Vargas Llosa ci ricorda anche come il suo lavoro di scrittore sia stato sopportato dai tanti maestri: l’importanza di Flaubert, per cui il talento è favorito da disciplina tenace e grande pazienza, o di Sartre per cui le parole sono azioni, tanto che un romanzo o un testo teatrale o un saggio possono cambiare la storia, ma anche Camus e Orwell, per i quali una letteratura priva di morale è inumana e infiniti altri.
A volte Vargas Llosa si è chiesto, se in un paese come il Perù, con pochi lettori e tanti poveri, pieno di analfabeti e ingiustizie, dove la cultura era privilegio di pochi, lo scrivere non fosse un lusso. Ma, pur nel dubbio, ha continuato a scrivere. “Saremmo peggiori di quello che siamo senza i buoni libri che abbiamo letto, più conformisti, meno inquieti e ribelli, e lo spirito critico, motore del progresso, non credo esisterebbe. Così come scrivere leggere è protestare contro le ingiustizie della vita. Chi cerca nella finzione ciò che non ha dice… che la vita così com’è non è sufficiente a soddisfare la nostra sete di assoluto…” per questo “inventiamo storie per poter vivere in qualche modo le molte vite che vorremmo avere quando invece ne abbiamo a disposizione una sola.”
La letteratura, oltre a donarci bellezza e felicità, ci mette in guardia contro ogni forma di oppressione e per questo è censurata dai regimi autoritari: la fantasia è sediziosa, quando il lettore si confronta con la libertà che la rende possibile. La buona letteratura tende ponti tra persone diverse,unisce al di là delle lingue, del credo, degli usi, dei costumi dei pregiudizi che invece separano. Crea una sorta di fratellanza all’interno della diversità umana ed eclissa le frontiere erette da ignoranza, ideologie, religioni. E questo ha valore soprattutto oggi, in cui, anche dopo il crollo degli imperi totalitari, nuove forme di barbarie si moltiplicano aizzate dal fanatismo, invece che, come si sperava, di tempi di pace, di pluralismo, di diritti umani. Vargas Llosa ci ricorda anche il suo percorso personale da giovane marxista al democratico liberale quale è diventato da adulto.
La letteratura dunque come necessità perchè la civiltà prosegua il suo cammino, conservando in noi il meglio dell’essere umano, perchè la vita non si riduca al pragmatismo degli specialisti che ignorano ciò che sta loro intorno, prima e dopo. “Un mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri nè ideali nè disobbedienza, …” senza “la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri modellati dall’argilla dei nostri sogni”.
Molti sono i luoghi importanti della vita di Vargas Llosa, come Parigi, sognata fin da bambino e si sente debitore alla cultura francese, per aver compreso che la letteratura è vocazione, ma anche disciplina, lavoro, testardaggine. E poi è la Francia che gli ha fatto scoprire l’America Latina, non solo come continente di colpi di stato, di caudillos da operetta, del mambo e chachà , ma anche di una letteratura nuova e vitale, di idee e forme artistiche che parlavano un linguaggio universale.
Vargas Llosa si è sempre sentito a casa dovunque è vissuto, a Londra come a Madrid, a Barcellona, a Berlino, a New York, in Brasile… E il sentirsi cittadino nel mondo non ha indebolito le sue radici, i legami con il suo paese, anzi li ha rafforzati. Ed è fiero di essere nato in quel povero paese che è il Perù, che è una somma di tradizioni, razze, credenze e culture provenienti dai quattro punti cardinali. Essere peruviano vuol dire infatti essere erede delle culture preispaniche e ispaniche, africane ed esserne orgoglioso, ma senza fanatismi, senza quei nazionalismi che limitano l’orizzonte intellettuale, che trasformano la casuale circostanza del luogo di nascita in privilegio morale e che sono stati sempre causa delle peggiori carneficine della storia.
Vargas Llosa non dice cose straordinarie, ma personalmente mi emoziona quel suo saper esprimere con tanta chiarezza e semplicità il valore del leggere e dello scrivere e mi piace ricordarlo in questo nostro spazio di lettori.
Mario Vargas Llosa, Elogio della lettura e della finzione, Einaudi, 2011, euro 8.
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