17 febbraio 2023

CLAUDIA CALABRESE SU EREDITA' DISSIPATE

 



"Ci serve questo libro? Certo! Ci serve, soprattutto oggi. Il fatto stesso che siamo qui a parlarne indica che il nostro auspicio profondo, come per Francesco Virga, sia proprio di non dissipare le eredità di Gramsci, Pasolini e Sciascia, tre autori che sono  stati per Virga oggetto di studio serio e appassionato sin dagli anni Settanta.

Ma la mia impressione è che per Virga non siano stati soltanto un oggetto di studio: da studioso preparato, appassionato e militante, qual è – non a caso ha lavorato con Danilo Dolci a Partinico, ha insegnato nelle scuole medie, creato il Centro Studi e Iniziative di Marineo ecc. che anima tutt’oggi - ha lasciato che questi autori

svolgessero una funzione pedagogica prima di tutto per se stesso e ora, con questo libro, per noi lettori. 

Per noi queste eredità sono importanti, da non dissipare e da affrontare con spirito pedagogico.

Ha fatto bene Virga a mettere insieme Gramsci, Pasolini e Sciascia, la sua intuizione ci invita a cercare un filo rosso che leghi i tre autori e anche i saggi confluiti nel volume e scritti in momenti diversi.

Giustamente Virga dice che i tre sono accomunati dal loro atteggiamento critico nei confronti del proprio tempo. E per me è la passione che li ha portati a essere critici nei confronti delle classi dirigenti e verso gli intellettuali pavidi che non esercitavano lo spirito critico perché volevano sedersi al desco di chi governava. Loro no, ecco un’altra cosa che li accomuna:

Gramsci è stato in carcere, Pasolini ha subito 33 processi e Sciascia è stato molto criticato dai suoi stessi lettori quando ha cominciato a parlare, per esempio, di professionismo dell’antimafia perché diceva che con la militanza dell’antimafia, se si tralasciava il pensiero critico, non si faceva altro che confermare l’esistenza della mafia.

Tutti e tre questi autori si sono mossi con grande passione politica e pedagogica che li ha condotti a una critica costante alle classi dirigenti. Tutti e tre. 

Ma se Sciascia e Pasolini sono scrittori e hanno un’indiscutibile fiducia nell’azione letteraria e nella sua capacità di influire sulla vita e sul potere, diverso è il caso di Gramsci che non può essere considerato uno scrittore nel senso stretto del termine ed è stato invece un dirigente rivoluzionario e un pensatore comunista − uno dei maggiori del ’900 − che ha fatto della scrittura uno strumento per resistere con tutte le forze della sua intelligenza e della sua volontà.

Di fili rossi ce ne sono insomma, ma non dobbiamo cadere nella tentazione di escluderne le contraddizioni: Pasolini per esempio è stato critico nei confronti della DC ma anche del PCI che era nato con Gramsci nel 1921: Pasolini aveva una posizione contraddittoria e lo dice apertamente nelle “Ceneri di Gramsci”. 

Virga ne parla dove si riferisce al mio lavoro sul quale non mi voglio soffermare. Pasolini è d’accordo con Gramsci nella luce ma non nelle viscere, quelle viscere che per lui sono una prigione. Questo tema del rapporto fra Pasolini e Gramsci come emerge dalle “Ceneri” e anche dal “Pianto della scavatrice” e poi dall’epigramma “Alla bandiera rossa” va approfondito. 

Negli anni Settanta la bandiera rossa era un simbolo che non si reggeva più perché la realtà si andava destrutturando e il simbolo non significava più. Insomma, Pasolini ha in mente Gramsci ma anche l’evoluzione del PCI che considera lievito per il futuro pur essendo pessimista. E Bussotti, per es., che mette in musica “La bandiera rossa” la coglie questa cosa e trasferisce quella destrutturazione della realtà alla scrittura musicale. 

 Riguardo al rapporto tra  Pasolini e Sciascia c’è accordo rispetto alla critica alle classi dirigenti della DC. Come ben sottolinea Virga, il pensiero di Sciascia, autore di Todo Modo e poi dell’Affaire Moro, è legato fraternamente a quello di Pasolini. Le lucciole, Il Palazzo, il Processo sono luoghi della Storia presenti sia in Sciascia sia, nello stesso periodo, in Pasolini. Cambia solo la forma: per Sciascia il romanzo, per Pasolini gli articoli di giornale. Basti leggere le Lettere luterane e ciò che scrive nello stesso periodo Sciascia in Todo modo.

Insomma, come scriveva Rilke entrambi avevano la sensibilità di sentire il futuro prima che accadesse. Come Pasolini aveva intravisto le conseguenze del potere dei consumi sull’uomo, Sciascia a suo modo è profetico per esempio nei confronti della vicenda Moro. Aveva visto giusto Sciascia: l’uccisione di Moro da parte delle brigate rosse era stata favorita da una parte della classe dirigente della DC che era arrivata a un punto tale che tutti si odiavano a vicenda e Moro fa da capro espiatorio per tutti gli altri. Anche Pasolini mette sotto la lente di ingrandimento le manchevolezze dellaclasse dirigente della DC. Ma dice anche di più: la DC aveva agevolato la rivoluzione antropologica.

Insomma, se vogliamo che queste eredità non vengano dissipate dobbiamo situarle nel loro tempo e cercare di comprenderne anche i limiti per raccoglierne il senso, il fuoco non le ceneri. 

C’è una citazione di Mahler che mi piace ricordare: La memoria è la custodia del fuoco e non l’adorazione della cenere. Il senso di queste parole vale anche per qualsiasi processo critico. Dobbiamo comprendere Sciascia, Pasolini e Gramsci nel loro tempo perché siano fonte di ispirazione per il nostro tempo. Altro che eredità dissipate! Il tuo libro, caro Franco, è uno strumento prezioso nelle mani di chi attualizza proprio per non dissipare. Grazie."

CLAUDIA CALABRESE



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